10 gennaio 2008

CHI CREDE CAMBIA LA STORIA


Martedì scorso Mario, il postino (ve l'ho già presentato in un post dei giorni scorsi) era in forma smagliante, e ha scritto una bella pagina sulla vita della comunità del suo quartiere (bairro). Non era previsto, ma non resisto alla tentazione di pubblicarla per il vostro diletto ed edificazione. La accompagno ad una foto panoramica della campagna di Itaberaì, particolarmente accattivante nel suo verde estivo - e con questo strano titolo: "chi crede cambia la storia" - che forse capirete leggendo il resto. Poi me lo spiegate?
Carissimi,
“Quando Gesù scese dalla barca, vide tutta quella folla ed ebbe compassione di loro perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6, 34). In questi giorni che seguono l’Epifania, la liturgia, forse per evitarci il pericolo di pensare al mistero del Natale come ad una bella fiaba, si preoccupa di illustrarci il significato e i contenuti di questo passaggio di Dio nella storia, che ha il nome di Gesù di Nazareth. Significato che noi (pastori, magi, discepoli di ieri e di oggi) riconosciamo e adoriamo come verità di Dio, ma anche come verità, senso, vocazione più vera della nostra vita. “Ebbe compassione”: non c’è forse espressione migliore per riassumere tutto ciò. Noi si è meditato il Vangelo di oggi (Mc 6, 34-44), prima a casa di Né e Djari, poi da Dorcelina e Nego, su all’Aeroporto. Qui, grazie a Dio, ai piani bassi della storia, si riesce ancora a vivere un’economia della compassione. Che è ciò che non riescono, il più delle volte, a fare le strutture in cui si organizza il vivere civile, dato che esse sempre più si pongono sul piano del potere, della competizione, e del profitto. Che, perciò, non solo non si preoccupano dell’altro che resta indietro o ai margini, ma lo presuppongono e, in qualche modo, lo esigono. Noi abbiamo raccontato i risultati di un’inchiesta condotta di recente da un giornalista “travestito” da ex-detenuto nel vostro Paese. E della barriera di ostilità, indifferenza, rifiuto, oppostagli da istituzioni pubbliche, da una Banca che si dice Etica, da agenti immobiliari e di collocamento, commercianti, centri sociali, e semplici cittadini. Un quadro che, del resto, non è certo esclusivo della vostra realtà, ma cifra di una intera “civiltà”. La risposta più drammaticamente buffa o patetica ci è parsa quella che gli è venuta da un ragazzotto di un centro sociale: Noi non ci occupiamo di casi singoli, noi ragioniamo sulle masse, in termini politici. Il tuo caso non c’entra niente. L’infelice! Il ragazzotto, ovviamente, mica l’ex-detenuto! Dicevamo, dunque, della compassione. O della solidarietà. Dona Nady ha raccontato di come, a Natale, con ciò che ciascuno ha dato (il litro d’olio, i fagioli, il riso, lo zucchero, il caffè..., insomma, i cinque pani e due pesci del racconto evangelico), si sia riusciti a mettere insieme quattro ceste di alimenti. E di quando è andata con Vidal a consegnarle ai destinatari. E ci ha detto della vecchina, da cui sono entrati, che stava preparando un riso, senza condimento, senza contorno. E le fanno: siamo venuti a trovarla. E lei risponde: siete arrivati proprio all’ora giusta. Se vi accontentate, possiamo pranzare assieme. Non è granché, è solo un risottino bianco. Ma lo preparo sempre col cuore. E loro hanno accettato. Lei gli ha porto i piatti, si sono serviti, si sono accomodati sulla panca, il piatto in mano, come spesso si usa qui, per risparmiare il tavolo. Mangiando e raccontandosi i casi belli e tristi della vita. Poi, alla fine, le fanno: noi si deve andare, ma, a dire il vero, si era venuti qui anche per darle una cosa. E Vidal è andato fino al furgone a prendere la cesta. E la vecchina la guarda, scuote la testa e gli occhi non sanno se ridere o piangere e, alla fine, gli viene fuori solo: Dio vi paghi. “Date voi stessi a loro da mangiare” (v.37). Questa è la missione della chiesa. Per questo, una società che dimentica la fame e la sete anche solo di una parte dei suoi, è una società pagana e idolatra. E una chiesa o dei semplici cristiani che non diventano alimento e bevanda per i poveri, cioè non spendono il loro tempo, le loro forze, le loro risorse per la causa dei poveri, o, peggio, li manipolano, o si limitano a servirli un giorno sì e un giorno no, non è una comunità cristiana, non sono discepoli di Cristo. Un gesto, quello di dare il pane, che si limiti al rito consumato tra le mura di una chiesa, e non muti lo stile di vita, l’agire politico, l’impegno economico di chi lo celebra, è quello che Paolo denuncia come mangiare indegnamente del pane del Signore, senza discernere in esso il Suo corpo e, perciò, meritevole di condanna (cf 1Cor11, 27-29).


“Grida di collera, di passione, di fede” definì l’Abbé Pierre le sue poesie, raccolte tutte, poche, in un quadernetto scritto a mano, scritto quasi cinquant’anni fa e ripescato dopo tanto tempo. Che la comunità di Romena ha tradotto in italiano e pubblicato con il titolo “Foglie sparse”. Noi ve ne offriamo lo stralcio di una d’esse, dal titolo “A dei novizi...”. Indirizzata perciò anche a noi, che siamo sempre all’inizio di un cammino. È, per oggi, il nostro


PENSIERO DEL GIORNO
Quando soffri / ama più forte. / Ama quelli / che sono più in lacrime / di te / più al freddo / con più fame / e più soli in se stessi, / e quasi più inesistenti / più assenti / a se stessi. // Non esiste più / per te / altra gioia profonda / possibile. // Amali abbastanza / per farli essere / tutta la pienezza / di ciò che possono / ti faranno male / amali di più. // Se la tua vocazione / - per un periodo? / per sempre? / che puoi saperne adesso? - / è veramente / di entrare in questa follia / di assoluto / non c’è altro modo / allora / per mantenersi dritto / vacillante / e comunque dritto / se non questo amore / minuscolo / in tutte le minuscole offerte / di tutti i minuscoli istanti // questo amore / dei più piccoli / dei più gracili / dei più meschini / dei più senza gradi // poiché / è allora / che il grado unico / compare // sotto il più disfatto / sotto il più insudiciato / sotto il più schernito / sotto l’ultimo / dei visi / il viso di un uomo / immagine / dell’Eterno Invisibile Viso // Lascia gemere / e borbottare / e lamentarsi / il tuo essere // Non provare mai / nel tuo intimo / a fare il furbo / mai / nel tuo intimo / a mentirti / giocando a mormorare / che il male non è male / che il male è bene // o che è neutro! // Tutto il disordine / tutto ciò che froda / è frode / è il brutto / che rovina la Bellezza // Sì, Signore / sono vigliacco / e fragile / e tremante // ah! essere finalmente / fuori del cerchio del tempo / dove si mischia / così tanta colpa / al più piccolo bene // Ma, Signore, non è / perché sono debole / e miserabile / e così avido / per necessità di perdono // non è perché mi serve così tanto / il Tuo perdono / che dirò: scappo / e abbandono // abbandono quelli che piangono / e che sono soli nella loro pena. // Sarebbe stupido / aggiungere la stupidità alla debolezza / e cattivo // Signore / poiché sono così vigliacco / ah! è chiaro / bisogna che io ami / cento e mille volte di più // e che io serva / e che io rida / e che sorrida a ciascuno / anche quando bisogna / rimproverare per amore / e che nasconda le mie lacrime / e la confusione del mio rimorso / e lo spezzarsi di tanta confusione / nel più profondo di me. // Solo la bontà / la vera e leale bontà / la pratica e reale bontà / che fa sì che io voglia / privarmi / affinché meno altri ancora / vengano privati / lava e / come la neve / fa ritornare / immacolato il candore // (Abbé Pierre, A dei novizi...).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro. Il postino.

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