27 settembre 2013

IL DENARO CORROMPE

"La schiavitú del denaro produce vanitá e orgoglio, e corrompe: questo non é comunismo, ma Vangelo puro" - dice papa Francesco. Il vangelo di domenica scorsa insegnava a fare il lavaggio di denaro sporco: “Conquistate degli amici con il denaro ingiusto affinché, quando vi mancherá il denaro, essi vi accolgano nelle dimore eterne”. Per “quando vi mancherá il denaro” credo che si possa intendere: “quando il denaro non vi servirá piú a niente!” Immagino che Gesú non avesse intenzione di elogiare gli imbroglioni. Nella sua mentalitá (quella del Regno di Dio), in una societá disuguale il denaro é sempre un pó ingiusto, perché non é condiviso: nemmeno quando é guadagnato onestamente. “Non potete servire a due padroni, a Dio e al denaro”. Nell´economia moderna (ma anche in quella antica), difficilmente riusciamo a mettere in pratica sempre questo orientamento. Peró, riconosciamolo, ci sono piú persone che usano il denaro per la famiglia e gli amici, che per accumulare. Il problema é che l´economia é organizzata per servire al lucro accumulato, non alla felicitá condivisa di tutta l´umanitá. E questo ci rende tutti piú infelici. Siamo esseri umani. non siamo bestie, peró la tendenza (il consumismo, il mercato), non ha né cuore né cervello e trasforma e ci imprigiona nel suo ingranaggio, o ci addormenta la coscienza con i suoi metodi di persuasione sofisticati.
In clima di esercizi spirituali, il predicatore (Padre Savio, di Iesi), osservava che noi abbiamo cambiato le carte in tavola e diciamo: “Non potete servire a Dio senza il denaro”. Francesco, il papa, batte ripetutamente questo tasto. Rivela una ferma volontá di seguire la strada aperta da Gesú. Lui non usava il potere. Faceva solo del bene a tutti. Sappiamo tutti che questo cammino conduce alla croce. Mi hanno detto he Scalfaro ha chiesto a Francesco, in una lettera: “Lei pensa che la Chiesa possa stare in piedi e camminare senza l´uso del potere?” É una buona domanda. Io risponderei che la Chiesa ha ancora il marchio di Gesú grazie a milioni di persone che, una generazione dopo l´altra, hanno mantenuto il vita la “passione per il Regno di Dio” con la loro fedeltá, spesso eroica, alle beatitudini del Vangelo. Il marchio vero del cristiano sono le beatitudini. La Chiesa ha fatto pure alleanze col potere per secoli e secoli. In questo modo ha ottenuto un´espansione geografica e numerica. Oggi siamo circa 2 miliardi e mezzo di cristiani, ma divisi e in maggioranza imborghesiti. Cosí il cristianesimo diventa una religione come tante altre. Quelli che seguono seriamente il vangelo nella vita non sono piú del 3 per cento.
I preti sono 400 mila, i missionari 60 mila. Milioni di suore, religiosi, laici e laiche si donano per gli altri nei luoghi di maggiore sofferenza e solitudine, per portare la gioia, la speranza, la vita. Ieri é morta suor Genoveva, una suora francese della congregazione delle Piccole Sorelle di Gesú. Sono suore che hanno fatto la scelta di formare piccole comunitá accanto alle persone piú emarginate e disprezzate del mondo, testimoniando il Vangelo solo con lo stare vicino alla gente, vivendo la loro stessa vita, per amore e senza prediche né pressioni psicologiche. Lei, assieme ad altre due sorelle, ha vissuto piú di 60 anni accanto agli Indios Tapirapé, nell´Alto Araguaia. Io le visitai nel 1970. I Tapirapé erano una tribú che stava scomparendo. Erano rimasti in 50. Avviliti, praticavano l´aborto per non mettere al mondo dei bambini in quel Mato Grosso ostile, assediati com´erano dai latifondisti. Oggi sono 800, una tribú fiorente.
Notizie spicciole di Itaberaí: domani arrivano i nostri turisti religiosi, accompagnati dal parroco padre Severino. Hanno visitato la Palestina, Roma, Assisi e Fatima. Vi posto alcune delle loro foto pubblicate su facebook. Sta arrivando dalla capitale la doppia pista della statale. I lavori sono ormai vicino a noi. Ha giá suscitato entusiasmo, ma anche egoismi e difficoltá. Siccome il progetto prevedeva la costruzione di una tangenziale per evitare il centro di Itaberaí, una cinquantina di commercianti si sono premurati di convincere il governatore a desistere, e farla attraversare la cittá. Sono proprietari di distributori di benzina, ristoranti e bar, officine, che temono di perdere affari. Il governatore ha accettato volentieri, perché per lui é un risparmio. La gente del quartiere Vila Goiania, che in gran parte hanno costruito case e piccoli negozi accanto alla vecchia strada, sono ora in movimento con una sottoscrizione perche ritorni al progetto della tangenziale. I motivi sono evidenti: in questo tratto giá congestionato, abitano migliaia di famiglie che non sapranno come circolare e come attraversare. Il costo di vite umane e di gravi ferimenti é giá alto e aumenterebbe. Si prevede che le firme saranno molte, perché é nell´interesse di tutta la popolazione della cittá. Inoltre, quelli che hanno le abitazioni, spesso molto poveri, con la doppia pista verrebbero sloggiati e indennizzati al minimo, costretti a costruirsi o comprarsi la casa altrove. Per loro é un dramma.

16 settembre 2013

UN PADRE PER TUTTI

Le foto sono ancora quelle scattate sull´Appennino modenese.
Il testo che segue é stato scritto ieri notte, dopo l´ultima messa che ho celebrato nella chiesa parrocchiale immensa, rimessa a nuovo ma con um´acustica pessima. Il suono degli altoparlanti si perde nel vuoto e confonde pure chi parla: é um´afflizione. Al mio ritorno sono stato accolto con il solito calore umano che fa essere tanto bella la gente di Itaberaí. Ho giá consegnato tutti i regalini e lettere che mi sono stati affidati, da bravo postino. C´é un altro calore, qui, che avrei preferito evitare perché non é affatto umano: al pomeriggio abbiamo avuto sempre 32 gradi all´ombra. Ma dobbiamo ringraziare anche di questo, perché Dio ha fatto il sole e senza di quello non ci saremmo nemmeno noi. In compenso le notti sono gradevoli, e si dorme bene, a parte le “bombe”. Non quelle della Siria, per fortuna. Sono quelle dei mortaretti delle feste presenti o prossime: quella di Santa Croce, Santa Teresa, San Francesco, la Madonna Aparecida, che la gente ha giá cominciato a salutare in anticipo.
Domenica 15 settembre: Quattro giorni dopo la ripresa delle attivitá in questa parrocchia ho giá celebrato 25 battesimi....cosí mi é venuto, oggi, di meditare sul valore del Battesimo e degli altri sacramenti. Nel catechismo, il Battesimo é sempre definito come un atto che agisce “ex opere operato”. Nell´incontro di preparazione, ieri, i genitori e i padrini rispondevano quasi all´unanimitá: “Il battesimo é l´inizio della vita cristiana”. Questo é l´effetto della lettura dei vangeli. Fino a pochi anni fa, con minore conoscenza diretta dei testi dei sinottici, erano invece soliti rispondere: “É una benedizione di Dio sui bambini”. Paradossalmente sono tentato di pensare che avevano piú ragione quelli di questi. Infatti i vangeli affermano, sí, che “chi crede e riceve il battesimo é salvo”, ma parlano di battesimi di adulti. In ogni caso queste sono disquisizioni che non portano da nessuna parte.
L´ex opere operato é difficile per noi da accettare. Se lo pensiamo alla nostra maniera, guardando la realtá di Dio in forma contabile come se fossimo impiegati di una ditta religiosa, e pensando a vincere la competizione con le altre chiese e religioni, potremmo cullarci nell´illusione. In questa parrocchia battezziamo circa 300 bimbi all´anno. In dieci anni fanno 3 mila. Nel giro di 20 anni avremmo immesso 6 mila discepoli ex opere operato fedeli a Gesú in tutto e per tutto. Una cittadina di 35 mila abitanti sarebbe trasformata nello spazio di una generazione. Sappiamo che non funziona cosí. Ma sappiamo che non é possibile nemmeno negare che Dio operi per conto suo e alla sua maniera: l´ex opere operato puó significare questo, e non possiamo negarlo. Non siamo in grado di controllare e nemmeno conoscere l´azione di Dio su questi bimbi. In particolare, se intendiamo Dio come il Padre di Gesú, secondo il testo di Luca che abbiamo letto oggi (Luca 15), Lui é uno che ama indistintamente e pazzamente tutti gli uomini e le donne: perfino quel disgraziato giovane che si é allontanato da Lui ingiuriosamente, trattandolo come se fosse giá morto, poiché aveva preteso la sua parte di ereditá.
Dopo qualche tempo quel ragazzo arrogante e stupido si rese conto di aver buttato via i doni del Padre e la sua stessa vita, poiché era ridotto a fare lo schiavo di un padrone malvagio che lo umiliava a fare da guardiano dei porci e non gli dava nemmeno da mangiare. Forse questa parte della parabola rispecchia esattamente la situazione di uomini e donne della nostra epoca, che trattano la vita come un diritto e non come un dono. “La mia vita é mia, e me la gestisco io”. É ben vero che il Padre non fa nessuna obiezione, come non la fece il padre di quel figlio della parabola. Al Padre di Gesú non interessa salvaguardare la propria autoritá e non teme di andare in rovina se un figlio spreca l´ereditá. Non chiede a nessuno di restare con lui per obbligo, non minaccia e non é vendicativo. Non é come il Dio di taluni passi biblici, che richiede sacrifici e minaccia saette sui peccatori. Chi vuole andarsene, Lui lo lascia andare. E continua ad amarlo ugualmente.
A tal punto che, quando il figlio ritorna, Lui non l´ha dimenticato. Lo sta aspettando con ansia. Non gli lascia nemmeno il tempo di chiedere perdono. Non gli fa la ramanzina. Solo lo abbraccia, lo bacia e gli prepara una festa.
Forse, noi che abbiamo continuato ad andare in chiesa e siamo rimasti col Padre di Gesú, assomigliamo di piú all´altro figlio, quello maggiore. Il quale si é comportato bene, é rimasto a casa, ha lavorato i campi al servizio del padre, ha rispettato tutte le regole e usanze da persona perbene. Peró non ha preso da suo padre. Non ha imparato ad amare e a perdonare, é egoista e gli manca la generositá. Si arrabbia perché quel disgraziato di suo fratello é ritornato. Arriva perfino, nel suo rancore, a far capire che anche lui avrebbe avuto voglia di andarsene, almeno qualche volta, lontano da lui, prendendo qualche vitello grasso per fare festa con gli amici. Quindi, piú che rimanere con padre con gioia e per amore, vi era rimasto per paura e conformismo. Il padre della parabola non sgrida nemmeno il figlio maggiore. Lo tratta con affetto, e lo invita a partecipare alla festa. Il Padre di Gesú non ci fa nessuna recriminazione. ma ci invita a fare di questo mondo una festa di tutti. Non dimentichiamo che questa parabola, assieme alle altre di Luca 15 (la pecora smarrita e la dracma ritrovata), furono pronunciate da Gesú in risposta ai farisei e sadducei che lo accusavano di essere um trasgressore della legge: “Quest´uomo accoglie i peccatori e mangia con loro!” Scrive J. Antonio Pagola:
“In mezzo alla crisi religiosa della societá moderna, ci siamo abituati a parlare di credenti e non credenti, di praticanti e di lontani dalla Chiesa, di matrimoni benedetti della Chiesa e coppie irregolari. Mentre noi continuiamo a classificare i suoi figli e figlie, Dio continua ad attenderci tutti, poiché non gli appartengono solo i buoni e i praticanti. Egli é il Padre di tutti. Il figlio piú anziano interpella noi che crediamo di vivere accanto al Padre. Cosa stiamo facendo noi che non abbiamo abbandonato la Chiesa? Lavoriamo per assicurare la sopravvivenza religiosa osservando al meglio le prescrizioni, o per essere testimoni dell´amore immenso di Dio verso tutti i suoi figli e figlie? Stiamo costruendo comunitá aperte che sanno comprendere, accogliere e accompagnare quelli che cercano Dio in mezzo a dubbi e interrogativi? Innalziamo barricate o lanciamo ponti? Offriamo amicizia o li guardiamo con diffidenza?”
In quest´ottica, mi pare che il vescovo di Roma, Francesco, stia tentando e suggerendo una rivoluzione piú importante di quella che ci aspettavamo. Quando cerca il contatto diretto con le persone, telefona a casa della gente e scende in strada su una R4, ci mostra che non gli interessa affermare le prerogative e i poteri di papa, ma seguire la strada di Gesú manifestando nella sua persona l´amore del Padre. La sua prioritá non é stare e portare tutti in chiesa, ma aprire e svelare all´umanitá l´unica qualitá del Padre di cui possiamo essere certi: l´amore. Noi siamo discepoli di una persona, Gesú, che ha conquistato tutta la sua gloria e potere sul mondo attraverso la sconfitta umiliante della croce, come scrive ripetutamente l´apostolo Paolo nelle sue lettere e come abbiamo ricordato ieri, nella solennitá della Santa Croce.

13 settembre 2013

DI RITORNO COL VANGELO DI LUCA

Le immagini sono delle mie ultime camminate sull´Appennino.
Questa sera, finalmente, sono un poco piú tranquillo. Sono rientrato ieri a mezzogiorno, ed ho avuto parecchio da fare per riorganizzare la casa dopo aver disfatto le valigie, e per riprendere contatto con la routine di quí, ben diversa da quella delle ferie italiane. Ho giá dimenticato quasi tutto quello che mi aveva impressionato nei quasi due mesi di Italia. Pian piano credo che mi torneranno alla memoria. La prima che mi viene in mente é che anche lí come qui in Brasile, in quanto a feste, non si scherza. In luglio e agosto, tra sagre, serate musicali o filosofiche, eccetera, la gente si ritrova insieme, mangia, beve, e si diverte. Meno male. Di fatto si vede bene che la crisi colpisce duramente. C´é gente che soffre e si dispera, e si ascoltano molti discorsi rabbiosi e pessimistici. Ma il livello di vita é mediamente ancora alto, e la gente vuole vivere. In un momento cosí minaccioso per la pace mondiale e cosí povero di prospettive, queste manifestazioni popolari possono essere il luogo in cui l´umanitá si rifugia e rinasce. Credo che in Italia bisognerebbe vincere quel maledetto individualismo che corrompe e deforma la visione della vita sociale e politica: non si é ancora ritrovata nella popolazione una unitá di intenti per organizzare lo Stato al servizio della felicitá e del benessere di tutti. Questo individualismo si sta facendo strada anche qui. É nella radice del cuore umano, ma é un istinto bestiale che dovrebbe essere “umanizzato” dalla conoscenza e da un rafforzamento dei sentimenti di solidarietá.
Ad Itaberaí stasera (poco fa) si é conclusa la Settimana Biblica. Hanno fatto quattro giorni di studio del Vangelo di Luca, che é quello che si legge nelle domeniche di quest´anno. Ho fatto in tempo a prendere le ultime due serate. Um bel lavoro, con una partecipazione modesta per le nostre tradizioni (solo una ottantina di persone), peró molto attenta e vivace. L´atto finale é stato un piccolo banchetto con le cose mangerecce e le bevande portate da ciascuno, segno della condivisione e dello “spezzare il pane”. Domani sará un giorno importante per Itaberaí: alle tre del mattino, per la prima volta nella storia di questa cittá, parte un gruppo di 36 pellegrini accompagnati dal parroco (Severino) per visitare la Palestina. Andranno in corriera fino a Goiania, poi in aereo a Bologna, Roma, Tel Aviv. Il ritorno sará tra quindici giorni, con qualche sosta anche in Italia (Roma e Assisi sicuramente). Due diversi tipi di approccio alla Bibbia.... Buon viaggio. É un lusso che pochi, ancora, possono permettersi, ma se servirá ad avvicinare questi pellegrini all´umanitá di Gesú, sará un risultato eccellente.
É vero che si diventa cristiani a partire dalla risurrezione di Cristo, ma questo é un atto di pura fede, non dimostrabile storicamente. L´único modo che abbiamo per certificare che Gesú é Figlio di Dio ed é risorto sono le opere che Egli ha compiuto (mi conoscerete dalle opere che io faccio) e da quelle che continua a compiere tra noi (ne farete di piú grandi). Le opere di Gesú sono misericordia, perdono, dono di sé, portare gioia e umanitá. Continuano ad accadere, spesso anche per mezzo di persone che esplicitamente non credono in lui ma agiscono come lui.
Il Vangelo di Luca ci ha sollecitato e sfidato, nei mesi scorsi, a percorrere la strada di Gesú per cambiare il mondo: “sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse giá divampato!” “Quando inviti qualcuno a pranzo o a cena, non invitare parenti e amici che possono retribuirti, ma invita i poveri, i ciechi, gli storpi e i mutilati, che non possono ricambiarti”. “Sforzatevi di passare per la porta stretta”. E la parabola di Gesú sul fico che non dava frutti, e che assomiglia tanto al nostro cristianesimo borghese che si alimenta di qualche sacramento e qualche osservanza religiosa ma non é capace di umanizzare le relazioni umane, di accogliere gli sconfitti, di condividere le conquiste del benessere, di rendere gioiosa la vita di chi ha molto arricchendola di generositá e di condivisione con chi ha bisogno di aiuto. Gesú voleva una umanitá gioiosa, solidale, fraterna, e una Chiesa portatrice di una Buona Notizia per quelli che sono abbattuti dalla miseria, dalle malattie, dalla perdita di senso. Il suo non é il modo normale di intendere e vivere del nostro tempo, nemmeno della maggioranza di noi cristiani. Sembra, a volte, che noi ascoltiamo queste letture tranquillamente, senza rimanerne sconvolti, e le traduciamo in modo da potercela cavare con qualche momento di commozione, con un´elemosina e alcune preghiere per i sofferenti.
Abbiamo bisogno di uno scossone. Se ci adattiamo (e ci siamo giá adattati troppo) a questo mondo che ha scelto come legge fondamentale “accumulare” e non “spezzare” il pane, tutta la nostra religiositá nel nome di Gesú, Maria e i santi, diventa una farsa. Di fatto la religiositá e la ricerca di rapporti piú umani sono ancora molto vivi e forti, soprattutto quí in Brasile, ma si sente e si vede che vengono corrosi rapidamente, giorno dopo giorno. Gli alimenti, la casa, la medicina, la scuola, sono sempre piú privatizzate e care man mano che crescono in qualitá. Stiamo camminando nella direzione di un mondo sempre piú fatto per i ricchi e senza compassione per i poveri. Forse é per questo che, nella legge di Mosé, il secondo comandamento era “non nominare il nome di Dio invano”.

2 settembre 2013

DOPO LE FERIE: CON GIOIA

Riprendo il mio blog dopo due mesi di silenzio. Nel frattempo sono venuto in Italia. Non posso fare a meno di rivedere ogni tanto luoghi o persone cui sono legato da affetti e memorie. Sono ancora qui, però mancano pochi giorni. Se tutto corre secondo i piani, il giorno 11 settembre sarò di nuovo nella mia sede di Itaberai per riprendere il lavoro. Nel frattempo il vescovo di Goiàs ha mandato una lettera a tutti i preti preannunciando cambiamenti e chiedendo pareri: vedremo cosa succederà nei prossimi mesi.
Agosto non è adatto per incontrarsi con le persone e risolvere problemi in Italia: gli uffici sono chiusi e molta gente va via, in ferie. Tuttavia a Serramazzoni ho trovato tranquillità, un clima favoloso e tutt’ intorno queste magnifiche montagne per saziare gli occhi e fare qualche camminata rigeneratrice. Ho goduto della convivenza e accoglienza di familiari e amici antichi e nuovi. Incontri assai proficui e gratificanti: con escursioni in montagna, lunghe conversazioni in casa e in pizzeria. Vignolesi, montesini, comunità del Villaggio, riminesi, varesini, confratelli, preti e laici ex colleghi di Brasile. Molto accogliente pure l’arcivescovo che mi ha invitato e intrattenuto affabilmente per uno scambio di vedute. Grazie a tutti, perché le mie ferie senza di loro sarebbero state una noia. Invece sono state ottime per la salute fisica e dello spirito.
"Il Brasile non interessa più" - si dice. Non è del tutto vero, poichè sono ancora tanti i modenesi, soprattutto laici, che si interessano, visitano, ci stanno vicini e si sentono beneficiati spiritualmente da questo intercambio con un'altra chiesa locale. Ma, effettivamente, pare che non ci siano più candidati a continuare la collaborazione con la Diocesi di Goiàs. Noi cerchiamo pure, ogni tanto, di scoprire le "colpe" di questa indifferenza o incomprensione:abbiamo sbagliato noi? Hanno sbagliato altri? Non credo che sia importante. Siamo tutti umani e commettiamo errori, ma abbiamo cercato sostanzialmente di essere fedeli al vangelo e alle esigenze di costruire la Chiesa Popolo di Dio, alleata degli oppressi e testimone della misericordia di Dio verso i poveri. Non lo abbiamo fatto per ottenere riconoscimenti. Come spiega, giustamente, un mio collega, "era prevedibile e necessario che, facendo certe scelte, fossimo incompresi da chi faceva scelte diverse". Anzi: era il minimo che ci si potesse aspettare.
Chi ha la fortuna di essere di nuovo nella Diocesi di Goiàs, percorrere le medesime strade di 50 anni fa, incontrare e celebrare con le stesse comunità e camminare con i numerosi gruppi di operatori e operatrici pastorali laici e laiche, conosce molti motivi per rallegrarsi dei buoni frutti di ciò che abbiamo fatto sia pure imperfettamente. I risultati sono visibili e e abbondanti. Gioia, gioiae gioia, unita alla preoccupazione per i problemi che stiamo vivendo oggi. Pure il Brasile è cambiato, sta cambiando, e ci sono da affrontare nuove e grandi sfide, ma questo toccherà alla Chiesa locale, che oggi è in condizione di camminare anche da sola. Noi, tre o quattro anziani stranieri "sopravvissuti" in quella diocesi, e ormai non più in primo piano, ci stiamo dedicando il più possibile a formare uno spirito missionario anche in quella Chiesa, perchè una Chiesa non è mai completamente di Cristo se si chiude in sè stessa. Fu il motivo per il quale nacque l'iniziativa Fidei Donum, che ebbe come fondamento questo richiamo del papa Pio XII ai vescovi: aprite il cuore alla "sollecitudine di tutte le Chiese. Altro che indifferenza!
Abbiamo dovuto condividere, purtroppo, avvenimenti tristi: la crisi mondiale, la disoccupazione in Italia, la situazione medio-orientale a rischio di causare un altro pezzetto di guerra mondiale. Lo stupore e lo sdegno per la faccia tosta del nostro Alì Babà coi suoi 40 ladroni che tengono il nostro paese in ostaggio. E ancora di più per la rassegnazione e assuefazione della gente a questo clima indecente. Sembra che sia molto diffusa nell’opinione pubblica italiana la convinzione che la giustizia, i diritti umani, l’onestà e perfino la democrazia e l’uguaglianza di diritti e doveri siano impraticabili. E’ una situazione strana, mai vista prima e inaccettabile per un paese civile. Non possiamo tapparci gli occhi e gli orecchi: tira una brutta aria. C’è in giro anche molta insofferenza verso questi sfollati dalla miseria e dalle guerre, che arrivano e sono sempre più spesso accolti con ingiurie e minacce. L’antipolitica che si sente nelle conversazioni, il fare di ogni erba un fascio, mi pare che non aiutino ad avanzare verso la soluzione dei problemi. Ma, come dice il papa Francesco, dobbiamo fuggire dal pessimismo per non dover andare dallo psichiatra, che costa troppo.
Abbiamo anche motivi di ottimismo. Il mio ononimo Francesco, ad esempio, ci fa respirare aria nuova: se non altro, una gerarchia e un clero più vicini alla gente, più spirituali. Mettiamo l’accento più sull’amore misericordioso, più sul vivere in Cristo e vivere il mistero della salvezza, più sulla gioia di seguire Gesù. Le letture del Vangelo di Luca di questo periodo hanno aiutato molto a capire lo spirito di Gesù. Siamo una Buona Notizia per i poveri? Portiamo gioia, vita, speranza ovunque andiamo? Abbiamo mantenuto acceso il fuoco che Gesù ha voluto portare sulla terra, e lo sentiamo ancora ardere nelle nostre parrocchie e diocesi? Abbiamo ancora la stessa passione che aveva Gesù per i sofferenti e gli oppressi, per la vita in comunità e per la fratellanza? Lavoriamo per soddisfare i bisogni più profondi dell’essere umano, o seguiamo semplicemente l’andazzo generale? Passiamo per “la porta stretta” vivendo nello spirito del perdono, della misericordia, della verità, della giustizia, dell’amore vero che rende liberi? O semplicemente ci siamo adattati ad una via di osservanza “abbiamo mangiato e bevuto con te, e tu hai insegnato nelle nostre piazze”! Abbiamo almeno tentato di fare la scelta preferenziale per i poveri? “Quando devi dare un banchetto non invitare, fratelli, amici e parenti che ti possono ricambiare; ma invita i poveri, i mutilati, gli zoppi e i ciechi, che non possono darti niente in cambio…”
Credo che si possa dire che ci sono ovunque molte persone che vivono tutto questo, ma io con queste letture mi sono sentito interpellato e richiesto di una conversione più profonda e concreta. Non possiamo seguire Gesù nell’intimo e poi amministrare la parrocchia e fare pastorale secondo i criteri mondani: interesse, proselitismo, ricerca del successo e del trarre vantaggio da ogni cosa che si fa.