26 dicembre 2012

PROPOSITO PER IL 2013

Foto: a partire dalla sera di domenica scorsa 23 dicembre, siamo tornati dentro alla vecchia Chiesa di San Sebastiano ristrutturata. Per puro caso mi é toccato l´onore di spianarla. L´inaugurazione é ancora lontana, perché non é finita. La gente é contentissima. Sono orgogliosi di avere una chiesa cosí grande e bella. La voce e lo sguardo di chi presiede si perdono nello spazio. Continueró a preferire le piccole comunitá in cui ci possiamo guardare negli occhi.
Sono le 22 del giorno di Natale. Sono appena rientrato da una visita a Nello. É sempre solo nel suo tugurio. Ha compiuto 89 anni. É ancora forte di mente e volontá. La coerenza non gli manca, come si conviene a um profeta “voce nel deserto”. Libero come quei filosofi che abitavano nel canile di Atene. Orgoglioso di ció che dice. Per questo gli hanno regalato mezz´ora alla settimana nella radio locale. Nessun altro, che io sappia, ha mai ottenuto un simile privilegio. Per vederlo, io ho attraversato lampi e tuoni sulle montagne di Itapuranga che questa sera sembravano le “cime tempestose”. Ero libero da impegni e avrei potuto concelebrare ad Itaberaí, ma l´amico Padre Luís mi ha detto: “Non troverai Dio nel Tempio, cercalo nel tuo fratello!”. Una bella frase per la notte di Natale e per tutto il 2013 che verrá. Scrive Frei Beto che le feste di Natale risvegliano: 1) il sentimento religioso e la “nostalgia di Dio”; 2) propositi di vivere meglio l´anno nuovo che sta per iniziare; 3) ma anche una speie di noia spirituale provocata da tutto ció che siamo costretti a subire in questo periodo: pranzi e cene, auguri di circostanza e orgia consumistica imposta e strombazzata in tutte le forme possibili.
Ho visto la nostalgia di Dio nella novena, celebrata nei quartieri e in campagna nei gruppi spontanei di famiglie. Un incontro intimo, di preghiera, senza chiasso di festa, ma anche le comunitá piú fiacche si sono risvegliate e riaggregate. É impressionante l´attrattiva che esse esercitano. La gente attende il tramonto, poi accorre. La diocesi fornisce ogni anno um libretto diverso per arricchire la devozione popolare con letture bibliche e riflessioni aderenti alla realtá locale. Pellegrinano da una casa all´altra portandosi dietro un piccolo presepio. Ogni gruppo sceglie le sere preferite dalla maggioranza. Dove le distanze non permettono una novena intera, fanno un triduo. L´ultimo giorno portano bevande e specialitá di cucina goiana (pão de queijo, biscoito de mandioca, etc...) per um´oretta di confraternizzazione. Quando le coincidenze lo consentono ci va pure il prete a celebrare la messa, e in questo caso é giá Natale.
A parte il clima assai diverso, hanno il fervore delle novene della mia infanzia: alle sei del mattino facevamo una scarpinata notevole per arrivare nella cappella della borgata, godere la gioia di ritrovarci con gli amici e conoscenti della zona, ascoltare le magnfiche antifone dei profeti e cantare “Tu scendi dalle stelle”. A quei tempi eravamo tutti al freddo e al gelo. Si camminava al buio ben infagottati tra le colline bianche di brina o dolcemente ammantate di neve. Nei giorni scorsi, usando i potenti mezzi di google maps, ho rivisto quasi dal vivo i luoghi di quelle mattinate indimenticabili: la casa di Ponte Borlenghi, il percorso in mezzo ai frutteti, la chiesetta e la piazzuola, la bottega del fabbro chiusa da tempo immemorabile con lo stesso portone di allora, sempre piú logoro. Mi incantavo a guardare il mantice, la fucina, il fabbro tutto nero che batteva e batteva...e che diceva a noi bimbi: “State alla lontana!”
Tutto é cambiato. Solo 10% della popolazione vive ancora nei campi. Gli attrezzi e i borghi con le attivitá artigianali sono scomparsi anche quí come ovunque. Lo spirito natalizio riesce a farne riaffiorare qualche elemento poetico, um ó dell´anima contadina che sa improvvisare e mettere insieme l´antico e il nuovo. In una notte qualsiasi ho celebrato dentro al capannone di una fazenda, tra macchine agricole e pile di sacchi di concime e cereali. Io ero al centro di un semicerchio di comode sedie bianche di plastica prese in affitto dai grossisti di birra e bibite. Un candeliere fatto con um semiasse e pezzi di un vecchio trattore sorreggeva i nove grossi ceri - simbolo della novena. Sospese su di noi tante palle colorate per creare l´ambiente. A destra un presepio illuminato da cordoni di lampadine cinesi. Accanto alla capanna di Gesú Bambino un albero di Natale, e a destra della mensa eucaristica un Babbo Natale vivo, seduto su un trono, ha presieduto la messa vicino a me. Babbo Natale a messa, non é una contaminazione? Peró fa sorridere e sognare i bambini! Non sará lui a impedire l´accoglienza a Gesú, “Dio con noi”, aperto a tutte le culture e tutti i popoli.
L´ostacolo per Gesú sará, piuttosto, la nostra cecitá. I profeti annunciavano che il Messia sarebbe venuto per essere luce dei “ popoli che camminano nelle tenebre e nelle ombre di morte”. Noi di tenebre ne abbiamo ancora tante e ci rifiutiamo di vederle. Se si pensa, ad esempio, alla situazione degli indios brasiliani, vediamo che il tradimento del Natale é cominciato assai prima dell´arrivo di Babbo Natale. Nel 500 i coloni portoghesi cominciarono ad eliminare gli indigeni che non accettavano la schiavitú. Piú di cinque secoli dopo, circa un mese fa, nel Pará, essi sono stati vittime di una ennesima strage, quasi ignorata dalla stampa. Per dissipare queste ombre di morte non basta né il presepio né il clima di religiositá del Natale. Solo la forza della Parola di Dio potrá far splendere, poco alla volta, la luce di Cristo. I censimenti dicono che 4 persone ogni cinque si dichiarano religiose, ma un miliardo e mezzo vive sotto la soglia della povertá.
A volte ci creiamo Dio a nostra misura. Gli rivolgiamo sospiri ed espressioni estasiate per sentirci vicini a lui, ma le nostre vere aspirazioni sono la ricchezza e il potere a tutti i costi. Non dividiamo il pane. Nei giorni scorsi un commerciante che, rivestito di tunica bianca, mi aveva fatto devotamente da chierichetto, mi ha detto: “Il nostro dovere é amare Dio, non i poveri”. Nel suo caso voglio pensare che sia solo una frase che gli é venuta fuori male (le bestemmie non vanno contestualizzate?), ma il guaio é che sono molti quelli che non vogliono aprire gli occhi o “accendere la Luce”. Il teologo evangelico brasiliano con nome cinese, Yung Mo Sung, spiega che le “elites” hanno bisogno di maltrattare il prossimo per giustificare i propri lussi, perció cercano notte e giorno prove dell´inferioritá altrui per non provare vergogna di ció che fanno. Cosí, quando erano costretti a usare gli schiavi, avevano scoperto che i negri non erano esseri umani. Ed ora sfogano la loro rabbia contro chi, come Dom Tomás, Pedro Casaldáliga ed altri, in adempimento del Vangelo difendono le categorie piú oppresse.
Se lo dice lui! Noi sappiamo per certo che l´egoismo e la cattiveria esistono nel profondo di ogni essere umano, e quelli che hanno potuto dominare e fare leggi hanno strutturato le istituzioni a proprio vantaggio. Allora, che fare? Mi approprio della proposta di un altro teologo che scrive sul sito del CEBI: siccome questo vecchio mondo non é finito nel 2012 come prevedeva il calendario dei Maya, facciamolo finire noi nel prossimo 2013. “É importante cominciare distruggendo alcune cose antipatiche che abbiamo in noi, come l´egoismo, l´arroganza, l´odio, il pessimismo e l´invidia, (...) che non sono salutari per la nostra vita sulla terra”. “Il secondo passo é farla finita coi mondi della fame, ingiustizia, accumulazione”. Poi cominciare un mondo nuovo. Pensare a chi ti sta vicino, averne cura, abbracciare senza paura e senza malizia, amare senza abusare”. “É ora di coltivare i sentimenti della gratitudine, affetto, condivisione”. “Credo in te, in me stesso, nell´umanitá, che in qualche modo impareremo percorrendo la strada dell´amore o del dolore”. (Lucas Rinaldini, Birigui, CEBI - São Paulo Interior).
PS - In questo post ho tradito notevolmente il pensiero di Yung Mo Sung, la cui riflessione nell´articolo che ha pubblicato su Adital é bem piú ampia e precisa. Riassumo qui, con maggiore fedeltá ma con parole mie e volgari, la parte che riguarda la mia citazione: le elites in astratto (in teoria) sono d´accordo che tutti gli esseri umani sono uguali. Ma in pratica, per quelli di loro che pensano di essere superiori perché hanno piú soldi e perció ritengono di avere il diritto al potere, l´uguaglianza diventa spesso un affronto. Per questo, quando emergono persone come Obama, Lula, o Ugo Chavez, schiattano di rabbia e devono trovare per forza prove per squalificare il loro operato.

13 dicembre 2012

PROFEZIE DI NATALE

Le foto: 1) Dom Tomás e dom Pedro Casaldáliga, il vescovo emerito di São Felix, amico per la pelle di Dom Tomás e anche lui novantenne (lucido ma fragilizzato dal Parkinson). Alla sua destra il neo-prete Padre Celso, ex benedettino; alla sinistra il dottor Antonio di Ceres, che fu compagno inseparabile di Dom Tomás nelle visite agli indios (il dottor Antonio ha raccontato tutte le paure che ha passato sul piccolo aereo rosso che Dom Tomás pilotava). 2) I ragazzi del gruppo di capoeira, che sono venuti a suonare il berimbau per dom Tomás. Le altre sono foto dello stesso incontro.
Siamo a un passo dal Natale. Auguri a tutti i lettori! Va di moda la profezia dei Maya, ormai in scadenza. La Chiesa ci fa leggere quelle dell´Antico Testamento che non scadono mai. La nostra situazione assomiglia parecchio alla loro. Quei profeti vivevano l´esperienza dell´invasione degli imperi: Gerusalemme distrutta, i dirigenti deportati e il popolo angosciato, spintonato quá e lá, disorientato. Noi viviamo i tagli, le tasse, i fallimenti di imprese, una schifosissima corruzione politica, la disoccupazione. In Brasile soprattutto la violenza. I profeti facevano gli auguri annunciando un tempo futuro di pace e giustizia fondato sulla fedeltá a Javhé che Israele aveva irriso e violato seguendo idoli d´oro e argento. Noi facciamoci gli auguri della pace in Gesú Cristo e nel Regno di Dio che é in “Avvento”: giá in cammino ma non ancora arrivato. Siamo bugiardi se non riconosciamo che l´abbiamo sostituito agli idoli del profitto e del consumismo, che ci ha portati a questa situazione rovinosa.
La pia signora che mi ha accompagnato stasera nella fazenda del figlio per celebrare la messa, al ritorno mi ha detto testualmente: “Padre, ha visto? Poca gente, nessuno vuole piú abitare in campagna! Ogni nuovo governante é peggio di quello di prima. Pensano solo a riempirsi di denaro: le tasche, la camicia, il cuscino e perfino le mutande. Le strade di campagna sono intransitabili, abbandonate al tempo. I servizi sono lontani, pochi e cari. Quel bimbo che lei ha visto a messa, gli hanno trovato un cancro dietro l´occhio e gli hanno estirpato anche l´occhio. Ora si vergogna, quando parla con qualcuno abbassa la testa. Il padre va e viene da Goiania, spende tutto in viaggi, analisi e medicine. Non lavora piú, non ha pace per curare i campi. Sopravvivono della solidarietá dei vicini di casa. La Dilma incentiva la produzione. Le imprese grandi seminano chilometri quadrati di soia. I piccoli proprietari non possono nemmeno piantare i loro fagioli, perché le malattie della soia distruggono le altre colture. I contadini sono tutti in bolletta”. Ieri sera, sempre in una messa in campagna, mentre si scherzava sulla porchetta che, per molti, é il sogno di ogni Natale, una giovanissima mamma ha commentato: “Padre Chico, guardi che qui la porchetta non ce l´ha nessuno. Piú che altro si mangiano foglie d´insalata. La vita quí é di poca carne!”
Oggi era anche la festa di Nossa Senhora di Guadalupe, la Madonna india, patrona dell´America Latina. Un paio di donne l´hanno ricordata e hanno intonato il “magnificat” in una versione popolare brasiliana. Domani é festa di Santa Lucia e anniversario di morte di Luigi Gonzaga: non il santo principe italiano, ma il favoloso cantautore del nordest brasiliano. Io ho chiesto alla Madonna che aiuti la Dilma, che a metá del suo mandato é nei guai. E a Santa Lucia ho pregato che le apra gli occhi. Scrive cosí il giornalista Ricardo Kotscho, sul suo blog riportato da Adital: “Dilma in questi due anni si é caratterizzata come governante austera e implacabile, a favore degli interessi del paese e contro le malefatte dei suoi collaboratori, piú che per i numeri dell´economia che si possono interpretare tanto a suo favore quanto contro di lei. Da ció che si legge nei giornali non dev´essere facile lavorare con lei che continuamente sembra irritata, richiede provvedimenti urgenti, maltratta ministri, si arrabbia per le cadute di energia elettrica e altri buchi dell´infrastruttura”. “Eletta per le sue promesse di dare continuitá ai successi di Lula, lei ora si trova chiusa nel proprio labirinto”.
"Se i ministri e i progetti non funzionano come lei vorrebbe, perché non cambiarli e montare il governo a modo suo, a sua immagine, d´ora in poi?” – si chiede Ricardo Kotscho. E si risponde da solo: “In un´impresa privata sicuramente lo avrebbe giá fatto. Ma nel potere pubblico il buco é piú in basso, e lei deve tener conto delle sfide della governabilitá. Nonostante l´ampia maggioranza alla Camera e al Senato, con l´appoggio di quasi tutti i 30 partiti nazionali, Dilma non riesce ad imporsi perché deve tener conto degli interessi del sacco di gatti che forma la sua base di sostegno”.
In altre parole, alla Dilma sfuggono di mano troppe cose. E si vede. I prezzi degli alimentari galoppano. Non é che lei non faccia niente: ha inventato il programma "Brasil Carinhoso" per combattere la miseria, e porta avanti quelli creati da Lula, "Minha Casa, Minha Vida" e la "Bolsa Família". Si fa in quattro per il PAC, programma di accelerazione della crescita, che le fece vincere le elezioni e ora si é inceppato in diverse aree del paese. Dilma non ha le persone che vorrebbe, non ha ministri efficienti e adatti a lei. É in gabbia. Dovrebbe fare una riforma ministeriale ma fin´ora non le é riuscito, nonostante abbia un´opposizione che si rimpicciolisce ad ogni elezione. La gente che conosco non si accorge di niente, sorride della crisi europea. “Noi qui, invece, abbiamo davanti a noi un futuro di sviluppo smisurato” – dice qualcuno. Non vede che il Prodotto Interno lordo é ridotto, ormai, ad un misero 1%. Che le nostre immense campagne sono alla mercé della monocultura di esportazione, único pilastro dell´economia esattamente come ai tempi del Brasile coloniale.
Milioni di tonnellate di soia e mais in cambio di dollari ingrassano i conti correnti di alcuni proprietari rurali, ma soffocano l´economia di paesi e cittá che non hanno piú produzione agricola locale e la comprano da fuori a prezzi esorbitanti. I supermercati fanno fallire i piccoli commercianti del posto. Sempre piú numerose le automobili e le ville di lusso, ma anche le bande di delinquenti per le strade e nelle case durante la notte, i “branchi” di ragazzi e giovani nel traffico di droga, i mini-appartamenti dei migranti lontani dalla loro famiglie smembrate. Senza parlare dell´inquinamento e della situazione sanitaria. Che Santa Lucia ci curi la vista. I profeti dell´esilio fanno al caso nostro, in questa vigilia di Natale. Ad Itaberaí anche la chiesa, ristrutturata, ha acquisito l´aspetto di questo progresso, esuberante ma dal futuro grigio e minaccioso. Speriamo di incontrare in questo tempio moderno Gesú Cristo, l´annunciatore della Buona Notizia ai poveri. Si puó sperare?
Rimanendo in tema di profezie: Dom Tomás Balduino, vescovo emerito e profeta, compie 90 anni il 31 dicembre prossimo. É stato vescovo di questa diocesi di Goiás per 31 anni. La diocesi, con la collaborazione di un gruppo di amici, lo ha festeggiato il giorno dell´Immacolata, sabato 8 dicembre scorso. Le foto di questo post sono state scattate lí. Io non potevo mancare, come suo collaboratore dalla sua prima settimana di episcopato fino alla pensione. All´incontro eravamo un centinaio, metá venuti da lontano. Hanno parlato un pó tutti. Un giorno intero di testimonianze di affetto con um pizzico di autocompiacimento e alcuni scivoloni-scivolini di vanitá e adulazione. É umano! Dom Tomás ha lasciato una impronta indelebile nella vita di molti, nelle loro scelte personali e nella storia, non solo della diocesi di Goiás ma della Chiesa stessa e del Brasile. Non esagero. É diventato cosí famoso che chi desidera conoscere i freddi dati del suo curriculum li trova su wikipedia, e in google-immagini si puó vedere un´ampia collezione delle sue foto giovanili e adulte. Se internet, oggi, é il parametro per misurare il valore di una persona, lui é al passo coi tempi.
Nel suo discorso conclusivo, tuttavia, lui stesso ha ridimensionato le proprie glorie ricordando che la sua opera non é solo sua, ma di tutti coloro che l´hanno costruita assieme a lui giorno per giorno durante molti anni. Ha detto che il progetto comune era seguire le orme di Gesú e mettere in pratica, nella Chiesa e con la Chiesa, le indicazioni di riforma del Concilio Vaticano II e la scelta dei poveri. Il resto é nato giorno per giorno, dallo sforzo collegiale di rispondere agli appelli del momento. Con queste parole ha reso giustizia a tutti coloro che sono stati suoi "consiglieri" (nel senso di membri del Consiglio) e suo braccio forte, in diocesi, nelle sue attivitá indigeniste e nella solidarietá ai lavoratori rurali (Consiglio Indigenista Missionario – CIMI – e Commissione Pastorale della Terra – CPT – di cui é stato co-fondatore e piú volte presidente).
A dom Tomás io sono grato soprattutto per avermi insegnato ed educato con la sua capacitá di ascoltare, la sua calma, la luciditá e saggezza nel leggere gli eventi e interpretarli alla luce della fede. Se é vero, come lui ha detto, che deve il suo lavoro a molti, é altrettanto vero che senza la sua fermezza serena, la sua coerenza e il coraggio, nessuno sarebbe riuscito a fare ció che ha fatto. Solo aggrappati a um pastore forte come lui si poteva realizzare, in tempi di dittatura militare, una diocesi alleata dei mezzadri, dei senza terra, della riforma agraria, degli indios e di una diocesi amica come San Felix, sempre assediata dal latifondo e pedinata dalla polizia politica. Quando penso a dom Tomás mi vengono in mente le parole azzeccatissime del profeta Geremia: “Non avere paura, se no saró io stesso a farti avere paura di loro. Oggi io faccio di te una cittá fortificata, una colonna di ferro e una muraglia di bronzo contro l´intero paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i sacerdoti e i proprietari di terra. Essi ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per proteggerti – oracolo di Javé”. (Geremia 1, 18-19). Lui forse la paura ce l´aveva, ma non la dimostrava e afferrava il toro per le corna.

4 dicembre 2012

LA FINE DEL MONDO.

Un post senza novitá. Le foto rappresentano una delle piste della mia camminata terapeutica, che dovrebbe essere ciclica. Il medico dice: “Almeno mezz´ora tutti i giorni”. Girare per 30 minuti in um circuito di 600 metri é ripetitivo al massimo. Padre Luis ed io, di solito, preferiamo la strada federale per Brasilia diritta, con saliscendi, paesaggi verdi, larghi orizzonti. Facciamo 4 chilometri: assai piú di mezz´ora. Andiamo in linea quasi retta, ma é sempre un ciclo: tutti i giorni rivediamo gli stessi campi, ma ogni volta diversi: il granturco cresce, gli alberi di eucalipto vengono tagliati, eccetera. La vita é ciclica ma ha la sua linea progressiva.
Ho sentito dire a volte, nelle conferenze di sociologia e anche di pastorale, che bisogna cambiare i nostri schemi mentali perché non siamo piú in una societá agricola, ma urbana. Giusto, no? Ma qualcuno aggiunge, per esempio, che nella societá agricola si pensa la vita secondo i cicli del sole, delle stagioni, dell´anno, eccetera. E sostengono che ora non é piú cosí. Perfino l´importanza del sole é diminuita, perché le cittá sono illuminate a giorno e abbiamo tutti i fanali e le luci che vogliamo per infischiarcene della differenza tra notte e giorno. Questi ragionamenti fanno colpo sulla nostra fantasia, e sul momento li beviamo. Ma sono esagerazioni. Quando arriva dicembre io continuo ogni anno a sospirare come facevano mio padre e gli altri antepassati: “Ecco un altro anno che se ne sta andando!....” E comincio il conto alla rovescia. Sarei curioso di sapere cosa diranno quando l´umanitá avrá completamente superato i cicli della natura e la vita non sará piú una ruota che gira. Nel frattempo puó darsi che il sole diventi piú importante che mai, visto che le fonti di energia si esauriscono e dovremo contare sempre di piú sullo sfruttamento di quella solare.
Nel mio caso, i cicli sono fondamentali perché seguo una liturgia che segue non la rotazione del sole ma quella della luna, di uso assai piú antico. La liturgia é una ruota che gira. Siamo di nuovo nel Tempo di Natale, preceduto dalle quattro domeniche di avvento. Puntualmente mi trovo davanti alle letture apocalittiche e da quelle profetiche. Esse ci ammoniscono che la ruota del mondo si fermerá, non si sa quando, e mentre gira accadranno sempre terribili disgrazie: fenomeni nel sole e nella luna, terremoti, guerre, inondazioni e altre calamitá da far tremare le gambe anche ai piú coraggiosi. E saranno particolarmente spaventosi per le donne incinte, che non riusciranno a fuggire e si sentiranno in trappola. Ma i profeti e i Vangeli, al contrario di come sono stati spesso interpretati, non hanno mai avuto intenzione di spaventarci. Piuttosto che la fine del mondo, annunciano l´inizio di un nuovo mondo.
Il Vangelo di domenica scorsa, ad esempio, affermava: “Quando vedrete accadere queste cose, alzate la testa perché il giorno della vostra liberazione é vicino”. E quello della domenica precedente sosteneva che in mezzo a questi fenomeni funesti e di morte appaiono anche segnali di vita, promesse dell´inizio del Regno di Dio. Il tempo di questo mondo é mezzo inverno e mezzo primavera: “Quando vedete sbocciare le gemme degli alberi sapete che l´estate é vicina. Come mai non vedete i segni della primavera del Regno di Dio?” E il profeta Daniele annunciava: “Babilonia sará distrutta per lasciare il posto a Gerusalemme, la cittá di Dio”.
A me piace moltissimo un inno che noi cantiamo nel tempo di Avvento. Il ritornello invoca: “Oh vieni Signore, non tardare, vieni a saziare la nostra sete di pace”. Le strofe paragonano la sua venuta alle sorprese piú belle ed emozionanti che proviamo nella vita. Traduco a senso: “Oh vieni come giunge una brezza fresca per il sollievo dei poveri che non hanno ventilatore e aria condizionata. Vieni come arriva la pioggia sulla terra riarsa. Vieni come arriva la luce dopo che si é rimasti al buio. Vieni come una lettera da una persona cara di cui da molto tempo non avevamo piú notizie. Vieni come quando nasce un figlio atteso con ansia dai suoi genitori. Vieni come quando si é intrappolati da nemici o assaltanti e arriva improvvisamente uno a liberarci”. Non credo a quelli che dicono che la fede é scomparsa dalla terra. É un bisogno primordiale. Fede, speranza, amore: senza di esse, quando si arriva al dunque, la gente cade in depressione e muore prima del tempo. Le persone magari corrono dietro a fedi fasulle, al turismo religioso, a divinitá false costruite dalla midia, piuttosto che rimanere sole.
Queste metafore descrivono situazioni che noi stiamo vivendo quotidianamente: terremoti, inondazioni, uragani, siccitá. Tumori maligni e infarti. Bombe, guerre, terrorismo. Incidenti stradali e violenza comune. Ed ora l´infinita crisi economica mondiale, seguita da disoccupazione e fallimenti. Il pianto, la disperazione e la morte sono sempre in agguato, dietro l´angolo. Perció abbiamo tutti bisogno di sapere e vedere coi nostri occhi e fare noi stessi il Regno, il tempo di giustizia promesso. Coltivare la semente di giustizia che Geremia annunció e Gesú Cristo ci ha portato. E poi saziarci di vita e di pane, avere un pó di luce per rischiarare il buio del mondo, essere visitati dal portalettere che ci recapita i messaggi di Dio, e di sentire la presenza di Gesú che cammina con noi e ci libera dagli agguati della vita.