20 settembre 2012

CALDO E....INDIETRO TUTTA !

Quando il sole sembra un braciere, la temperatura é di 38 gradi all´ombra e l´umiditá dell´aria é 20 per cento, la testa va in surriscaldamento ed io non riesco piú a concentrarmi su niente. Sono circa venti giorni che ogni pomeriggio siamo messi cosí. La stagione secca é ufficialmente finita, ma é caduta soltanto una pioggerellina di dieci minuti. L´unica cosa certa é che prima o poi pioverá. Perché, su questo punto, scienza e fede coincidono. Gli scienziati assicurano che la nostra galassia ha ancora parecchi milioni di anni prima di esplodere. E il Signore ha promesso di ascoltare sempre il grido degli oppressi.
Abbiamo avuto qui in casa diverse visite: Chicão (Don Francesco Cavazzuti) e sua sorella Suor Teresa, poi don Angelo Cocca che, con suo nipote Marco, é rimasto con noi una settimana. Le suore con la mamma di una di loro (dall´Argentina). Infine, é rientrato dall´Italia Padre Lira, ex compagno di Padre Severino e Luis nella missione in Mozambico. Partito alcuni anni fa per studiare alla Gregoriana, si era invaghito della parrocchia Toscana dove andava ogni domenica in aiuto a un parroco anziano, e per questo aveva abbandonato quasi del tutto gli studi. Ha fatto felicemente il suo ingresso ad Heitoraí, di cui era stato nominato parroco prima ancora di arrivare. Non ci sono i vini della Toscana (mi pare che lui fosse a Laiatico, vicino a Volterra), ma gli piacerá la “pamonha”. E sará nostro vicino.
Le formiche che invadevano la mia cucina ogni notte sono sparite grazie a una manciata di chiodi di garofano collocata nei loro punti di accesso ai cibi. Le formiche rosse che cercano zucchero, e pure le altre piccole e nere che attaccano qualsiasi cibo o bevanda, odiano l´odore dei chiodi di garofano e scappano via. Non conosco l´inventore, ma funziona. É stata un´idea geniale di qualcuno o qualcuna impegnati nella lotta millenaria degli esseri umani per dominare la natura. Quest´ultima tuttavia (la natura), sviluppa nuove proprietá per affrontare i veleni e le diavolerie che noi le opponiamo. Infatti é comparsa una nuova specie di formiche che non avevo mai visto in vita mia, e che non temono l´odore di chiodi di garofano. Sono cosí piccole che, quando si riesce a vederle, ce ne sono giá migliaia. Riescono a passare perfino sotto il tappo a pressione del barattolo dello zucchero. Sono talmente affamate che, se lasciate un bicchiere di spremuta di frutta sul tavolo, quando l´andate a bere ci trovate centinaia di formichine annegate. Non c´é scampo.
Come il sole, anche la campagna elettorale diventa si fa sempre piú rovente man mano che si avvicina il giorno del voto: 7 ottobre. In questa fase i candidati cominciano a denunciare la disonestá degli avversari. Invitano a comizi in cui si insegnerá al popolo di Itaberaí quanto é importante dare il voto a persone senza macchia, che hanno sempre cercato solo il bene del prossimo. Il governatore, per intercessione del candidato (a) alleato (a), si affretta a passare una copertura di asfalto nelle vie principali. Le altre, pazienza: le asfalterá nelle prossime elezioni! Casualmente, passando davanti alla sala di un comitato elettorale, ho testimoniato una scena che farebbe andare giú di testa i modenesi: i propagandisti in circolo, che si tengono per mano mentre la candidata dirige una piccola celebrazione con lettura biblica (“se Dio é con noi, chi sará contro di noi?”) e poi preghiere spontanee (Affinché la nostra candidata possa realizzare il suo proposito di salvare questa cittá, ascoltaci o Signore) e infine un Padre Nostro e la benedizione (Che il Signore ci benedica). Non é commovente?
E ora una notizia seria: si continua a commentare l´emorragia di cattolici nella Chiesa brasiliana. Negli ultimi 20 anni avrebbe perso 16 punti percentuali, da 83 a 67%. I Vescovi ne hanno discusso in assemblea nel maggio scorso. Negli anni 60 erano piú del 90%, ma i praticanti non arrivavano al 10%: con la rapiditá con cui i pentecostali preparavano pastori, presbiteri e obreiros, mentre dentro alla nostra Chiesa c´era solo un piccolo numero di preti e religiose, era evidente che avremmo perso sempre piú terreno. Ma noi siamo duri di comprendonio. Nell´80 incolparono la Teologia della liberazione, e decisero di sopprimerla e adottare un percorso neo-tradizionalista. Il professor José Lisboa Moreira de Oliveira, della Pontificia Universitá Cattolica di Brasilia, in un articolo di cui vi traduco alcune parti perché le condivideva giá assai prima che lui le scrivesse, cosí commenta:
“Io non sono preoccupato per la crescita degli evangelici. Benché sia convinto che molte chiesine evangeliche non possiedono nessuna ossatura di serietá, penso che Dio ha le sue strade. Egli puó, tra le altre cose, togliere il suo Regno dalle mani di una chiesa che se ne crede padrona, per consegnarlo ad un´altra. E se preferisce consegnarlo a qualche segmento evangelico, non c´é modo di impedirglielo. Ció che voglio sottolineare in questa breve riflessione é il fallimento di un modello di Chiesa che fu impiantato nel nostro paese negli ultimi anni. Si é perduta l´occasione di dare vita a un modo di essere Chiesa assai piú prossimo al Vangelo e alla realtá del popolo brasiliano. Da questo non si puó sfuggire senza tradire la veritá. (....)
“Non sono mancati i "segni dei tempi”, ma buona parte dei dirigenti della Chiesa cattolica preferí "non interpretare il tempo presente” (Lc 12,56). Sarebbe bastato, ad esempio, prendere sul serio ció che aveva detto Paolo VI nell´esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi. In quel documento, elaborato partendo dalle indicazioni del Sinodo dei Vescovi del 1974 sull´evangelizzazione nel mondo contemporaneo, il papa, quasi in modo profetico, prevedeva una serie di percorsi di evangelizzazione ben appropriati e necessari alla Chiesa di allora. Ma, come si é visto, il progetto di evangelizzazione neoconservatore che seguí non prestó la minima attenzione alle indicazioni del papa. (.....)
Il papa affermava, allora, il valore delle comunitá ecclesiali di base le quali, in modo speciale nelle grandi metropoli, avrebbero potuto contribuire efficacemente a superare la massificazione e l´anonimato (nº 58). Ma cosa fecero la maggioranza dei leaders cattolici? Preferirono la pastorale delle masse, dei grandi raduni del gregge, degli spettacoli, nei quali, come dimostra la sociologia della religione, prevale l´anonimato e l´indifferenza. Le persone saltano, gridano, danzano, ma senza preoccuparsi dell´”altro”. Pensano solo nei loro problemi e nella soddisfazione immediata delle proprie necessitá e carenze. La pastorale di massa non umanizza le relazioni. Riunisce ma non unisce, e non alimenta la solidarietá.
I leaders, in maggioranza, preferirono sopprimere le comunitá ecclesiali di base o le relegarono a un secondo piano, in modo che si puó dire che la loro esistenza oggi é frutto del grande miracolo della resistenza di alcune persone. Nel frattempo, gli evangelici seguivano il cammino opposto, aprendo in ogni angolo un piccolo tempio in cui le persone si incontrano non solo per pregare o canticchiare, ma anche per rafforzare legami di amicizia e sostegno reciproco. Il calore umano diventa, in certo modo, “vincolo di fraternitá”, che conserva le persone unite nella comunitá.
Ci fu pure lo smantellamento di altri elementi indicati da Paolo VI come essenziali per la nuova evangelizzazione. Si pensi, ad esempio, al dietrofront nel campo dell´ecumenismo, del dialogo inter-religioso, del dialogo coi non credenti e coi non praticanti. Ma si pensi anche nei retrocessi interni che hanno portato le persone pensanti e piú consapevoli ad abbandonare definitivamente la Chiesa Cattolica. Mi sembra, perció, che sia giá ora che la gerarchia in Brasile si ponga davanti a queste domande serie sollevate da tante persone. E, come voleva Paolo VI, “dia risposte leali, umili e coraggiose, agendo di conseguenza”.
José Lisboa Moreira de Oliveira – Filosofo, dottore in teologia, ex-assessore del settore vocazioni e ministeri della Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani (CNBB), ex-presidente dell´Istituto di Pastorale Vocazionale, direttore e professore del Centro de Riflessione sull´etica e antropologia della religione (CREAR) dell´Universitá Cattolica di Brasilia. Fonte Adital.

10 settembre 2012

PERCHÉ ABBIAMO PAURA ?

Il 7 settembre, anniversario dell´Indipendenza del Brasile, per me é quasi una tradizione visitare il compaesano Nello (nato a Polinago). Ha 88 anni, é un pó dimagrito, ma continua testardo e indipendente. Lucidissimo e facondo nella sua lettura della storia, da come parla sembra appena uscito da un romanzo di Bernanos. La radio locale di Itapuranga gli ha concesso a vita mezz´ora di trasmissione col diritto di dire ció che vuole. La sua interpretazione del mondo riflette sentimenti assai diffusi, ma che solo lui ha il coraggio di esprimere cosí apertamente: perció l´indice di ascolti é garantito. Pure la sua vita reale é un discorso. Vive in un tugurio, non accetta medici e ospedali, va dai vicini ad assistere le partite di calcio. Nessuno dei poveri che lo circondano gli negherá una mano per aiutarlo a morire quando sará ora, perché gli vogliono bene. Registro una sua frase come se fosse il suo testamento (ognuno lo decifri come vuole).
“Chico, nel tempo in cui sono stato prete, io non ho mirato a carriere, ricchezze o interessi. Ho scelto la povertá e i poveri, e rimango tutt´ora uno di loro. Sono contento di ció che ho fatto dietro ispirazione di Gesú. Oggi viviamo nella menzogna, si falsificano i pesi, le misure, i contratti, le notizie e anche il Vangelo. Gesú, é stato legato con tre camicie di forza: la civiltá e cultura greco-romana, il sistema religioso-gerarchico e il capitalismo. Se tornasse tra noi sarebbe crocefisso di nuovo, subito”.
Carlo Maria Martini é un altro anziano partito da questo mondo nei giorni scorsi. Cardinale di santa romana Chiesa, arcivescovo emerito di Milano e gesuita, non ha usufruito del privilegio di farsi un palazzo. Amatissimo dai milanesi e apprezzato in tutto il mondo, il suo testamento spirituale é una domanda imbarazzante finita sulle prime pagine dei giornali: “Perché abbiamo paura?” Biblica. La si riscontra nei Vangeli: “Gente di poca fede, perché dubitate?” (Mt. 14, 22-23). E poi nell´Esodo, nelle lettere di Paolo, eccetera. Pietro scriveva: “Si deve obbedire prima a Dio che agli uomini” (Atti, 5, 29). E Paolo: “La debolezza di Dio é piú forte degli uomini” (1 Cor. 1, 25). Giovanni XXIII fu un esempio di coraggio, convocando un Concilio Ecumenico “per ascoltare la voce di tutte le Chiese e i popoli del mondo” e chiedendo ai cristiani di guardare intrepidi verso il futuro”. Don Abbondio invece, interrogato a Milano da un predecessore di Martini, aveva risposto con una sentenza altrettanto famosa ma assai piú prosastica: “Il coraggio uno non se lo puó dare!”
La domanda del cardinale riguarda problemi concreti e attuali (come la comunione ai praticanti risposati, e il celibato obbligatorio dei presbiteri che lascia centinaia di migliaia di comunitá senza la messa per un comandamento che Dio non ha mai dato), e le riforme strutturali per organizzare la Chiesa come “Popolo di Dio”, nel modo indicato dal Vaticano II e giá praticato dalle prime chiese locali cristiane. C´é tutto il capitolo II della Lumen Gentium da realizzare. Ne parlano apertamente, ormai, i giornali e la teologia di tutto il mondo. Riforme complesse, che non piacciono a tutti e che spaventano chi é abituato ad amministrare lo status quo. Per ora si risponde imponendo il silenzio. Purtroppo il mondo non si ferma ad aspettare. I responsabili dovranno pur trovare una soluzione collegiale e onesta, pensando al Popolo che Dio vuol salvare.
Anche il nostro vescovo emerito novantenne, don Tomás Balduino, in una recente intervista concessa a Padre Ermanno Allegri direttore di Adital, ha sottolineato l´importanza di attuare il Concilio: “Sono 20 anni che penso e tento trasmettere. Per prima cosa che il futuro é nelle mani del laicato della Chiesa, non della gerarchia. Una pianta di banane che ha giá prodotto il casco non serve piú. Ha la sua funzione, ma la forza della Chiesa é il laicato. E il Concilio é andato avanti un pó timidamente su questo, ma il cammino per superare queste dipendenze, queste mille dipendenze dalla parrocchia oppure dal Vescovo, una linea per creare una autonomia é la scuola di teologia, la scuola biblica”.
Personalmente condivido queste posizioni (quelle che conosco!) e ho fatto del mio meglio, nella pastorale, per far crescere il laicato. Anche con qualche esito. Tuttavia temo che siamo rimasti indietro anche noi. Molta gente ha giá trovato le proprie soluzioni: c´é chi si é allontanato del tutto, chi ha scelto altre chiese cristiane forse perché piú piccole e semplificate della nostra, e c´é un numero sempre in crescita di chi si rivolge alle devozioni, alle preghiere di cura e ad altre forme che forniscono emozioni piú forti. I problemi piú sentiti non sono, forse, quelli dell´organizzazione ecclesiastica, ma quelli della salute, della famiglia, delle difficoltá economiche e di lavoro.
Cosí ci sono preti che incantano milioni di telespettatori con lunghissime ed emozionanti benedizioni a bicchieri d´acqua posati sulla tavola dagli utenti televisivi, che poi bevono l´acqua benedetta per avere la cura. E raccolgono fior di quattrini per costruire nuovi templi. In questi giorni, in tv, vedo un pastora che fa successo vendendo federe per i cuscini: “le federe dei buoni sogni”. Le immagini di madonne e santi vanno a ruba, e affollano sempre piú chiese e cappelle. A Itaberaí prosperano il “rosario per uomini”, la “novena del perpetuo soccorso”, il “rosario della misericordia”, la “rosa mistica”. Soltanto Dio sa che cosa ne verrá fuori da tutte queste novitá. Gesú non respinse i devoti che avevano bisogno dei miracoli. Ma le sue cure non utilizzavano i poveri e sofferenti per raccogliere fondi per la sua congrega: e curavano soprattutto la societá religiosa e civile dalla malattia delle esclusioni. É consolante che in tante comunitá la messa piace ed é celebrata e partecipata con intensitá e ascolto attentissimo della Parola.

1 settembre 2012

RICORDARE, ASCOLTARE

In attesa delle foto di don Angelo Cocca, che assieme al nipote Marco é passato in visita ad Itaberaí - para matar a saudade!
“Não temais os que matam o corpo – não temais os que armam ciladas – não temais os que vos caluniam – nem aqueles que portam espadas. – Não temais os que tudo deturpam – prá não ver a justiça vencer”. “Non temete quelli che uccidono il corpo – non temete quelli che preparano agguati né quelli che portano spade – non temete quelli che deturpano ogni cosa per evitare che la giustizia trionfi”. E conclude: “Temete piuttosto la paura di chi mente per sopravvivere”.
É la prima strofa di un inno intitolato “la veritá vi fará liberi”. Essa ha avuto un ruolo importante 25 anni fa, nei giorni che seguirono l´attentato a don Francesco Cavazzuti (27 agosto 1987), che fu accecato con una fucilata a pallini da un killer, pagato da latifondisti per ucciderlo. In quei giorni, appunto, nelle chiese di Mossamedes e Sanclerlandia dove don Francesco (Chicão) era parroco, questo inno fu cantato ininterrottamente in chiesa da una folla orante ma anche molto indignata: quasi come un inno di guerra.
Sono altri tempi. Allora, bisognava scegliere da che parte stare perché il clima era di battaglia. Al grido “Riforma Agraria” rispondevano col fucile. Oggi chi vuole un pezzo di terra fa domanda scritta e aspetta. I beneficiari della Riforma sono ben visti. Sono tra i pochi che fanno ancora produzione agricola tradizionale, che va a ruba nei mercati di paese. Gli eroi del passato sono ricordati come uno stimolo ad affrontare i problemi di adesso, che sono del tutto diversi. Il muro su cui sedevano quelli che “mentono per sopravvivere” non esiste piú. Ne hanno costruiti altri. Don Francesco é venuto a Goiania a ricordare, e il principale giornale della capitale gli ha dedicato l´intera prima pagina, con una foto grande e un´intervista.
La sera del 27 agosto scorso, durante l´incontro diocesano di Goiás, abbiamo celebrato insieme la messa in memoria. Don Francesco ha presieduto. Sono passati 25 anni! Chicão ha fatto notare nell´omelia che per lui sono stati 25 anni di cecitá sí....ma di vita, comunque. ‘Dio ha lasciato al killer la libertá di spararmi, ma non gli ha permesso di togliermi la vita”. Alla fine della messa diverse persone, tra quelle convenute anche da assai lontano per incontrarsi con lui, hanno confermato e completato il suo discorsi affermando: 25 anni di vita in cui ha continuato ad essere importante per la nostra vita. “Lui, cieco, ha fatto aprire gli occhi a me” – é stata una delle testimonianze.
Nel frattempo noi, nell´incontro diocesano di Coordinazione, abbiamo abbordato i principali documenti del Vaticano II per dare inizio alla celebrazione dei 50 anni del Concilio. L´avevo giá annunciato su questo blog. La diocesi si propone di continuare la commemorazione fino al 2015, a tappe. Il Vaticano II é importante: le sue proposte di come essere Chiesa, come celebrare, come leggere e pregare la Bibbia, come fare pastorale, ci permettono ancora oggi, come Chiesa, di “guardare intrépida para o futuro” (parole di Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio), perché le strade sono state aperte.
Il Vaticano II ha dato la parola a tutte le voci del mondo: alle Chiese, alle religioni e a quelli che non hanno “fede” ma cercano la veritá e la giustizia. La Chiesa, nel Concilio, ha ascoltato! Ci ha indicato che la via della pace e ascoltarci l´un l´altro. Di solito facciamo il possibile per far tacere l´altro, interromperlo mentre parla, anticipare le sue parole per fargli dire qualcosa che lo condanni. Scribi e dottori facevano cosí con Gesú.
Ultimissima: Carlo Maria Martini ci ha lasciato. Continuerá presente tra noi come Gesú: nel grande Mistero del Corpo di Cristo. Perché é stato un suo discepolo esemplare.