26 aprile 2010

SEGNI DEI TEMPI?

Foto: é svelato il mistero del fiorellino, si chiama lisiantum. Nessuno ha vinto il gelato, l´ho scoperto presso un fioraio.

Dal sito: statusecclesiae.net

Venite a me, voi che siete oppressi

Fra Timothy Radcliffe al clero di Dublino, dicembre 2009
Fonte: Il Regno

«Quella attuale è una crisi tremenda per la Chiesa... È... molto più che la crisi delle violenze sessuali perpetrate su dei minori da parte di alcuni sacerdoti e religiosi. E' la crisi di tutta la concezione del sacerdozio e della vita religiosa» nella Chiesa: sono nette le parole che Timothy RadcIiffe, già maestro generale dei domenicani, usa per rileggere i recenti avvenimenti che hanno colpito la Chiesa, quella irlandese in particolare (cf. qui a p. 193). Lo fa rivolgendosi ai sacerdoti della diocesi di Dublino durante un ritiro spirituale dello scorso dicembre. «E una crisi trentenda per la Chiesa, ma reca con sé una promessa e una benedizione». Infatti, i tanti e complessi fattori in gioco sono riconducibili a un modello di «potere che si trova alla radice della crisi delle violenze sessuali: la violenza del potere esercitata ai danni dei piccoli e dei vulnerabili». Ma questo non è «il potere di Gesù, che era mite e umile di cuore». Pertanto, conclude il domenicano, «non avremo una Chiesa sicura per i giovani finché non... diventeremo di nuovo una Chiesa umile in cui siamo tutti pari, figli dello stesso Padre».

E' per me un grande privilegio, oltre che un onore, esser qui con voi oggi. Avevo già avuto il piacere, un paio d'anni fa, di guidare un ritiro per il clero dell'arcidiocesi, e sono felice di essere di nuovo con voi. È un periodo estremamente duro per la Chiesa sia in Inghilterra sia in Irlanda, ma per voi in questi giorni lo è ancor di più, ed è questo che vi spinge· a riunirvi in preghiera.

Mi è stato detto che il tema di questi giorni è: «Venite in disparte e riposatevi un po'». (cf. Mc 6,31). Perciò ho pensato che avrei fatto una meditazione su quel brano di Matteo tutto dedicato al tema del riposo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,28-30). E quindi spero che si tratterà di una chiacchierata riposante; vi chiedo solo il favore, se schiacciate un sonnellino, di non russare!

Buona crisi
Gesù dice ai suoi discepoli: «Venite a me». Si tratta di un invito all'intimità. I discepoli vengono invitati a riposare nella sua amicizia. Ed è questo che vorrei approfondire un poco: come, in un periodo così duro, possiamo riposarci nell'amicizia del Signore.

E una crisi terribile per la Chiesa, non solo in Irlanda ma anche in Gran Bretagna, in America e in Australia. Ma sono fermamente convinto - e lo dissi nel Corso di quel ritiro - che la crisi è una possibilità che ci viene data per avvicinarci a Dio. La peggior crisi mai conosciuta da Israele fu la distruzione del Tempio, la fine della monarchia e l'esilio a Babilonia, nel VI secolo a.C. Israele perdette tutto quello che costituiva la sua identità: il culto, la nazione, il re. Ma scopri così di avere Dio più vicino di quanto non lo fosse mai stato. Dio era presente nella legge, sulle-loro bocche e nei loro cuori, ovunque fossero, per quanto lontani da Gerusalemme.

Mentre stavo preparando queste riflessioni, lunedì scorso, all'ora media abbiamo cantato: «La mia delizia sarà nei tuoi comandi, che io amo. Alzerò le mani verso i tuoi comandi che amo, mediterò i tuoi decreti» (Sal 119,47-48). Perdettero Dio solo per riceverlo più vicino di quanto potessero immaginarsi.

E poi comparve quell'uomo scomodo, Gesù, a infrangere l'amata legge, a mangiare nel giorno di sabato, a toccare gli impuri, ad abitare con le prostitute. Sembrava che cercasse di fare a pezzi tutto quello che essi amavano, il modo stesso della presenza di Dio nelle loro vite. Ma fu solo perché Dio desiderava essere presente in un modo ancor più intimo, come uno di noi, col volto di un uomo. E a ogni eucaristia ci ricordiamo di come fu necessario che lo perdessimo. Ma, di nuovo, solo per riceverlo ancor più da vicino, non come un uomo fra noi ma come la nostra stessa vita.

Questa ultima crisi è un tempo che ci viene dato per scoprire Gesù ancor più vicino a noi di quanto avessimo mai immaginato. E una crisi causata dalle mancanze che noi stessi abbiamo compiuto in quanto Chiesa, ma Dio può farne una benedizione se la viviamo nella fede. E dunque possiamo stare tranquilli. Dopo avervi insistito sopra come faccio di solito, un mio confratello americano mi ha fatto una maglietta con su scritto «Buona crisi». Volevo indossarla per voi, oggi, ma si è inopinatamente ristretta e non riesco più a entrarci dentro!

Quando ero un giovane studente alla Blackfriars, la comunità domenicana di Oxford, il convento fu attaccato da un gruppo di destra, irritato per il nostro impegno su tematiche di sinistra. In due diverse notti piazzarono delle piccole cariche esplosive, che fecero un sacco di rumore e ruppero qualche finestra. Tutta la comunità venne tirata giù dal letto, tranne il priore. Mi divertii parecchio a scoprire l'abbigliamento notturno dei miei confratelli: chi portava il pigiama, chi i boxer, chi niente... Arrivarono la polizia e i vigili del fuoco. Mi decisi infine ad andare a svegliare il priore. «Svegliati, Fergus, il convento è stato attaccato!». «Ci sono dei morti?». «No». «Ci sono dei feriti?». «No». «Bene, allora lasciami dormire e ci penseremo domattina». Fu la mia prima lezione di leadership! Cristo è il vincitore. Possiamo stare tranquilli, qualsiasi cosa accada.

Dunque la domanda che ci dobbiamo porre oggi è: in che modo poter vivere questa crisi come un tempo di benedizione e di vita nuova? Teniamo davanti agli occhi quel che dice Gesù, e vediamo cosa ci suggerisce: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro».

Nelle due scorse settimane, forse molti di voi si sono sentiti piuttosto affaticati e oppressi. Forse avete avvertito sulle spalle il peso dello scandalo delle violenze e il fatto che molti vescovi per decenni hanno mancato di affrontarlo. Forse vi siete sentiti con le spalle al muro per la rabbia della stampa e per quella di alcuni parrocchiani, e - cosa ancor peggiore - per la loro triste e partecipe delusione. Ovunque abbia tenuto delle conferenze in Inghilterra in questi giorni, ne sono ritornato estenuato a motivo della rabbia contro la Chiesa.

«Sei stato tu!»
Come possiamo portare tutto questo al Signore, così che egli possa toglierci un carico così pesante? Bene, egli dice: «Venite a me voi tutti che siete così gravati». Voi tutti. Significa che andiamo a lui insieme a tutti quelli che hanno un peso sulle spalle. Dobbiamo andare a lui insieme a quelli che portano il carico più pesante di tutti: quanti hanno subito le violenze. Se dobbiamo avvicinarci ancor più a Gesù, allora dobbiamo aiutarli a portare il loro carico. Sembrerà per noi un peso ulteriore, ma alla fine ci toglierà dalle spalle anche il nostro carico.

Devo ammettere che questo mi fa paura. Temo la rabbia e le ingiurie di quelli ai quali abbiamo inferto violenza. Quando li sento parlare alla radio o alla televisione, riesco a stento a resistere: voglio spegnere. Ma l'amicizia con il Signore comporta che, in qualche modo, dobbiamo vacillare insieme, portando il loro peso, la loro rabbia e le loro ingiurie; la delusione e la sofferenza del popolo di Dio. E persino il gravoso peso dei nostri confratelli che hanno esercitato violenze su minori. Dobbiamo aiutarli a portare il loro peso. Se ci caricheremo sulle spalle i pesi gli uni degli altri, allora il Signore ci darà ristoro.

Nel Vangelo di Luca, durante l'ultima cena, Gesù dice ai disccpoli: «Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra gli empi. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento» (Lu 22,37).

Se siamo chiamati a riposare nell'amicizia di Gesù, è segno che probabilmente ci ritroviamo nell'elenco dei trasgressori. Una fantastica suora domenicana irlandese mi ha riferito di essere andata a una grande riunione di famiglia, con centinaia di parenti. E che c'era un grande albero genealogico, e sotto a ciascun nome la lista dei discendenti. E che sotto il suo nome e sotto quello di un cugino prete c'era un punto interrogativo. Come a dire: «Non sappiamo cosa hai combinato... ».

Una volta, a New York, il padre provinciale mi chiese d'incontrare un uomo che dichiarava di aver subito violenza da un domenicano morto da tempo. Ho passato con lui e con sua moglie un'ora d'inferno, poiché in sostanza gridava: «Sei stato tu». Eravamo esattamente coetanei. Ma all'epoca dei fatti non avevo sentito nemmeno parlare dei domenicani. Fui tentato di gridare più forte: «Questo non ha niente a che fare con me». E c'è la tentazione di aggrapparsi a dati più consolanti, come le indagini svolte in Inghilterra e negli Stati Uniti, che mostrano che in effetti gli altri ecclesiastici tendono a trasgredire più spesso dei sacerdoti cattolici, sebbene tutti sparino contro di noi.

Lo scrollarci di dosso il gravoso peso del sentirsi giusti ci consentirà di riposare. E così faticoso dover fingere di essere santi ventiquattro ore al giorno. I santi spesso raccontano quali orribili peccatori sono, e questa mi è sembrata spesso una cosa folle! Che improntitudine! Ma naturalmente, sapevano di essere solidali con la massa dei peccatori comuni.

L'arcivescovo Rembert Weakland, che fu costretto a dimettersi a causa di uno scandalo a base di sesso e di soldi, scrive nella sua autobiografia quale genere di sollievo la crisi gli aveva donato. Osserva che santa Teresa di Lisieux «una volta scrisse che voleva presentarsi davanti a Dio a mani vuote. Per quanto mi riguarda, ora penso di sapere che cosa intendesse con quell'espressione. Ho imparato quanto la mia stessa natura umana è fragile, quanto ho bisogno dell'abbraccio amorevole di Dio» (A Pilgrim in a Pilgrim Church: Memoirs of a Catholic Archbishop, Cambridge 2009, 5).

H.G. Wells scrisse un breve racconto sul giudizio universale. Un formidabile peccatore, il re Acab, antico avversario di Elia, sta seduto sul palmo della mano di Dio per essere sottoposto a giudizio. E strilla e cerca di fuggire mentre l'angelo della giustizia dà lettura di tutti i suoi peccati, finché in conclusione si rifugia nella manica di Dio, dove trova riparo. Poi giunge un santo profeta, forse Elia, e siede anch'egli nel palmo della mano di Dio, e si dispone ad ascoltare compiaciuto la lettura delle sue buone opere. Ed ecco che l'angelo della giustizia tira fuori delle cose disgustose.

«Meno di dieci secondi dopo - prosegue il racconto - anche il Santo stava correndo avanti e indietro sul grande palmo della mano di Dio. Meno di dieci secondi. E alla fine anch'egli gridò, sopraffatto da quell'impietosa e cinica esposizione (dell'angelo della giustizia), e lui pure fuggì, alla stessa maniera del Malvagio, nell'ombra della manica. E i due sedevano fianco a fianco, spogliati dei loro fantasmi, all'ombra della tunica della carità di Dio, come fratelli. E anch'io fuggii là a mia volta». Portiamo dunque i fardelli gli uni degli altri, delle vittime, di chi ha perpetrato le violenze, del popolo di Dio. Abbandoniamo il gravoso peso con cui tentiamo di puntellare la nostra rettitudine e cerchiamo ristoro dentro la manica di Dio, insieme a tutte le altre povere canaglie.

«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me (...). Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Il giogo di cui parla Gesù è la sua Legge. Nell'Antico Testamento (cf. Sir 51,26) e nel giudaismo rabbinico, era la Torah il giogo cui venivamo vincolati. E il contrasto è nei confronti dei farisei, che legano «fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). Diversamente da quello dei farisei, il giogo di Gesù è leggero.

Se pensiamo alla nostra stessa amata Chiesa negli ultimi secoli, sembra che siamo stati più simili ai farisei, perché abbiamo posto dei pesanti fardelli sulle spalle della gente. Spesso questi carichi sono stati associati al comportamento sessuale. Abbiamo detto alle famiglie che hanno molti figli che non è consentito alcun genere di contraccezione, e ai giovani che non possono permettersi di sposarsi che il loro comportamento sessuale dev'essere posto sotto stretto controllo - un bacio non duri più di dieci secondi - e alle persone omosessuali che nulla è permesso e che devono vergognarsi della loro sessualità.

L'insufficienza della morale del gendarme
Ora, a prescindere da quanto di giusto o di sbagliato vi sia nell'insegnamento della Chiesa, ciò è stato percepito dai nostri cristiani come un peso gravoso. Ed ecco che ora scoprono che i preti che li hanno caricati in questo modo hanno peccato in materia sessuale molto più gravemente. Alla stregua dei farisei, abbiamo predicato bene e praticato male. Potete immaginare la rabbia di una donna che ha avuto un bambino dopo l'altro e non ne può più, o di un giovane omosessuale, quando sentono quello che dei preti, per quanto pochi, sono stati capaci eli combinare!

E questa rabbia è ulteriormente esasperata dal fatto che la pedofilia è diventata il peccato sessuale. In una società laica come quella inglese, non ce ne sono davvero più altri. Al programma della BBC The Moral Maze (Il labirinto morale; ndt) la scorsa settimana, si discuteva di una donna nota come Belle de jaur, che aveva gettato alle ortiche la sua laurea per diventare una prostituta part-time. La maggior parte degli intervenuti non riusciva a trovarci niente di sbagliato. Si trattava di un rapporto contrattuale, nient'altro. Col nostro corpo possiamo fare quel che vogliamo. E il sadomasochismo è solo un pezzo della ricca galleria delle esperienze sessuali. Per qualche strana ragione pare che attragga particolarmente gli inglesi delle classi abbienti.

In tal modo qualsiasi inquietudine relativa al comportamento sessuale, il senso diffuso che c'è qualcosa di sbagliato, tutta quest'ansia si focalizza sul pedofilo. E lui (o lei) il grande peccatore sessuale, l'unico peccatore. Non intendo in alcun modo minimizzare la gravità della violenza, che è indubitabilmente orrenda e ingiustificabile, ma aiutare a capire il livello e l'intensità della rabbia. Ho l'impressione che la violenza sessuale nei confronti dei minori sia il parafulmine su cui si scaricano tutte le nostre ansie a proposito della sessualità e di come essa sembra ormai separata da qualsiasi idea morale.

Come possiamo dunque togliere il peso dalle spalle nostre e altrui? In che modo Gesù ci insegna a condividere il suo giogo, che è dolce e leggero? Dobbiamo, naturalmente, andare verso gli altri e verso noi stessi con benevolenza e compassione. Ritengo che sia quanto fa la grande maggioranza dei preti di questa diocesi. Quantunque il mio confratello irlandese, Herbert McCabe) mi abbia detto che una volta è andato a confessarsi a Dublino e ha rimediato una formidabile lavata di capo. Allora è uscito dal confessionale, ha detto la sua penitenza, ha aspettato che il sacerdote uscisse fuori e gli ha rifilato una strigliata ancor più aspra. Se qualcuno dei presenti, dopo la conferenza, vuole venire a confessarsi, sono disponibile!

Ma ci occorre qualcosa di molto più radicale della benevolenza. Ci occorre una rinnovata comprensione di ciò che significa portare il giogo dei comandamenti di Gesù. Dobbiamo fare i conti con l'idea complessiva che la morale è principalmente una questione di proibizioni e di obblighi. L'idea che essere buoni significa sottomettere la propria volontà al grande Gendarme che è nei cieli è vecchia e sbagliata. Alcuni danno la colpa a Ockham, ma lungi da me, domenicano, puntare il dito contro uno dei mie fratelli francescani!

Credo che questa visione della morale abbia certamente preso piede con l'Illuminismo e la sua cultura del controllo. L'Illuminismo vedeva il mondo e la società come un meccanismo da tenere sotto controllo, alla stregua di un orologio. E le leggi morali corrispondevano alla volontà dell'orologiaio. Essere buoni significava sottomettersi alla volontà arbitraria di Dio e dello stato. Significava distinguere quello che ci è permesso e quello che ci è proibito.

Dobbiamo sollevare tutti, compresi noi stessi, da questo gravoso peso del Gendarme celeste. I Dieci comandamenti non vennero originariamente visti, né presso Israele né dalla Chiesa delle origini, come la volontà arbitraria di Dio. Se lo facessimo qualcuno di noi potrebbe solidarizzare con Bertrand Russel, quando disse che andavano considerati come un questionario d'esame: nessun candidato riesce ad arrivare a sei!

Durante la Seconda guerra mondiale era cappellano militare un domenicano polacco. La vigilia della battaglia di Montecassino apri la tenda e vide, allarmato, che migliaia di soldati polacchi volevano confessarsi. Cosa poteva fare? Vi ricordo che l'assoluzione generale non era stata ancora inventata. Così li fece sdraiare tutti a faccia in giù, in modo che nessuno di loro potesse vedere gli altri. E disse: «Passeremo in rassegna uno dopo l'altro i Dieci comandamenti. Se ne avete infranto uno, muovete il piede sinistro e col destro indicate quante volte».

L'estate scorsa ho avuto un interessante colloquio col rabbino capo di Gran Bretagna, Jonathan Sachs. Mi ha detto che la Torah non contiene la parola «obbedire», nel senso di sottomettere la propria volontà a un controllo esterno. Quando è stato fondato lo Stato d'Israele) dopo l'ultima Guerra mondiale, è stato necessario prendere in prestito una parola dall'aramaico per «obbedire» nel senso moderno suddetto.

Invece la parola ebraica che in genere traduciamo con «obbedire» significa «ascoltare». I comandamenti non sono una costrizione dall'esterno. Sono sempre un invito a entrare in una relazione personale con Dio. «lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile: non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,2-3). I Dieci comandamenti significano condividere l'amicizia e la libertà di Dio. Sono stati dati a Mosè, al quale Dio ha parlato come a un amico.

E la stessa cosa con Gesù. Gesù rivela il suo comandamento nuovo ai discepoli la notte prima di morire, nel preciso momento in cui li chiama amici. «Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).

Il criterio dell'amicizia
Questo spiega qualcosa di realmente sconcertante a proposito di Gesù. Ha mangiato e ha bevuto con le prostitute e con gli esattori delle tasse; i suoi amici avevano una pessima reputazione. Non ha aspettato il loro pentimento per invitarli a sedere a mensa. Non ha detto a Giovanna, moglie di Cuza: «Guarda, dopo che sarai rimasta lontana dalla strada per una settimana, potrai venire alla mia festa». Li ha accettati così com'erano. E ancora, ha proclamato il Discorso della montagna. Ha comandato ai suoi discepoli di porgere l'altra guancia, di amare i propri nemici, di non adirarsi, di essere perfetti come il nostro Padre celeste è perfetto. E molto esigente.

Come ha potuto fare entrambe le cose, essere incondizionatamente accogliente, apparentemente indulgente, ed estremamente esigente? Il criterio è stato quello dell'amicizia di Dio. E solo in un esplicito contesto di amicizia che si può dare un insegnamento morale.

Tutto ciò ha delle conseguenze radicali sul modo in cui la Chiesa insegna la morale. Quello che abbiamo da dire è capace di senso solo nel contesto dell'amicizia. Se vogliamo parlare di problemi come l'aborto, il divorzio e il secondo matrimonio, o la questione omosessuale, dobbiamo cercare di essere amici di queste persone. Dobbiamo accettare la loro ospitalità e invitarli nelle nostre case.

Quando ero studente a Parigi, il card. Daniélou morì su un pianerottolo, mentre andava a far visita a una prostituta. La stampa si riempì di insinuazioni piccanti. Ma chiunque conoscesse il cardinale sapeva che era un sant'uomo che stava esercitando la sua cura pastorale verso i disprezzati, come aveva sempre fatto. Stava offrendo amicizia a una persona disprezzata.

Ecco che il giogo di Gesù è dolce e il suo peso è leggero perché è l'offerta della sua amicizia, e può essere comunicato solo nell'amicizia. Quel che c'è da dire, senza dubbio, può venire alla luce solo nell'amicizia. Solo passo dopo passo, condividendo la fatica e la ricerca, riusciremo a dire la parola giusta. E tale parola non può mai essere un peso, ma solo un dono.

E qualcosa di estremamente difficile da comunicare ai mass media. Loro vogliono dichiarazioni belle chiare, meglio se esprimono un «non si deve». Ma i giornali sono un tipico prodotto dell'Illuminismo e della sua cultura del controllo. E questo ci porta su un'altra delle strade attraverso le quali Gesù ci insegna come riposare ed essere in pace.

«[perché io] sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita». L'amicizia con Gesù, l'intimità, comporta che s'impari a essere miti e umili di cuore. E' allora che troveremo ristoro per la nostra vita. Ma non sono così sicuro che, pensando alla Chiesa cattolica, la prima cosa che ci viene in mente sia l'umiltà. Penso anzi che non sia la caratteristica di nessuna delle Chiese che conosco.

Ho partecipato una volta a un incontro ecumenico a Bari e un importantissimo arcivescovo di un'altra Chiesa mi è venuto vicino, sontuosamente vestito. E mi ha chiesto quale titolo portavo: Sua serenità? Sua beatitudine? Sua magnificenza? Mi è scappata un'impertinenza, e gli ho detto che quando i confratelli volevano essere molto formali, potevano chiamarmi «fra». Allora mi ha chiesto quali fossero i segni della mia autorità di maestro dell'Ordine. Avevo un copricapo particolare? Una croce? E quando gli ho risposto che non ne avevo nessuno se ne è andato via, pensando che chiaramente non valeva la pena di star lì a parlare con me.

Questione di potere
Sono persuaso che l'intera crisi della sessualità sia profondamente legata al potere e al modo in cui il potere funziona nella Chiesa a tutti i livelli, dal Vaticano al sacrestano della parrocchia. Non è il potere di Gesù, che era mite e umile eli cuore. Ogni istituzione umana ruota intorno all'uso del potere. Credo fermamente che con la cultura illuminista del controllo la nostra ossessione per il potere si sia aggravata. Charles M. Taylor, nel suo splendido A Seeular Age (Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts 2007, trad. it. L'età secolare, Feltrinelli, Milano 2009), descrive l'evoluzione delle pretese di tutti i maggiori poteri. Vediamo l'ascesa delle monarchie assolute in Inghilterra, Francia e Spagna e lo sviluppo dello stato centralizzato. I poveri non sono più visti come nostri fratelli e sorelle in Cristo e diventano una minaccia. Devono essere rinchiusi, come i malati mentali. Gli eserciti diventano permanenti e si costituiscono le forze di polizia, mentre esplode l'attività legislativa.

La Chiesa, purtroppo, è spesso stata contagiata dalla medesima cultura del controllo. Mi torna in mente un vescovo che mi disse: «Da me in giù, nella diocesi sono tutti uguali». E un altro, nel giorno della sua consacrazione, promise che avrebbe servito la diocesi con scettro di ferro!

Ho il sospetto che tutto questo sia accaduto anche perché la Chiesa per secoli ha dovuto combattere per difendersi dai poteri di questo mondo, che vorrebbero prevalere contro di essa. Dall'Impero romano agli imperi comunisti, passando per l'Impero britannico e per tutti gli altri, la Chiesa ha lottato per la sua stessa sopravvivenza, e spesso si è ritrovata segnata dalla medesima cultura del potere. Quella medesima cultura del potere che si trova alla radice della crisi delle violenze sessuali: la violenza del potere esercitata ai danni dei piccoli e dei vulnerabili.

Non avremo una Chiesa sicura per i giovani finché non impareremo da Cristo e diventeremo di nuovo una Chiesa ,umile in cui siamo tutti pari, figli dello stesso Padre. E allora che Cristo darà ristoro alla nostra vita.

Nell'ufficio delle letture della prima settimana d'Avvento, c'era una splendida pagina d'Isaia. Era il frutto dell'esperienza della crisi e dell'umiliazione attraversate in quel tempo dal suo popolo, che però riceve per tramite d'Isaia la promessa che tornerà a condividere la vita e la pace di Dio: «Poiché il Signore degli eserciti ha un giorno contro ogni superbo e altero, contro chiunque si innalza, per abbatterlo, contro tutti i cedri del Libano ed elevati, contro tutte le querce del Basan, contro tutti gli alti monti, contro tutti i colli elevati, contro ogni torre eccelsa, contro ogni muro fortificato» (Is 2,12-15). «Allora creerà il Signore su ogni punto del monte Sion e su tutti i luoghi delle sue assemblee una nube di fumo durante il giorno e un bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte, perché la gloria del Signore sarà sopra ogni cosa come protezione, come una tenda sarà ombra contro il caldo di giorno e rifugio e riparo contro la bufera e contro la pioggia» (Is 4,5-6).

Quella attuale è una crisi tremenda per la Chiesa, ma reca con ,sé, se l'accettiamo, una promessa e una benedizione. E molto più che la crisi delle violenze sessuali perpetrate, su dei minori da parte di alcuni sacerdoti e religiosi. E la crisi di tutta la concezione del sacerdozio e della vita religiosa. La Rifonna fu una risposta alla crisi del tardo Medioevo. Quel clero era del tutto incapace di rapportarsi al nuovo mondo. Era ampiamente analfabeta, a stento capace di celebrare la messa, spesso aveva delle concubine. Anche i religiosi godevano di dubbia fama. Un detto spagnolo affermava: «Stai attento ai gesuiti se ci tieni al portafogli, e stai attento ai frati se ci tieni alla moglie». Quindi potete star sicuri per vostri portàfogli!



Riposare in Dio
Quella crisi ha portato a un eccezionale rinnovamento del sacerdozio: una nuova spiritualità, nuovi seminari, una formazione teologica più approfondita, una nuova disciplina. Ma spesso ha dato l'impressione che fossimo degli eunuchi sessuali, degli esseri asessuati. I bambini si sono domandati se le suore avessero le gambe, sotto le lunghe sottane, o se invece volteggiassero su rotelle. Una volta in cui stavo predicando all'aperto, in piedi su una cassa di sapone, ho sentito un bambino domandare alla madre, con gran spasso del mio uditorio: «Mamma, perché quell'uomo porta la gonna?»; poi una manina ha sollevato l'orlo del mio abito: «Tutto a posto, mamma. Sotto ha i pantaloni».

Stiamo vivendo la crisi di tutta quella concezione del sacerdozio, con la sua distanza dalla gente, il suo uso del potere, la sua concezione della morale come controllo. Con nostra grande sofferenza, il Signore sta demolendo le nostre alte torri e le nostre aspettative di gloria e di grandezza, così da poter prendere dimora presso di noi.

La grande maggioranza dei preti e dei vescovi che ho incontrato in giro per il mondo sono persone umili e semplicil che vogliono solo servire il popolo di Dio. La maggior parte dei preti che conosco desiderano condividere la vita del proprio popolo e si considerano a sua disposizione. Sin da quando ho cominciato a viaggiare dentro alla Chiesal ne sono rimasto profondamente edificato. E ho avuto la stessa impressione dei tanti preti di questa diocesi che ho incontrato durante il ritiro.

Potete andare orgogliosi della vostra umiltà. Che spesso è ancor più commovente in quanto sfida apertamente strutture e tradizioni che potrebbero innalzarci e insuperbirci, dai titoli magniloquenti alle vesti sontuose. E dunque questa crisi può essere l'inizio di un grandioso rinnovamento della Chiesa, nel quale dovremo certamente imparare da Gesù, perché «io sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita».

L'ultima parola che vi consegno è «riposo>. Gesù ha detto ai suoi discepoli, quando erano sfiniti: «Venite in disparte e riposatevi un po'». Spero che il tempo che trascorrerete qui sia riposante, e che riuscirete a resistere alla tentazione di controllare ogni dieci secondi la vostra posta elettronica e di girare avanti e indietro attaccati ai telefonini.

Possiamo offrire alla gente la promessa del riposo di Cristo solo se ci vedono come persone che talvolta riescono a goderne. Spesso i preti sono comunque iperattivi, ma questa crisi potrebbe esasperare la tendenza. Potremmo sentire l'esigenza di mostrare che siamo preti eccezionalmente bravi, continuamente a servizio della gente e senza un secondo per noi stessi. Questa è la salvezza per mezzo delle opere, non della grazia.

Thomas Merton riteneva che l'iperattività rappresentasse una collusione con la violenza della nostra società: «La fretta e la pressione delia vita moderna sono una forma, forse la più comune, della sua costitutiva violenza. Lasciarsi prendere da una molteplicità di impegni concorrenti, cedere a troppe richieste, impegnarsi in troppi progetti, voler aiutare tutti a fare tutto significa soccombere alla violenza. Di più, significa collaborare alla violenza. La frenesia dell'attivista neutralizza la sua profonda tensione verso la pace. Distrugge la fecondità del suo stesso lavoro, perché dissecca le radici di quella profonda sapienza che rende il lavoro fecondo».

Se un tale attivismo fa violenza a noi stessi, la farà anche al di fuori di noi. Può capitarci di dire parole violente alle altre persone. Può capitarci di fare violenza a noi stessi con gli alcolici o le droghe. Possiamo persino diventare sessualmente violenti, specie con chi è più vulnerabile.

Perciò abbiamo bisogno, senza alcuna vergogna, di riposare in Dio. E le parole del Vangelo di Matteo indicano alcuni dei modi in cui possiamo farlo.

Possiamo riposare perché questa crisi possa portare frutto. Forse sarà un tempo di nuove benedizioni e di rinnovamento della Chiesa. Dobbiamo affrontarla con tranquillità perché la vittoria è già nostra. Cristo è morto; Cristo è risorto; Cristo ritornerà. Come disse Dietrich Bonhoeffer al vescovo di Chicester, suo amico, prima di essere assassinato dai nazisti: «La vittoria è sicura».

Possiamo riposare perché non dobbiamo pretendere, diversamente da quei preti impossibili, di essere terribilmente bravi. Togliamoci il pesante fardello della maschera pia e rifugiamoci nella manica di Dio. Possiamo riposarci perché il giogo di Gesù è leggero. I suoi comandamenti sono un invito all'amicizia. L'amicizia può essere esigente: ma non è mai un peso.

E possiamo lasciar perdere tutto il gravoso peso di un'identità forte e importante.

20 aprile 2010

CIÓ CHE É POSSIBILE BISOGNA FARE

Foto: due immagini del nostro incontro regionale delle Comunitá Ecclesiali di base, ieri mattina, ad Itaberaí.


PS - 1) Abbiamo gli ospedali piedi di gente ammalata di dengue: anche la Vicentina,la "perpetua". 2) 21 marzo é la festa civile di Tiradentes, eroe dell´indipendenza brasiliana, impiccato nel 1767. Padre Severino ed Eligio vanno a fare una gita. 3) Fa un caldo terribile.

Domenica scorsa, ad Itaberaí, abbiamo fatto l´incontro delle comunitá ecclesiali di base della regione Urú. Non male. Abbiamo fatto una memoria del cammino della nostra Chiesa locale dal Concilio Vaticano ad oggi, e una verifica della situazione attuale. Sono affiorati alcuni "nodi", i soliti: soprattutto le difficoltá di rinnovare le equipes di coordinamento, che sono il marchio della collegialitá di questo "modo di essere Chiesa". La vita di oggi é sempre piú una corsa. Per raggranellare quei quattro soldi che tengono in piedi una famiglia, la gente deve fare i contorsionismi: per fare la rotazione dei coordinamenti, come sarebbe l´ideale, le comunitá sarebbero costrette ad indicare solo pensionati. Si é studiato pure il nuovo libretto con gli schemi per le letture bibliche di quest´anno: "Giona, conversione e missione". É un testo geniale, adattissimo per la riflessione delle comunitá perché ha uno stile ironico e quasi umoristico. Tuttavia, essendo molto corto, é stato diviso in soli 4 incontri. Nelle altre settimane il testo suggerisce le letture dei Vangeli della domenica, seguendo il metodo della "lectio divina".

É stato affrontato anche il tema dell´impegno laico nella catechesi e altre pastorali. Abbiamo decine di persone che svolgono attivitá come visita e comunione agli ammalati, visita e preghiera coi carcerati, celebrazioni domenicali della Parola, raccolta delle "decime" per il sostegno della Chiesa (in realtá hanno soltanto il nome di "decime", sono tassazioni spontanee che la gente versa secondo le proprie possibilitá e grado di generositá), catechesi di ragazzi e adulti, eccetera. Ho trovato una bella intervista a un vescovo su "Le Monde" a questo proposito. Fa piacere scoprire che il nostro modello pastorale trova sostegno in un vescovo francese. Entusiasmato, e avendo domenica sera un pó di tempo prima di dormire, l´ho tradotto per i lettori del blog. Poi, il giorno dopo, ho scoperto che il settimanale Adista lo ha pubblicato. Non fa niente. Vi pubblico ugualmente, di seguito in questo post, la mia traduzione, anche se risulterá qualche equivoco nella mia interpretazione del francese. E chi lo desiderá potrá consultare direttamente l´originale.

Infine, non posso non passarvi almeno la parte essenziale del decimo articolo di Yung Mo Sung su "Economia e vita". É una riflessione importante, che ci stimola ad una spiritualitá di superamento dei nostri desideri individuali, spesso velleitari e privi di concretezza, per metterci al servizio delle cause concrete.

"La Chiesa é minacciata di diventare uma sottocultura"

| 03.04.10 | 13h41 • Mis à jour le 03.04.10 | 13h41 – Traduzione dal francese mia – per leggere l´originale andate al sito:

http://www.lemonde.fr/societe/article/2010/04/03/l-eglise-est-menacee-de-devenir-une-sous-culture_1328305_3224.html

Arcivescovo di Poitiers, Mgr Albert Rouet é uma delle figure piú libere dell´episcopato francese. La sua opera J'aimerais vous dire (Bayard, 2009) é un best-seller nella sua categoria. Venduto a piú di 30 000 esemplari, vincitore del Premio 2010 dei lettori di La Procure, questo libro di interviste contiene uno sguardo assai critico sulla Chiesa cattolica. In occasione della Pasqua, Mgr Rouet libera le sue riflessioni sull´attualitá e la sua diagnosi sulla sua istituzione.

La Chiesa cattolica é scossa da diversi mesi dalla rivelazione di scandali di pedofilia in diversi paesi europei. Questo l´ha sorpresa?

Vorrei subito precisare una cosa: perché ci sia pedofilia, occorrono due condizioni, una perversione profonda e un potere. Ció significa che ogni sistema chiuso, idealizzato, sacralizzato, é un pericolo. Dal momento in cui un´istituzione, ivi compresa la Chiesa, si innalza ad una posizione di diritto privato, si considera in posizione di forza, le conseguenze finanziarie e sessuali diventano possibili. É quanto questa crisi rivela, e questo ci costringe a ritornare al Vangelo; la dolcezza di Cristo é costitutiva del modo di essere della Chiesa.

In Francia, la Chiesa non há piú questo tipo di potere; questo spiega che siamo di fronte ad errori individuali, gravi e deprecabili, ma che non conosciamo uma sistematizzazione di queste faccende.

Queste rivelazioni sopraggiungono dopo parecchie crisi che hanno turbato il pontificato di Benedetto XVI. Chi maltratta la Chiesa?

Da qualche tempo, la Chiesa é sballottata da tempeste, esterne e interne. Abbiamo un papa che é piú teorico che storico. É rimasto il professore che pensa che quando un problema é ben posto, é giá mezzo risolto. Ma nella vita non é cosí; ci si urta con la complessitá, con la resistenza del reale. Lo si vede bene nelle nostre diocesi, si fa quello che si puó! La Chiesa fatica a situarsi nel mondo tumultuoso in cui si trova oggi. Questo é il cuore del problema.

Inoltre, due cose mi tormentano nella situazione attuale della Chiesa. Oggi, si constata un certo gelo della parola. Ormai, la minima messa in discussione sull´esegesi o la morale é considerata una bestemmia. Mettere in discussione non é piú normale, e questo é un danno. Parallelamente, regna nella Chiesa un clima di sospetto malsano. L´istituzione si trova di fronte a un centralismo romano che si appoggia su tutta una rete di denunce. Certe correnti passano il loro tempo a denunciare le posizioni di questo o quel vescovo, a fare dei dossier contro uno, a custodire delle schede contro l´altro. Questi comportamenti si intensificano mediante Internet.

D´altra parte, ío noto un´evoluzione della Chiesa parallela a quella della nostra societá. Questa vuole piú sicurezza, píú leggi, quella vuole piú identitá, piú decreti, piú regolamenti. Ci si protegge, ci si chiude, questo é il segno di un mondo chiuso, questo é catastrofico!

In generale, la Chiesa é un buon specchio della societá. Ma oggi, nella Chiesa, le pressioni identitarie sono particolarmente forti. Inconsapevolmente, chi non riflette troppo, há sposato un´identitá rivendicatoria. Dopo la pubblicazione di caricature sulla stampa circa la pedofilia nella Chiesa, io ho avuto delle reazioni degne degli integralisti islamici sulle caricature di Maometto! A voler sembrare offensivi, ci si squalifica.

Il presidente della conferenza episcopale, Mgr André Vingt-Trois, l´ha ripetuto a Lourdes il 26 marzo: la Chiesa di Francia é marcata dalla crisi di vocazioni, dalla bassa trasmissione, dalla diluizione della presenza cristiana nella societá. Come vive lei questa situazione?

Io tento di prendere atto che noi siamo alla fine di um´epoca. Siamo passati da um cristianesimo d´abitudine ad un cristianesimo di convinzione. Il cristianesimo si era mantenuto sul fatto che si era riservato il monopolio della gestione del sacro e delle celebrazioni. Di fronte alle nuove religioni, e alla secolarizzazione, la gente non fa piú appello a questo sacro.

Tuttavia, si puó dire che la farfalla é piú o meno simile alla crisalide? É una cosa diversa. Dunque, io non ragiono in termini di degenerazione e abbandono: noi siamo in corso di mutazione. Abbiamo bisogno di misurare l´ampiezza della mutazione.

Prendete la mia diocesi: settant´anni fa contava 800 preti. Oggi ne há 200, ma essa conta pure 45 diaconi e 10 000 persone impegnate nelle 320 comunitá locali che abbiamo creato quindici anni fa. Questo é meglio. Bisogna farla finita con la pastorale della SNFC. Bisogna chiudere delle linee e aprirne altre. Quando ci si adatta alla gente, al suo modo di vivere, ai suoi orari, la frequenza aumenta, e compreso il catechismo! La Chiesa ha questa capacitá di adattamento.

In che modo?

Noi non abbiamo piú personale per tenere un quadro di 36 000 parrocchie O noi pensiamo che questa sia una miseria da cui bisogna uscire ad ogni costo, e allora torniamo a sacralizzare il prete; oppure inventiamo altre cose. La povertá della Chiesa é una provocazione ad aprire nuove porte. La Chiesa deve appoggiarsi sul proprio clero o sui suoi battezzati ? Da parte mia, penso che bisogna dare fiducia ai laici e farla finita di funzionare sulla base di un quadro medioevale. Questo é un cambiamento fondamentale. É una sfida.

Questa sfida presuppone di aprire il sacerdozio agli uomini sposati?

No e sí! No, perché immaginate che domani io possa ordinare dieci uomini sposati, io ne conosco, questo non é ció che manca. Io non potrei pagarli. Essi dovrebbero perció lavorare e non sarebbero disponibili se non nei fine-settimana per i sacramenti. Si ritornerebbe allora ad um´immagine cultuale del prete. Sarebbe una falsa modernitá.

Al contrario, se si cambia il modo di esercitare il ministero, se la sua posizione dentro alla comunitá é un´altra, allora sí, si puó prendere in considerazione l´ordinazione di uomini sposati. Il prete non deve piú essere il padrone della sua parrocchia; egli deve sostenere i battezzati perché diventino degli adulti nella fede, dare loro una formazione, impedire loro di ripiegarsi su sé stessi.

Spetta a lui ricordare loro che si é cristiani per gli altri, non per sé stessi; allora egli presiederá l´Eucaristia come un gesto di fraternitá. Se i laici restano dei minorenni, la Chiesa non é piú credibile. Essa deve parlare da adulta ad adulti.

Lei crede che la parola della Chiesa non sia piú adatta al mondo. Perché?

Con la secolarizzazione, si sviluppa una "bolla spirituale" in cui le parole fluttuano; cominciando dalla parola "spirituale" che é applicata quase ad ogni tipo di mercanzia. É quindi importante dare ai cristiani i mezzi per identificare ed esprimere gli elementi della loro fede. Non si tratta di ripetere una dottrina ufficiale ma di permettere loro di dire liberamente la propria adesione.

Spesso é la nostra maniera di parlare che non funziona. Bisogna scendere dalla montagna e mettersi sul piano (degli altri, ndt), umilmente. Per questo occorre un enorme lavoro di formazione. Perché la fede era diventata una cosa di cui non si parlava tra cristiani.

Qual´é la sua maggiore inquietudine nei confronti della Chiesa?

Il pericolo é reale. La Chiesa é minacciata di trasformarsi in una sotto-cultura. La mia generazione era legata all´inculturazione, al tuffarsi nella societá. Oggi, il rischio é che i cristiani si induriscano tra loro, solo perché essi hanno l´impressione di trovarsi di fronte a un mondo di incomprensioni. Ma non é accusando la societá di tutti i mali che si aiuta la gente a fare chiarezza. Al contrario, ci vuole um´immensa misericordia per questo mondo in cui milioni di persone muoiono di fame. Tocca a noi provvedere al mondo e tocca a noi diventare amabili.

Propos recueillis par Stéphanie Le Bars


Economia e Vita (X): lotte, frustrazioni e spiritualitá - Jung Mo Sung - dal sito Adital.

Nell´articolo precedente ho sintetizzato le ultime riflessioni sviluppate in questa serie affermando che, per costruire una societá alternativa a quella attuale di "pace imperialista capitalista", abbiamo bisogno di superare piú radicalmente il pensiero moderno che propone un ordine sociale basato su un unico principio organizzativo. A questo scopo, bisogna creare un nuovo tipo di economia e di politica in cui i conflitti accettabili (quelli che non propongono la pace attraverso la morte dell´altro) e le tensioni tra le diverse logiche e culture che compongono la societá siano viste come salutari.

Sono consapevole che per molti queste idee non hanno senso. Sembra che io stia proponendo una soluzione al massimo "riformista", che ha rinunciato alla nozione di liberazione, alla costruzione di una societá realmente nuova o alla costruzione del Regno di Dio. Ma quello che propongo é invece di farci carico radicalmente della nostra condizione umana e di cercare soluzioni possibili dentro alle condizioni storiche, invece di confondere i nostri migliori desidere con la possibilitá storica. Fa parte della condizione umana la nostra capacitá di desiderare oltre le possibilitá. (Per una discussione piú profonda di questo tema, rimando al libro "Deus em nós: o reinado que acontece no amor solidário aos pobres", scritto da me e Hugo Assmann.)

Nella lotta per la vita delle persone concrete (e non per una visione astratta della vita), é fondamentale la distinzione tra ció che é possibile e ció che é impossibile. Ci sono obiettivi che sono umanamente e storicamente possibili, ma sono impossibili dentro alle condizioni storiche del momento o dentro a un determinato tipo di sistema. In questi casi, dobbiamo lottare per cambiare le condizioni storiche per far diventare possibile ció che al momento é impossibile. In situazioni del genere, la lotta per la vita dei piú vulnerabili avviene in due livelli: a) lollta per conquistare obiettivi concreti che sono possibili dentro al sistema o alle condizioni storiche present; b) lotte per modificare il sistema sociale per rendere possibili conquiste che sono possibili solo in un altro sistema. Un esempio di questo puó essere la lotta per la fine del sistema schiavista affinché tutti siano liberi. Ma ci sono anche obiettivi che oltrepassano la condizione umana e i limiti della storia. Un esempio di questo é liberarci dalla morte.

Nella maggior parte dei casi noi non sappiamo dapprima qual´é il limite delle possibilitá umane. É attraverso l´azione che lo scopriamo man mano. É per questo che le persone che stanno davvero nella lotta concreta conoscono meglio i limiti della condizione umana. D´altra parte, persone che sono lontane dalle lotte concrete e si accontentano di criticare tutto ció che esiste e difendono la vita in modo astratto, tendono ad annunciare il proprio desiderio come obiettivo possibile e sono solite non riconoscere e non accettare i limiti dell´azione umana.

In veritá, accettare i limiti della condizione umana di fronte ai nostri desideri non é una cosa facile. Anche quelli che li imparano attraverso le loro lotte, vittorie e sconfitte, sanno che questo apprendimento non é qualcosa di facile in termini esistenziali. É un apprendistato che sempre porta con sé frustrazione e molte volte siamo tentati di pensare che la lotta non vale la pena perché non realizzerá pienamente e totalmente i nostri desideri. In quei momenti puó accadere un grande apprendimento spirituale: la scoperta che la lotta, anche se accompagnata da frustrazioni, vale la pena, perché piú importante dei "miei" desideri e delle "mie" frustrazioni é la vita concreta dei nostri fratelli e sorelle. Questa é l´esperienza spirituale che ci fa continuare nella lotta, nonostante tutto......

Senza questo apprendistato spirituale, non é possibile sviluppare le nostre (la mia, quella dei mio gruppo e quella dei poveri) potenzialitá e raggiungere obiettivi possibili. Chi cerca obiettivi impossibili non realizza nemmeno quelli possibili, perché non sa la differenza tra i due, molto meno la strada per realizzare il possibile. Generalmente si accontenta di fare discorsi grandiosi e, nel peggiore dei casi, é solito mettere bastoni tra le ruote a quelli che lottano concretamente.

La lotta per la vita e, perció, per un´economia che renda possibile una vita degna per tutti, richiede una visione piú concreta della vita e della realtá sociale. Per le comunitá (ecclesiali o no) ed i gruppi sociali questo significa in primo luogo pratiche sociali e lotte nel proprio contesto sociale, contesti nei quali ci sono volti e corpi di persone che soffrono e hanno speranze di vita migliore. Esperienze spirituali e lotte che avvengono nell´ambito micro dell´economia e della societá. Senza il livello concreto, micro, non ci sono corpi di persone, né vite concrete. Ma come dice la parola stessa, il micro presuppone la macro-economia, e viceversa. Le lotte concrete cominciano a livello micro, ma é necessario articolarle, sia nell´analisi che nella lotta concreta, col livello macro. E la lotta nell´ambiente macro ha bisogno di essere connessa con le preoccupazioni e la vita concreta che si vive nel livello micro.

Un tipo di esperienze che, nel campo dell´economia, della vita e della fede, incarnano queste relazioni e tensioni di cui stiamo trattando quí é quello della "economia solidale". Tema que abborderemo nel prossimo articolo.

16 aprile 2010

IL GIUSTO É IMMORTALE

Foto: visita di italiani alla tenda di un accampato del Movimento dei Sem Terra.

É iniziata nelle diocesi la campagna di mobilitazione per la XIV Romaria da Terra e das Àguas del Centro-Ovest, che si svolgerá il 5 giugno prossimo ad Anicuns, comune confinante con Itaberaí. Le commissioni Pastorali della Terra, compresa la nostra, sono all´opera per divulgare l´evento. Il tema dell´appuntamento religioso é "Povos do cerrado em defesa da vida". Nel frattempo é partita domenica scorsa da Itaberaí, con la benedizione del Vescovo e il saluto di alcune autoritá, la Marcia del Movimento dei Sem Terra (MST), una manifestazione popolare che concentrerá il 17 aprile, a Brasilia, lavoratori di tutto il paese per rivendicare piú impegno del Governo e della societá per la Riforma Agraria. Questa data, in Brasile, é il 14mo anniversario della strage di Eldorado dos Carajás, nel Pará, in cui furono massacrati dalla polizia 19 lavoratori del movimento, e é diventata la Giornata Nazionale di Lotte per la Riforma Agraria. "Dopo 14 anni - scrivono i dirigenti del MST - il paese non ha ancora risolto i problemi dei poveri del mondo rurale, che continuano ad essere bersaglio della violenza dei fazendeiros e dell´impunitá della giustizia. Secondo dati della Commissione Pastorale della Terra (CPT), sono stati assassinati 1.546 lavoratori tra il 1985 e il 2009. Nel 2009, ne sono stati uccisi dal latifondo 25. Del totale dei conflitti, al momento ne sono stati giudicati solo 85, con la condanna di 71 esecutori dei delitti e l´assoluzione di 49 esecutori e 19 mandanti, dei quali nemmeno uno é in carcere". (Intanto peró, la notizia é della settimana scorsa, l´assassino di Suor Dorothy Stang é stato condannato a 30 anni...)

"Perché manifestiamo? - continua il documento dell´MST - La Riforma Agraria é ferma in tutto il paese. Di fronte a questo quadro chiediamo: 1- La sistemazione delle 90 mila famiglie accampate del MST; 2 - L´aggiornamento degli indici di produttivitá della terra; 3- La garanzia dei mezzi per realizzare gli espropri, fare i processi e organizzare le aree in cui sistemare gli accampati; 4- Investimenti pubblici negli "assentamentos" (credito per la produzione, abitazione rurale, educazione e sanitá). Abbiamo famiglie accampate da piú di cinque anni, che vivono in situazioni abbastanza difficili sull´orlo delle strade e in aree occupate, vittime della violenza del latifondo e dell´agro-business. Con le nostre azioni, vogliamo denunciare l´esistenza di latifondi che non osservano la Costituzione Federale ((art. 184) e che dovrebbero essere espropriati per la Riforma Agraria".
Secondo dati dell´ultimo censo agropastorile dell´Istituto Brasiliano di Geografia Statistica (IBGE), 15 mila fazendeiros controllano nientemeno che 98 milioni di ettari, con 2 mila ettari a testa.

Vi ho voluto dare queste due notizie perché noi siamo una diocesi agricola, che ha sempre sentito molto le lotte dei lavoratori dei campi per ottenere terra e per avere voce in capitolo nella politica nazionale. Il governo Lula ha fatto molto per loro, e io vi ho giá raccontato in passato le attivitá di piccoli produttori, fieranti ed eco-agricoltori promosse dalla CPT, che sono finanziate dal governo federale: ma non ha portato avanti la Riforma Agraria, che era il bisogno prioritario. Si é trovato davanti a un muro: opposizione accanita delle organizzazioni dei fazendeiros, molto forti in parlamento e senato; tutto il sistema giudiziario contro; e, immancabilmente, la corruzione negli organi preposti alla Riforma Agraria e perfino, talvolta, nelle organizzazioni dei lavoratori. Peró bisogna ammetterlo: oggi c´é un affievolimento diffuso dell´impegno politico-sociale nella Chiesa brasiliana, anche se parecchie diocesi, come la nostra, continuano a mettere la lotta al fianco dei poveri tra le prioritá pastorali. La maggior parte dei cattolici che gremiscono le Chiese (sotto questo aspetto mi pare che ci sia una crescita in quantitá e qualitá) sono pronti a collaborare per ristrutturare una chiesa, a prestarsi come ministri straordinari dell´Eucaristia o catechisti, pregano e leggono la Bibbia volentieri, ma sono piuttosto freddini quando si tratta di impegnarsi nel sociale. Chissá perché? I brasiliani non sono reazionari, e solitamente hanno anche un forte sentimento di fratellanza e condivisione, ma forse sentono qualcosa nell´aria che li fa desistere dall´affrontare la disuguaglianza e l´ingiustizia a viso aperto.

Pare che sulla stampa mondiale che alle Comunitá Ecclesiali di Base (CEBs) sia stato affibbiato troppo presto l´attestato di obito. Sono vive e continuano per la loro strada, anche se non si fanno notare. Sono come braci sotto la cenere, un lievito nella massa. In alcuni momenti, salgono alla ribalta e dimostrano maturitá. Come mi é accaduto di assistere nei giorni scorsi, al funerale di un uomo, ancora giovane, stroncato dal cancro. Era uno di molta fede, stimato e amato dalla comunitá cattolica. Mi hanno chiamato per le esequie ed io sono andato (quí, spesso, si fanno in casa). L´abitazione della sorella, presso cui era ospitato, era zeppa di gente dentro e tutt´intorno. Sono passato in mezzo alla folla, mi sono avvicinato alla bara, ho fatto le condoglianze ai fratelli (dieci: lui era il piú giovane della famiglia), e ho letto e fatto tutto quello che il rituale chiede. Al termine del rito, la coordinatrice della comunitá si é fatta avanti e ha detto: "Padre Francisco ha giá fatto le esequie, ma anche noi della comunitá abbiamo preparato la nostra celebrazione e vogliamo salutare per l´ultima volta il nostro fratello Luigi". C´erano lettori e cantori, tutti ben preparati. Hanno ripetuto ogni cosa passo a passo, comprese una breve riflessione sulla risurrezione dei morti e la benedizione finale. Uniche differenze, hanno cantato alcuni inni molto intonati al momento, e hanno letto il Vangelo del rituale, mentre io avevo scelto un altro brano. La loro celebrazione é stata molto piú sentita della mia: perché fatta su misura, con i sentimenti di chi ha camminato assieme al defunto nella vita e nei giorni della sofferenza.

Ci ripensavo questo pomeriggio, mentre facevo la mia camminata terapeutica in mezzo ai pascoli. Quella comunitá ha commentato cosí bene la risurrezione dei morti! Siamo ancora nel tempo pasquale, ed io ho ancora nel cuore e nella testa lo strascico della settimana santa. La morte provoca spavento e ripulsione, ma la fede nella risurrezione ridimensiona la tragedia. "La vita non é tolta, ma trasformata": e la fede nella morte e risurrezione di Gesú Cristo trasforma l´abisso della morte in un avvenimento pasquale. Quanti poveri, umili, giusti, gente che piange, costruttori di pace, perseguitati per causa della giustizia. Metterei tra quelli delle beatitudini le vittime dei terremoti, delle guerre (anche quelle del premio Nobel per la pace, che sta progettando nuove basi in diversi punti dell´America Latina tra cui, mi dicono, Rio de Janeiro), degli assalti (500 mila morti in dieci anni, solo in Brasile), delle malattie, della fame provocata dal colonialismo economico. Se proprio lo vogliamo, anche le vittime della pedofilia, che oggi sembra una epidemia (la settimana scorsa, nello Stato di Goiás, hanno arrestato uno che attirava ragazzotti in un luogo isolato, li violentava e poi li uccideva. Dicono che ne ha fatti fuori sei). Quanto male c´é nel mondo! E noi ci camminiamo in mezzo, senza riuscire vincerlo. Va bene sognare e lottare per "un mondo diverso possibile", ma la speranza della risurrezione non guasta certo!

Ho quasi finito di leggere il volume di Sandro Gallazzi e Anna Maria Rizzante, "Saggi sul post-esilio", che ho cominciato a leggere in gennaio (é un volumone di 400 pagine grandi e zeppe di citazioni bibliche!) Tra gli altri, ho trovato interessantissimo un capitolo intitolato "La giustizia é immortale", che in cui l´autore studia la fede nella risurrezione che compare in alcuni libri dell´Antico Testamento, quindi prima di Gesú: il secondo Isaia, il primo libro della Sapienza e il primo dei Maccabei. L´autore scorge nel Libro della Sapienza una ´polemica tra i "giusti" e gli "empi" che porta a questa rivelazione: la giustizia rende immortale il giusto. Cito uno dei testi a mó di esempio, ma ce ne sono tanti. "Dio ha creato l´essere umano per l´incorruttibilitá e l´ha fatto ad immagine della propria natura; é stato per l´invidia del diavolo che la morte é entrata nel mondo; la sperimentano coloro che sono del suo partito. La vita dei giusti é nelle mani di Dio e nessun tormento li toccherá" (Sapienza, 2, 23 - 3, 1).

Noi cristiani occidentali abbiamo preso il concetto filosofico dell´immortalitá dell´anima da Platone: il corpo muore, l´anima é immortale. Sono due elementi separati, uno si corrompe e l´altro no. Questa interpretazione della morte ha potuto essere il famoso "oppio dei popoli" di cui parlava Marx: "non vi preoccupate delle cose materiali e delle sofferenze del corpo, l´importante é che la vostra anima arrivi in paradiso dopo la morte". Nella fede biblica, degli ultimi tempi prima di Gesú, era tutt´altro. Non c´é separazione tra anima e corpo. La salvezza non é solo dell´anima, ma di tutto l´essere umano, anima e corpo. E comincia giá in questa vita: avviene tutti i giorni e i momenti. La divisione non é tra anima e corpo, ma tra l´empio e il giusto. L´empio calpesta e umilia il giusto, e si fa beffe della giustizia di Dio. Segue la strada della morte, e morirá. Di lui non resterá traccia. Il giusto, invece, segue il cammino della vita ed é nelle mani di Dio. Lui appartiene giá, fin d´ora, al Regno dei cieli: soffre ma possiede giá la gioia di essere salvo. La morte non lo toccherá. Morirá per questo mondo, ma continuerá vivo per sempre: anima e corpo (un corpo trasformato, non quello di prima: senza malattie e senza dolore). Con questo modo di pensare, i giusti d´Israele erano giá predisposti a capire la risurrezione di Gesú. Senza sapere nulla di Lui personalmente, sapevano che chi é giusto in modo radicale e assoluto deve morire, perché l´umanitá é empia e non sopporta la veritá e la giustizia. Ma sapevano anche che la sua morte é solo apparente, perché Dio Padre gli é vicino e non lo lascia morire: lo risuscita nel suo Regno.

In certo modo é stupefacente, anche se é umanissimo, che i discepoli di Gesú abbiano fatto tanta fatica, secondo il racconto dei Vangeli, a riconoscere e credere in Gesú risorto. Quando l´hanno capito, hanno speso la loro vita per seguirlo, sapendo di risorgere con lui. Scegliere il cammino di Gesú é essenziale perché é la via della vita. Forse lo capiremo anche noi quando arriveremo a quel momento estremo? Dicevo che l´incredulitá dei discepoli é stupefacente "in certo modo", perché in effetti ci rendiamo conto che sono misteri ai quali possiamo avvicinarci solo sotto l´azione dello Spirito di Dio, e sempre in punta di piedi. La nostra teologia é una barchetta troppo fragile per navigare in sicurezza il mare ondoso dell´eternitá. Ancora oggi siamo in molti ad oscillare tra la fede e l´incredulitá di fronte a una rivelazione cosí essenziale: per molti é una favoletta per bambini. Quando ho partecipato alla celebrazione "laicale" della comunitá di Sant´Antonio mi sono accorto di quanto sia forte questo atto di fede. Non é la ripetizione alienante del "rinvio" della giustizia e del diritto alla gioia di vivere a un tempo remoto post mortem. É, invece, la presa di coscienza consapevole del fatto che, affrontando le sofferenze del cammino tra ambiguitá, conflitti e contraddizioni che non é possibile superare nel breve tempo e stretto spazio che passiamo in questo mondo, si vive giá nella gloria del Regno dei cieli, e si appartiene al Padre che é vita, gioia, amore.

Cita Sandro Gallazzi: "Questo é colui del quale noi ridevamo, che fu bersaglio delle nostre ingiurie. Consideravamo la sua vita una pazzia, e la sua fine vergognosa. (...) I giusti vivono per sempre (...), riceveranno la corona regale. Con la sua destra Egli li proteggerá, con suo braccio forte li difenderá" (Sapienza, 5). "Era disprezzato, abbandonato dagli uomini. Come uno da cui ci si copre il volto (...). Noi lo ritenevamo vittima di un castigo, ferito da Dio e umiliato (...). Dopo la fatica, egli vedrá la luce (...). Gli daró un premio tra le moltitudini (...). "Coi forti dividerá la spoglie" (Isaia, 53). L´autore della Sapienza e del secondo Isaia non sapevano nulla di Gesú, ma lo hanno descritto con secoli di anticipo, e per questo noi abbiamo letto i loro testi nella liturgia della Settimana Santa. Testi che possono essere un programma di vita per tutti noi, se vogliamo davvero seguire la strada di Gesú. E soprattutto: sono la certezza della vita per quelli delle beatitudini che ho ricordato sopra. E aggiungo gli afflitti nelle lunghe code della previdenza sociale, assetati nell´Africa desertificata, mutilati dalle mine, affamati dall´invasione delle multinazionali, arruolati ancora bambini nelle guerre mercenarie. Chi é piú o meno agnostico e piú o meno benestante potrá anche ridere di questa affermazione, ma per chi sta male la certezza di avere Dio dalla sua parte e che tifa per lui, é una forza!

Il nostro Yung Mo Sung ha scritto il nono articolo. Ve ne traduco soltanto una parte, ma non voglio privarvene completamente. Tra l´altro viene molto a proposito nella complicata riflessione precedente..perché sostiene che nella nostra condizione umana il conflitto é inevitabile. Cosí scrive: "Siamo cosí abituati alla tesi che dobbiamo lottare per una pace mondiale, intesa come superamento di tutti i tipi di conflitto, e per un´economia giusta e fraterna, pensata come la fine di ogni tipo di concorrenza, tensione e disuguaglianza, che la mia proposta suona come accettazione delle logiche di dominazione. La tesi che propongo, invece, é che questo tipo di "pace universale", per quanto sia attraente, é una riproduzione della logica imperiale, che appare, per esempio, nella "Pax Romana" e nel progetto espansionista dell´Europa Occidentale a partire dal secolo XVI.

C´é un consenso tra i critici dell´attuale capitalismo globale sul fatto che, per superare la nostra crisi sociale ed ecologica, dobbiamo superare il paradigma della modernitá che si trova alla base dell´attuale civiltá. Sono completamente d´accordo. Quello che sto argomentando é che la proposta di sostituire il principio della "libera concorrenza" nel e del mercato che regge l´attuale capitalismo con il principio della "solidarietá-compassione" o della "comunione tra tutti gli esseri umani e di questi con la natura" non é una proposta che superi il paradigma della moderna Civiltá Occidentale. Sembra, ma non é. Poiché, ció che c´é é soltanto un cambiamento di contenuto dell´unico principio che deve reggere la vita umana e il sistema sociale. Al posto della proposta di un unico principio di libera concorrenza nel mercato, si mette la solidarietá e la comunione come unico principio. La logica di fondo rimane: un unico principio organizzativo per tutta la societá e per tutti gli aspetti della vita.

É chiaro che quest´ultima proposta é abbastanza seducente e desiderabile, ma il problema é che noi esseri umani non siamo cosí. Non siamo né solidali o compassionevoli in modo cosí puro, né abbiamo la capacitá di conoscere tutti gli elementi della divisione sociale del lavoro per poter coordinare e pianificare coscientemente tutti gli aspetti della vita economica. E senza una soluzione alternativa per il coordinamento della divisione sociale del lavoro (tema che ho trattato negli articoli precedenti) le buone intenzioni individuali e le loro azioni economiche presuppongono un coordinamento incosciente del mercato. Cosí cadiamo di ritorno nella tesi neoliberale che ciascuno deve vivere la propria vita e lasciare al mercato il compito della divisione sociale del lavoro.

Ho insistito su questi due temi, il coordinamento della divisione sociale del lavoro e la condizione umana, perché sono i due "nodi" principali per l´elaborazione di una alternativa al sistema capitalista globale. Proposte belle, gradevoli ai nostri desideri, ma che presuppongono (a) un essere umano che trascende la condizione umana (e perció non é piú umano) e (b) non indicano il modo alternativo di come coordinare miliardi di decisioni e azioni che avvengono nei processi di produzione, distribuzione e consumo che compongono l´economia globale oggi, sono proposte ben intenzionate, ma illusorie. Queste proposte possono soddisfare qualche tipo di desiderio di gruppi che annunciano e dei molti che consumano questo tipo di discorsi. Tra l´altro, ció che non manca nel mercato, oggi, é il consumo di questo tipo di "discorsi di liberazione illusori". Questo prova che il mercato capitalista continua ad avere la capacitá di trasformare quasi tutto, perfino i discorsi apparentemente anticapitalisti, in mercanzie, specialmente per la classe media.

Penso che abbiamo bisogno di superare in modo piú radicale la civiltá occidentale moderna e pensare la nuova societá in termini di diversi principi in tensione permanente, e assumerci la nostra condizione umana. La concorrenza economica (che genera un tipo di efficienza) in tensione con le mete sociali basate sul principio della solidarietá (che genera sostenibilitá sociale); la logica del mercato in tensione col ruolo induttore, regolatore e di controllo del potere dello Stato; la societá civile con le sue diversitá culturali in tensione con le logiche del mercato e la logica dell´accumulo del potere dello Stato; le diverse religioni con le loro visioni conflittanti che convivono in tensione e dialogo nella societá globale.

Come ho scritto nell´articolo precedente, la ricerca della fine del conflitto esige una lotta mortale contro "l´altro" che pensa in modo diverso, e che non sará mai uguale a me, e la negazione della propria condizione umana. L´unica forma di creare un´alternativa alla "pace imperiale capitalista", e di rendere possibile una vita degna di tutti e tutte, é creare una nuova economia, una nuova politica e una nuova societá in cui i conflitti accettabili (quelli che non cercano la morte dell´altro) e le tensioni tra le diverse logiche e culture che compongono la societá, siano viste come salutari. (continua).


Vi é piaciuto? Fa pensare, e bisogna rifletterci su. Ma ora cambiamo registro. Siccome sta iniziando la Campagna Elettorale in Brasile (la Dilma, candidata di Lula, é giá in pareggio nei sondaggi con l´avversario piú duro, Serra del PSDB), vi pubblico anche questo articolo divertente che ho ricevuto per posta elettronica.

"Porque continuo sendo Lula" - di Pedro Lima - conomista e professor de economia da Universitá Federale di Rio de Janeiro.

FHC, il faro, il sociologo, si intende tanto di sociologia quanto il governatore di San Paolo, José Serra, si intende di economia. Lula, che non sa niente di sociologia, ha portato 32 milioni di miserabili e poveri alla condizione di consumatori; che non sa niente neppure di economia, ha pagato i conti di Fernando Henrique Cardoso, ha azzerato il debito con il Fondo Monetario Internazionale e ancora fa qualche prestito ad alcuni ricchi. Lula, l´analfabeta, che non s´intende di educazione, ha creato piú scuole e universitá di tutti i suoi predecessori messi insieme
(14 universitá pubbliche e piú di 40 campus universitari) - e inoltre ha creato la PRO-UNI, che porta il figlio del povero all´universitá (mezzo milione di borsa per poveri in scuole private).

Lula, che non si intende di finanze né di conti pubblici, ha elevato lo stipengio minimo da 64 a piú di 291 dollari (valori di gennaio 2010), e non ha fatto fallire la previdenza come voleva FHC. Lula, che non s´intende di psicologia, ha sollevato il morale della nazione e disse che il Brasile sta meglio del mondo. Nonostante che il PIG-Partido da Imprensa Golpista, che sa tutto, dica che non é vero. Lula, che non s´intende di ingegneria, né di meccanica, né di niente, ha riabilitato la Pró-alcool, ha creduto nel bio-diesel e ha portato il paese alla leadership mondiale dei combustibili rinnovabili (maggior programma di energia alternativa al petrolio del pianeta). Lula, che non sa niente di politica, ha cambiato i paradigmi mondiali e ha messo il Brasile nella leadership dei paesi emergenti, é passato ad essere rispettato e ha sepolto il G-8 (ha creato il G-20). Lula, che non si intende di politica estera né di conciliazione, poiché fu sindacalista da strapazzo, ha mandato a quel paese l´ALCA, si é rivolto ai paesi del sud del mondo, specialmente ai vicini dell´America Latina, dove esercita una leadership assoluta senza essere imperialista. Ha facile transito presso Chaves, Fidel, Obama, Evo, eccetera. Da sciocco che é, ha ceduto a tutto e a tutti.

Lula, che non s´intende di donna né di negro, ha messo il primo negro nel Supremo Tribunale (reso poco credibile da bianchi), una donna nella carica di prima ministra, e che puó, tra l´altro, diventare la sua successora. Lula, che non sa niente di etichetta, si é seduto accanto alla regina dietro suo invito, ed ha affrontato la nobiltá bianca con le lenti azzurre. Lula, che non sa niente di sviluppo, non ha mai sentito parlare di Keynes, ha creato il PAC; prima ancora che tutto il mondo dicesse che é ora che lo Stato investa; e oggi il PAC é un ammortizzatore della crisi. Lula, che non s´intende di crisi, ha fatto abbassare l´IPI e ha portato l´industria automobilistica a battere il record del trimestre (come anche la linea bianca degli elettrodomestici).

Lula che non s´intende di portoghese né di altre lingue, parla fluentemente tra gli altri leader mondiali; é rispettato e citato tra le persone piú potenti e influenti del mondo attuale (il migliore del mondo secondo Le Monde, Times, News Week, Financial Times e altri...]. Lula, che non sa niente di rispetto dei suoi simili, poiché é un rozzo, aveva giá empatia e rapporti diretti con George Bush - notata perfino dalla stampa americana - e ora ha la stessa empatia con Barack Obama. Lula, che non s´intende di sindacato, poiché era soltanto un agitatore...é amico di un certo John Sweeny [presidente della AFL-CIO - American Federation Labor-Central Industrial Congres - la centrale dei lavoratori degli Stati Uniti, che, lá sí, é unica....ed entra alla Casa Bianca con credenziali di negoziatore e parla direttamente con lo Zio Sam lá, negli "States". Lula, che non sa di geografia, perché non sa interpretare una carta geografica: é autore del maggior cambiamento geopolitico delle Americhe nella storia.

Lula, che non s´intende per niente di diplomazia internazionale, poiché non sará mai preparato, agisce con sapienza su tutti i fronti e diventa interlocutore universale. Lula, che non sa la storia, poiché é appena un narratore di prodezze, fa storia e sará ricordato per un grande lascito, dentro e fuori dal Brasile. Lula, che non s´intende di conflitti armati né di guerra, poiché é un pacifista ingenuo, é giá quotato dai palestinesi per dialogare con Israele. Lula, che non sa niente di niente, é assai migliore di tutti gli altri. E l´ultima, che aggiungo: Lula, che non s´intende di Stato e governo, fu considerato recentemento "lo statista dell´anno 2009"!

8 aprile 2010

L´AMBIGUITÁ É UN VALORE SOCIALE

Foto: 1) La nostra chiesa parrocchiale in ristrutturazione: rifatti il tetto, le finestre, l´impianto elettrico, eccetera. La gente ancora no. 2) Orchidee "arundina", chiamate anche "orchidee bambú". Io le avevo viste sulle Ande, vicino a Macchu Picchu, in Perú. Il vicino della canonica ha fatto un palazzetto e le ha piantate come ornamento del muro esterno. Roba fine!

In Brasile non abbiamo la pasquetta. Si passa di colpo dalla mistica della settimana santa e della veglia pasquale, all´ordinaria amministrazione. Un pó la ci si trascina dietro, nei pensieri, perché la settimana santa é una cosa davvero forte. Non si puó non ricordare, rimuginare, fare la critica e l´autocritica di ció che si é visto, sentito e fatto. Lunedí i preti della diocesi di Goiás, assieme al vescovo, sono andati a passare la giornata in riva a un fiumiciattolo, a riposare e fare il bagno. Felici e casti "come angeli". Una bella idea! Don Eligio ed io avevamo altri impegni e non ci siamo andati. Alle 5 del mattino abbiamo portato il nostro confratello (e parroco) Severino (padre Severino) all´aereoporto di Goiania, a prendere l´aereo per Rio de Janeiro. Si é preso una settimana per stare coi suoi fratelli che abitano lá. Dopo il chech-in lo abbiamo salutato e siamo andati in centro a sbrigare altre faccende. Don Eligio ha passato quasi un´ora e mezza nella libreria paulus, credo che abbia comprato dei libri. Mi ha aspettato lá. Gli hanno dato in omaggio una bottiglietta per l´acqua e il vino, di quelle che si usano nelle messe campali: noi le usiamo continuamente, perché andiamo quasi ogni sera a celebrare nelle comunitá di campagna. Posso testimoniare che é andata in mille pezzi ieri pomeriggio. Gli é caduta. Sono arrivato in casa che, ridendo tristemente, stava mettendone insieme i suoi resti mortali con la scopa.

Severino ha preso la vacanza a Rio nel momento giusto. I suoi fratelli abitano nell´Ilha do Governador, vicino all´aeroporto nuovo, una delle zone piú basse dell´antica capitale. In questi giorni laggiú ha diluviato, e l´acqua ha fatto un disastro: interi quartieri sott´acqua, slavine sui pendii dei "morros". Piú di cento morti, hanno detto i giornali. E fino ad ora non siamo riusciti a comunicare con lui. Non ha lasciato numeri di telefono, e il suo cellulare registra ma non comunica. Forse lo ha lasciato a casa, chiuso a chiave in camera. Ha portato il notebook, ma non risponde ai messaggi. Magari sta passeggiando in barca, oppure aiutando a ripulire le immondizie trasportate dalle piene fin dentro alle case. Non ne sappiamo nulla. Speriamo che sia ancora vivo, e cosí torneremo all´aereoporto lunedí prossimo, a prenderlo.

Pure quí in Goiás, la settimana scorsa sono cadute piogge torrenziali per diverse ore al giorno. Soltanto che, come al solito, nella nostra zona la natura é piú clemente. L´ultimo temporale é passato, rapidamente, la sera del Sabato Santo. Con la festa di Pasqua, come ogni anno, sono comparsi i primi segni della stagione secca che si avvicina. Lunedí si é alzato un venticello che é andato gradualmente aumentando di intensitá fino a diventare freddo. Da ieri il cielo é di zaffiro, e la notte si va sotto i quindici gradi. Torneranno ondate di caldo durante il giorno, perché é ancora presto, ma il panno che abbiamo messo nel letto difficilmente lo toglieremo prima di agosto.

Martedí sera ho celebrato all´aperto e la gente era infreddolita. Una signora che soffre di un tipo di epilessia, impressionata dal vento, ha cominciato a dare segni di un attacco. Per qualche minuto ho dovuto interrompere la celebrazione per lasciare che la aiutassero a ritrovare la respirazione giusta, perché sembrava soffocata. Quando é fresco la messa é piú tranquilla, perché infagottano i bambini e quelli si addormentano (infagottare i bimbi é uno degli effetti del benessere che é arrivato: alcuni anni fa un bambino infagottato era una scena molto rara). E anche i cani si mettono a dormicchiare sotto i tavoli. Immancabilmente ce n´é uno che va sotto il tavolino che serve da mensa eucaristica, e nessuno lo smuove. Dev´essere il piú devoto. Chissá cosa pensano quegli animali quando vedono gli esseri umani pregare. Mi sa che un pochino di presenza soprannaturale la sentano anche loro! A Itaberaí ce n´é una squadra che ha seguito anche tutta la processione della Via Crucis del Venerdí Santo, per le vie del paese, dalle 6 alle 8 del mattino.

La notte scorsa il termometro é sceso, addirittura, sotto i dieci gradi. Un freddo cane. Peró il la sera ho sperimentato una delle soddisfazioni migliori della vita. Avevo un incontro che si chiama "Scuola della Fede", proprio nella sede centrale della parrocchia. Abbiamo studiato a fondo la storia del battesimo dell´eunuco, il "processo" della scoperta e accoglienza della fede, negli Atti degli Apostoli. L´evangelista Luca ce l´ha messa tutta, e ha fatto un capolavoro, a parte la scomparsa improvvisa di Filippo ad opera dello Spirito Santo, che nessuno ci capisce niente e la gente mi chiedeva se era proprio Filippo o era il suo spirito dopo la risurrezione. I partecipanti non erano molti, ma di un´attenzione e immedesimazione eccezionale. Si sono sentiti nei panni dell´eunuco. Hanno abbondato negli interventi. Io ero felice, e lo sono tutt´ora, perché dove la trovi piú gente cosí interessata alla fede e cosí ricettiva? É per essere utili a questo tipo di persone che noi siamo preti, ma di solito ci sollecitano ad intervenire per qualsiasi cosa, perfino sulla birra nelle feste religiose, meno che sui temi del Vangelo.

Stavo dicendo che un pó di settimana santa si attacca alla pelle o entra dentro, e ci mettiamo del tempo a passare ad altro. La passione e la risurrezione sono centrali nella fede cristiana: celebrazioni forti, che toccano profondamente. E anche contraddizioni forti, perché ognuno rivive a modo suo quei misteri, d´accordo con la propria lettura dei testi biblici e della dottrina. Vengono fuori tanti luoghi comuni nei commenti alla liturgia di quei giorni. Qui da noi i commenti sono compito dei laici, che li vanno a cercare quá e lá nei diversi libretti in circolazione, o nei filmati. C´é un pó di tutto. Ripetono, qualche volta, frasi trite e ritrite che nutrono la pietá, ma girano bene alla larga dal punto cruciale che deve cambiare la nostra vita di fede. "Gesú poteva scendere dalla croce in qualsiasi momento, ma non lo ha fatto perché sapeva che con la sua morte ci avrebbe liberati dai nostri vizi, dal bere, dal fumare droghe". Figuriamoci, Gesú é stato ucciso per non farci bere e fumare? "Gesú fu denudato. Anche noi possiamo perdere la nostra dignitá, a volte: la dignitá di padri, madri, figli, lavoratori, cittadini. Ma non importa. L´importante é che non perdiamo la dignitá di figli di Dio!" Parole che mi ricordano la predica íl parroco della mia adolescenza, che al venerdí santo dichiarava senza timore di smentite: "Ogni peccato che commettiamo é come un colpo di martello che inchioda Gesú alla croce".

Se leggiamo con piú attenzione i vangeli, invece, ci rendiamo conto che Gesú non poteva scendere dalla croce, perché si era incarnato in una natura umana e si era impegnato a portare fino in fondo la sua missione a qualunque costo. Per evitare la croce avrebbe dovuto andare dai sacerdoti del Sinedrio e dire loro: "E va bene, mettiamoci d´accordo. Voi date un buon stipendio a me e ai miei discepoli, ed io d´ora in poi misureró le parole e non vi daró piú fastidio!" Non lo ha fatto, perció la croce era inevitabile. "Per questo" - scrive San Paolo - "il Padre lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato un nome al di sopra di ogni altro nome". Noi celebriamo la risurrezione di Cristo e fondiamo su di essa la nostra speranza, ma non ci é lecito dimenticare che é stata per Gesú, e sará per noi, il frutto della nostra obbedienza al Padre. Siamo obbedienti al Padre? Gesú ha messo in chiaro tutte le contraddizioni del mondo con la morte in croce, e ha concluso la sua missione in pochissimi anni e nel pieno della gioventú. Ha fatto quei discorsi e gesti radicali che allontanavano i conformisti e facevano arrabbiare quelli che nascondevano altarini e avevano scheletri nell´armadio. Noi, invece, ci barcameniamo in mezzo alle ambiguitá e viviamo piú a lungo. Ma forse é la nostra condizione umana: deve essere cosí. "Siete nel mondo, ma non siete del mondo". Credo e spero che sapesse di che pasta siamo fatti e su quale terreno camminiamo, e che sia contento dei nostri tentativi. Tuttavia un pó piú di coraggio da parte nostra non guasterebbe. Anche le pasque quotidiane sono gioia e risurrezione, ma vengono dopo il coraggio di portare le croci.

Nel post di alcuni giorni fa ho fatto cenno alle elezioni italiane. Leggo i giornali, e mi dispiace vedere quanto pessimismo e litigiositá esprimono: ma non é bene che io faccia dei commenti perché sono pochissimo informato e quasi sempre leggo solo i titoli o poco piú. Rischio sempre di scrivere stupidaggini. Apparentemente, lí ci sono lotte non tra posizioni aperte alla ricerca del bene comune e del servizio alla vita, ma chiuse e desiderose di imporre e di "farla pagare" agli avversari. Gli specialisti di biologia animale dicono che questa é la caratteristica delle gabbie troppo strette: speriamo che non sia il caso dell´Italia. In Brasile ci sono problemi enormi, ma il "clima politico -sociale" é assai diverso. Anche nella Chiesa, nonostante alcuni aspetti di retrocesso e omologazione. Ad esempio, i Vescovi si impegnano a dare il loro contributo sul tema dell´economia politica. In questi giorni é uscita una nota della Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB) - Por uma Reforma do Estado com Participação Democrática, CNBB 2010 - che esprime le seguenti esigenze fondamentali: "É compito delle istituzioni pubbliche dello Stato, sottomesse al controllo sociale permanente: - regolare il mercato ed avere cura per la qualitá della vita di tutte le persone - la realizzazione dei diritti della popolazione é al di sopra degli interessi dei mercati finanziari nazionali e internazionali. - Dare prioritá all´economia solidale e alla generazione di reddito per mezzo di iniziative dirette della popolazione e di incentivi pubblici. - Promuovere un controllo dei debiti pubblici (esteri e interni) come comanda la Costituzione (cf. Ato das Disposições Transitórias, art. 26)". Lo scandalo dell´esclusione e della violenza ci sollecita alla costruzione di un mondo nuovo". Ottimo pronunciamento, anche se sottintende una montagna di ambiguitá. E anche se qualcuno osserverá, con un pó di ragione, che é facile criticare e dare lezioni al Governo dello Stato, ma bisogna poi essere anche disposti ad accettare critiche e suggerimenti sul proprio Governo della Chiesa.

A proposito di ambiguitá, viene a pennello e vi trascrivo e traduco un altro capitolo di Jung Mo Sung sul tema della Campagna della Fraternitá. Mi é piaciuto molto. Lui, con l´ambiguitá, ci va d´accordo e la trova non male. Il titolo é: Economia e Vita (VIII): ambiguitá e conflitto come valori sociali. Lascio a voi il compito di trovare il nesso tra ció che precede e ció che segue.

"Ho finito l´articolo anteriore affermando che dobbiamo accettare che l´ambiguitá e la contraddizione fanno parte della condizione umana e che dobbiamo desistere dalle "soluzioni pure". Cioé, uscire dalla logica della razionalitá occidentale moderna che propone sempre un unico principio organizzativo per l´economia, la societá e la vita, cosí come propone che un´unica cultura sia presa come universale, una sola religione (sia essa il cristianesimo, o l´islamismo.....o una nuova religione risultato dell´unione di tutte le religioni) che sia universale, capace di includere tutti i popoli e culture diversi dentro di sé, eccetera.....
É questo tipo di razionalitá che spiega perché i neoliberali propongono la soluzione del "mercato puro, totale" - tutti gli aspetti dell´economia e pure della vita sociale diretti dalla logica del mercato - e riducono l´essere umano ad "uomo economico" per "purificarlo" e liberarlo dall´ambiguitá umana. E il socialismo di tipo sovietico cercó di mettere tutta la vita economica, politica e sociale sotto il controllo e la pianificazione della Stato e ridusse l´essere umano ad "uomo politico"; e ci sono oggi settori del cristianesimo della liberazione che propongono che la solidarietá o l´armonia tra gli esseri umani e di questi con la natura debba essere l´unica logica che guida l´economia e la vita sociale, e cosí propongono un "nuovo essere umano" senza ambiguitá e senza interessi e desideri conflittivi. Nonostante siano proposte molto diverse fra loro, queste tre condividono lo stesso principio che ci dev´essere un unico principio organizzatore, sia in economia, sia in politica, nella societá e perfino nel campo religioso, e che l´ambiguitá dev´essere superata.


Per avere un´idea dell´influsso di questo principio della ragione moderna occidentale in luoghi meno sospetti, voglio riportare qui un´espressione che fu molto forte nel cristianesimo della liberazione degli anni 80 - 90: "Le Comunitá Ecclesiali di Base sono (o devono essere) il nuovo modo di essere di tutta la Chiesa". Cioé, tutta la Chiesa dovrebbe avere un unico principio organizzativo, le Comunitá Eclesiali di Base, mentre i settori egemonici del Vaticano volevano e ancora vogliono imporre il modello romano per tutta la Chiesa. É un conflitto tra parti che si fanno carico dello stesso principio come vero. Per superare questa logica del principio unico e di una soluzione definitiva che elimini tutte le ambiguitá e contraddizioni della condizione umana, abbiamo bisogno di passare a vedere l´ambiguitá e il conflitto come valori sociali e umani. Per molti questa affermazione potrá suonare molto strana o perfino eretica. Ma io penso che nella nostra riflessione su economia e vita, sia fondamentale discutere e rivedere questa questione.

Per farlo, dobbiamo cominciare con una rapida riflessione sulla condizione umana. Gli esseri umani sono esseri con capacítá di comprendere, interpretare e creare il proprio mondo utilizzando gli strumenti che la loro cultura offre. Tutti noi sappiamo che culture diverse producono spiegazioni e soluzioni diverse per i problemi inerenti alla vita umana, come, per esempio, il modo di produrre e distribuire i beni necessari alla vita, il modo di organizzare la societá e il sistema di leggi e di valori morali, il modo di dare un senso alla vita, il modo di spiegare e legittimare le differenze sociali e individuali, eccetera. Persone di culture differenti comprendono, spiegano e danno risposte diverse agli stessi problemi o fatti sociali. Cioé, quando persone o gruppi di culture diverse interagiscono, ci sará sempre conflitto di interpretazioni della realtá e anche conflitto di interessi. Se il conflitto é visto come un male, la soluzione ricercata é un conflitto che elimini tutti i conflitti, cioé la vittoria di una parte e l´imposizione della versione del piú forte su tutti quelli che ne sono coinvolti - con l´effetto di una pace e armonia apparenti. Se invece vediamo il conflitto come una cosa che fa parte della condizione umana e come un valore sociale, si cercano forme di "dialoghi possibili", che saranno segnati da conflitti e ambiguitá, ma adesso accettati come parte della condizione umana e della ricerca di una soluzione che non passi attraverso la distruzione o la sottomissione dell´altro. Non c´é dialogo senza nessun tipo di conflitto o ambiguitá; e quando non c´é ambiguitá o conflitto, il dialogo non é necessario.

Dal momento che gruppi umani hanno bisogno di una cultura concreta e non di una "cultura universale astratta" per vivere la propria vita, non é né possibile né desiderabile che la diversitá culturale (e con essa i conflitti) sparisca. E ció significa, per esempio, che la diversitá religiosa, che produce conflitti (come minimo, di interpretazioni) tra le religioni si manterrá e dovrá essere visto come un valore. Un mondo senza conflitti culturali e religiosi sarebbe un mondo in cui un gruppo sociale é riuscito a imporre su tutti i propri interessi, il suo modo di vedere e organizzare il mondo e il senso della vita. Un mondo che vivrebbe una "pace imperiale". Per superare l´attuale "pace imperiale globale", ci occorre farci carico dell´ambiguitá umana, delle contraddizioni umane e sociali, dei paradossi e della tensione tra diversi principi organizzativi, come valori sociali.

In questo senso, Milton Schwantes ci insegna che la dispersione dei contadini, nella narrazione della Torre di Babele, che si concluse con la diversitá di lingue e, perció, la diversitá di culture, non fu un castigo, ma un´azione liberatrice di Dio contro il tentativo dell´ "impero" di imporre, attraverso la potenza militare espressa dalla Torre, la propria lingua/cultura come unica.
(Continua)

2 aprile 2010

PASQUA

Almeno per questa settimana bando alle ciarle e passiamo allo standard convenzionale: vi ripasso gli auguri che ho ricevuto, per posta elettronica, dal Centro Missionario di Reggio Emilia:

Auguri di una Santa Pasqua di Resurrezione!!!!


NON POSSIAMO…

Possiamo calpestare nei prati
fiori e farfalle:
non fermeremo il creato.

Possiamo zittire nell’aria
rondini e bimbi:
non fermeremo la vita.

Possiamo riempirci la bocca
di veleni e minacce:
non fermeremo il silenzio.

Possiamo imbrattare le strade
di sangue e menzogne:
non fermeremo il pensiero.

Possiamo respingere in mare
barconi e migranti:
non fermeremo la storia.

Possiamo togliere ai popoli
dignità e cultura:
non fermeremo lo Spirito.

Possiamo legarci al presente
o imporre il ritorno al passato:
non fermeremo l’Eterno.

Possiamo bandire la croce
o brandirla come fosse una spada:
non fermeremo l’Amore.

Possiamo rifiutare l’incontro,
chiuderci o rinchiudere al buio,
per paura e con rabbia:
non fermeremo la Pasqua!

don Emanuele