27 aprile 2009

MA LULA C'E'


Nella foto: la festa della Terza Età. La Lega Cattolica (una delle associazioni più antiche e tradizionaliste della parrocchia assieme alla Conferenza di San Vincenzo), l'ha promossa domenica scorsa. Itaberaì è ancora una città prevalentemente di giovani, ma a metterci tutti insieme noi vecchietti e vecchiette siamo stati in grado di riempire pieno zeppo l'ampio salone parrocchiale. Ho avuto occasione di fare due chiacchiere con tanti e tante a cui ho celebrato il matrimonio nei primi anni dopo il mio arrivo in Brasile, nel lontano 1967. Siamo ancora lì a due passi l'uno dall'altro, ma ci si incontra poco perchè gli impegni quotidiani ci portano a frequentare ambienti diversi. Abbiamo passato la mattina della domenica assieme, ascoltando vecchie canzoni popolari riproposte da alcuni piccoli cori locali. La nostalgia piace tanto che più volte tutti si sono commossi e sono balzati in piedi per unire le loro voci al coro. Naturalmente le preoccupazioni con la salute sono state messe al centro dell'incontro. C'era una lunga fila al tavolo dell'infermiera che misurava la pressione (non serve a niente, ma è gratis). Il medico ha tenuto una lezione lunghissima. Ha proiettato sulla parete immagini macabre. Ci ha mostrato come diventano le nostre ossa e cartilagini distrutte dall'osteoporosi e dalle artrosi, e una serie di carrozzelle e protesi disponibile sul mercato, per ogni genere di infermità. Allegria allo stato puro! E poi ha spiegato come gestire le perdite della vista, memoria e udito, evitando di sistemare le nostre cose in luoghi in cui non le troviamo più. E di inciampare in cavi elettrici e scarpe abbandonate sul pavimento di casa. Era un medico molto giovane. Secondo me si è divertito da morire. Al pranzo, che era la parte più attesa della festa, io non sono rimasto perchè la fila era troppo lunga.


Io e don Eligio abbiamo partecipato "di diritto". Tra l'altro, lui in questi giorni affronta problemi di salute un pò complicati. Nonostante tutto, era festa: l'anzianità è pur sempre vita, e possiede la sua parte di interesse e felicità, finchè si può viverla con dignità. E la dignità consiste anche nell'accettare, sia pure di malavoglia e quando arriverà, di recitare il "nunc dimittis". Proprio per questo non capisco perchè alcuni facciano tante acrobazie dottrinali e politiche per dare allo Stato il diritto di mettere il naso nelle nostre scelte personali, quando si tratta di decidere quali terapie accettare e quali rifiutare. A chi giova? A chi vuole difendere la vita non manca certo il lavoro: lottiamo affinchè tutti abbiano pane, assistenza medica, educazione e istruzione, opportunità di un lavoro dignitoso, e tutto il resto di cui c'è bisogno per una vita veramente umana. L'ambiente, per esempio. Leggiamo stamattina sul giornale locale che sta per entrare in agonia anche il nostro Araguaia, il fiume dei sogni di ogni abitante di Goiàs. Scarico delle industrie e abitazioni civili, irrigazione delle monoculture di soja, granoturco e canna da zucchero, accumulo di rifiuti sulle sue rive, stanno trasformando in una fogna a cielo aperto quello che è stato sempre il nostro simbolo di spiagge di sabbia immacolate e tuffo nella natura incontaminata.


I nostri vescovi brasiliani sono riuniti in Assemblea ad Itaici, SP. - noi sappiamo solo che stanno studiando situazioni come la formazione del clero, la catechesi e (così si dice) la posizione della Chiesa di fronte alla crisi economica. Dall'analisi non ufficiale presentata nel bollettino della CNBB, possiamo immaginare che chiederanno ai politici, nella lotta per superare la crisi, di non pensare solo a una ripresa ma a cambiamenti sostanziali che favoriscano il risparmio a beneficio dell'ambiente e l'equa distribuzione della ricchezza prodotta. "Si prospetta dunque un modo di produzione e consumo nel quale il mercato non sia l'unica istituzione che regola la produzione e la distribuzione dei beni, ma si sommi ad altre istituzioni come l'economia solidale, la cooperativa e la pianificazione statale, e in cui sia rispettato il principio della sussidiarietà: l'istanza superiore non si appropri di ciò che l'istanza inferiore è capace di fare" (Pedro de Oliveira).

Oggi però, come tema principale, vorrei passarvi stralci di un'intervista a Luis Inàcio da Silva detto Lula, presidente del Brasile. L'argomento è la futura campagna elettorale per la sua successione. Lula ha già scelto Dilma Roussef, e il giornalista lo interroga su questo. Ma il Presidente, nel rispondere, apre il discorso su un orizzonte assai più ampio, facendo una analisi assai interessante della politica e delle politiche latino-americane e mondiali. L'intervista è di Ricardo Carpena, ed è pubblicata integralmente in spagnolo e portoghese sul sito www.adital.com.br

- Tu hai detto che ti piacerebbe che il tuo successore fosse il capo del Gabinetto civile, Dilma Roussef. Senza dubbio, lei sta salendo nell'accettazione popolare, però è ancora indietro rispetto a Josè Serra, del Partito Social Democratico Brasiliano (PSDB). Continui ad avere una fede cieca in Dilma?

-- Io non ho fede, ma piuttosto sicurezza e lavoro politico. So che Dilma può essere la futura presidente del Brasile. Per questo abbiamo un lavoro da fare. Per prima cosa, il governo deve governare. Fino al 31 dicembre 2010 continuerò a lavorare come se fosse il primo giorno del mio governo. In secondo luogo, bisogna costruire la coalizione, chi starà insieme a noi, e a questo scopo abbiamo un anno, un anno e poco più. In seguito dobbiamo sapere se il PT (Partito dei Lavoratori) vuole che sia lei la candidata. E poi bisogna ancora domandarlo al popolo. Una volta compiuto tutto il rituale, lei potrà essere candidata. Non mi preoccupano i sondaggi. Serra è già stato candidato a presidente, a governatore di S.Paolo. Però una cosa posso dire: sarà un privilegio per questo paese se si faranno le elezioni tra Dilma e Serra. Se i candidati saranno Dilma, Serra e Ciro Gomes, del Partito Socialista Brasiliano, sarà ugualmente un lusso. La stessa cosa anche se ci sarà Aècio Neves. E questo perchè non vedo nessuno di destra lì. Vedo compagni di sinistra, di centrosinistra, progressisti. Questo è un avanzamento straordinario per il Brasile.

- Che cosa accade dentro a un dirigente di sinistra che oggi è un esempio di pragmatismo? Quali cambiamenti si sono prodotti nella sua interiorità?

-- Non sono mai stato marxista. Mai. Di questa malattia non ho sofferto! La mia origine è stata il movimento sindacale, nelle comunità di base e nel movimento sociale. Mi sono sempre considerato un socialista, però il PT non ha mai definito un tipo di socialismo, perchè ciò era impossibile. C'era l'esempio dell'Unione Sovietica: era questo il modello di socialismo che uno voleva? No, io non lo volevo perchè non concepisco un socialismo senza libertà democratica, senza diritto di sciopero, senza alternanza nel potere. Questa è la mia ideologia. C'è stato un momento, negli anni 70, in cui la sinistra brasiliana mi diceva che io ero di destra. E la destra diceva che io ero di sinistra. Questa posizione era importante perchè prendeva in considerazione che mi trovavo nella strada giusta. La realtà è che il lavoro che abbiamo fatto nel movimento sindacale mi ha permesso di riunire un gruppo molto grande di brasiliani che, negli anni settanta, partecipavano alla lotta armata, un grande numero di intellettuali, i migliori che avevamo in Brasile; un grande numero di sindacalisti, con un sostegno molto forte dei movimenti sociali e delle comunità. Non ho mai sofferto un trauma per aver cambiato atteggiamento per aver guardato la politica con grande pragmatismo. In politica si fa quello che si può fare. Nel discorso possiamo dire ciò che vogliamo, ma al momento di eseguire, il limite è il possibile. Io sono stato eletto con un programma molto chiaro, ho preso un impegno col popolo brasiliano e per questo mi hanno eletto presidente della Repubblica. Io sto mettendo in pratica. Ho i miei dubbi che ci sia in altri posti nel mondo una relazione tra il presidente e i movimenti sociali come quella che esiste in Brasile. Io parlo coi dirigenti sindacali, con quelli che vivono in strada, con i travestiti, con gli omosessuali e tutto senza pregiudizi. Per questo posso dire che, in fondo, non sono cambiato. Sono cresciuto e ho preso delle responsabilità. Quando siamo opposizione, diciamo ciò che crediamo e pensiamo che debba essere fatto; però, quando siamo governo, non crediamo e non pensiamo niente: facciamo. Io sono stato eletto per fare.

- Esistono persone che dicono che tu e Michelle Bachelet siete parte di una sinistra razionale, e che Chávez e Evo Morales sono più populisti. E' proprio così? In ogni caso, come situeresti la Kirchner in questo quadro?

- Non la vedo in questo modo. La cosa non è così semplicistica. Evo Morales é quello che è per effetto della sua cultura politica, delle persone che egli rappresenta. Chávez, pure lui, è quello che è per la sua cultura politica. E Kirchner lo stesso. Qualsiasi persona può avere le sue riserve su Kirchner; ma la verità è che dopo molti anni, l'Argentina è tornata ad essere un paese, è tornata a crescere, a generare posti di lavoro e ad essere più rispettata. Può piacerci oppure no; però il dato concreto è questo. Kirchner è stato l'inizio di una nuova era per l'Argentina, che ha la sua continuità con Cristina. Il mio orgoglio è che, quando lascierò il governo, avremo un paradigma diverso di governabilità in questo paese. E questo è valido anche per Chavez. Quando sentiamo la gente criticare Chavez, dovremmo domandare loro com'era il Venezuela prima del suo governo. Se la gente viveva meglio, allora, senza dubbio, lui sarebbe il "bandito" della storia; ma questo non è vero. Chavez ha migliorato moltissimo la vita dei poveri, ed esercita la democrazia.... Personalmente, io non sopporterei tante elezioni come lui. Un referendum oggi, un referendum domani? Io non resisterei. Se impariamo a rispettare la sovranità di ciascun paese, le sue abitudini culturali e politiche, la storia, soffriremo meno, avremo meno nemici. Quando Evo Morales cominciò a litigare col Brasile, i settori più conservatori volevano che io lo minacciassi. L'ho sempre trattato come si tratta un compagno. Sapevo che il gas era suo e sapevo che un giorno la situazione sarebbe stata capita, che lui stesso avrebbe capito che c'erano cose distinte da fare. Questo è ciò che sta accadendo: lui è molto più maturo. E' riuscito ad organizzare la sua squadra. Perchè per essere governo dobbiamo montare una squadra. Obama non può eleggere il secondo uomo della sua equipe economica perchè deve passare attraverso il Partito Repubblicano. Per quanto siamo intelligenti, per quanto importante possa essere il paese, esiste un tempo per maturare. Spero che l'America Latina non torni mai più indietro.

21 aprile 2009

I NOSTRI AVI, COM'ERAN BRAVI


Oggi è festa civile. Mentre in Italia vi preparate a celebrare la Resistenza, il Brasile celebra Tirandentes, martire dell'indipendenza brasiliana. Lo vedete in un dipinto di Pedro Amèrico del 1793, tagliato a pezzi. Gli uffici pubblici e le scuole, in genere, hanno già chiuso da sabato scorso, perchè siamo quasi tutti d'accordo che la vita non è fatta solo per lavorare. Ma è anche un giorno triste, perchè domenica mattina scorsa è accaduto un altro grave delitto conseguenza di un misto di droga e alcool. Divino, un giovanotto che abbiamo conosciuto come ottimo ragazzo fino a un anno fa, ha ucciso il suo patrigno a coltellate, in casa, in seguito a una lite per futili motivi dopo una notte di baldoria. La vittima, un brav'uomo; il figliastro un buon ragazzo. Una famiglia di poveri e onesti. Come può scoppiare d'improvviso una simile violenza? La droga e l'alcool stanno rovinando i giovani. La società contemporanea è sbandata. I punti di riferimento tradizionali non tengono più, e la gente non ne ha ancora trovati altri più solidi. Alcuni immaginano che si debba tornare indietro, a epoche in cui presumono esistessero moralità, giustizia, pace, amore vero e solidarietà. Ma è impossibile. Inoltre, il passato non era tutto ciò che i nostalgici (o gli spaventati) sognano.

Come dimostra il caso di Tiradentes, eroe nazionale brasiliano che oggi commemoriamo. Vi riassumo la storia: servirà specialmente per chi è curioso di conoscere un pò meglio il passato del Brasile. Userò, come pro-memoria, la trafila pubblicata sul sito di Wikipedia. Tiradentes si chiamava Joaquim Josè da Silva Xavier, soprannominato Tiradentes per uno dei tanti mestieri che ha professato nella vita: quello di dentista, che a quei tempi consisteva nello strappare denti. Battezzato il 12 novembre 1746 (nel periodo coloniale il registro religioso sostituiva quello civile), quarto di sette figli, in un villaggio nei pressi di Sao Joao del Rei, Stato di Minas Gerais. Rimase orfano di madre a nove anni, e di padre a undici anni. Fu dentista, conduttore di carovane di muli, minatore, commerciante e militare. Suo padre era proprietario rurale, ma dopo la morte i figli perdettero tutto per pagare i debiti. Non fece studi regolari e rimase sotto la tutela di un padrino che era, secondo gli usi dell'epoca, "dentista chirurgo". In seguito diventò socio di una bottega di assistenza ai poveri e si diede anche alle pratiche farmaceutiche e alla professione di venditore di agli. Come commerciante se la cavò piuttosto male. Nel 1780 (a 34 anni) cominciò a lavorare per il governo come militare e dopo un anno divenne comandante di un distaccamento che controllava la strada su cui passavano le carovane per trasportare l'oro di Minas Gerais al porto di Rio de Janeiro, con destino a Lisbona.

Fu da questo periodo in poi che si avvicinò ai gruppi che criticavano lo sfruttamento del Brasile da parte della madrepatria portoghese, che diventava evidente confrontando la povertà della gente in Minas Gerais con la quantità di oro che andava verso il Portogallo. A questo si aggiungeva l'insoddisfazione di non poter fare carriera per mancanza di studi e per livello sociale. Infatti il massimo grado che raggiunse fu quello di Alfiere, che a quei tempi era il grado iniziale degli ufficiali. Nel 1787 si dimise dalla cavalleria. Abitò poi, per un anno circa, a Rio de Janeiro, dove ideò alcuni progetti civili importanti come il trenino per il Pao de Açucar e la canalizzazione di due fiumi per il rifornimento dell'acqua alla città. Tuttavia non ottenne il permesso per realizzare queste opere. Anche questo disprezzo del governo di Lisbona verso il suo lavoro aumentò, in lui, il desiderio di liberazione della colonia. Tornato in Minas Gerais, cominciò a predicare l'indipendenza della provincia di Minas e organizzò un movimento sostenuto anche da membri del clero e dell'elite sociale della regione.

Per capire quello che seguì, occorre ricordare che in quel periodo l'elite brasiliana era di due tipi: rurale, costituita da grandi proprietari terrieri che praticavano la monocoltura a favore del mercato europeo, utilizzando mano d'opera schiava. Questi erano una specie di feudatari medievali adattati alle esigenze locali. L'altra, diffusa soprattutto in Minas Gerais, Goiàs e Mato Grosso, si dedicava alle miniere di oro e argento, utilizzando anche per questo essi mano d'opera schiava. Dopo il 1750 la produzione delle miniere cominciò a decrescere, ma non decresceva la tassa che il governo di Lisbona imponeva alle provincie minerarie: la Quinta, che stabiliva per tutti e per sempre il pagamento di 100 "arrobas" di oro all'anno (una arroba è 15 chili). Rimaneva sempre meno oro sul posto e la prosperità delle principali città minerarie andava in declino, lasciando dietro di sè il malcontento. In coincidenza con questo, nell'Università di Coimbra (in Portogallo) il Primo Ministro del Regno, Marchese di Pombal, aveva imposto un aggiornamento degli studi secondo le idee liberali dell'Enciclopedia Francese. I figli delle famiglie brasiliane più ricche, che andavano là a studiare, tornavano a casa con idee rivoluzionarie repubblicane e con simpatie massoniche. Si preparava una rivoluzione dei poveri guidata dai ricchi. Poteva funzionare?

Nel 1789, anno della Rivoluzione Francese, iniziò il movimento insurrezionale chiamato "Inconfidencia mineira", che al grido di "Viva la Repubblica" guadagnò in poco tempo l'adesione popolare. Il loro piano era dichiarare l'indipendenza della provincia e fondare una repubblica con capitale a Sao Joao del Rei, dove intendevano fondare una Università. Ben presto, però, la cospirazione fu sventata: il 15 marzo un gruppo di personaggi di alto rango che facevano parte del complotto, denunciò i compagni in cambio del perdono dei loro debiti minerari con il Ministero delle Finanze Reali. In seguito alla denuncia, i rappresentanti della corona portoghese ridussero le esigenze di riscossione di tasse arretrate per svuotare il malcontento della sommossa, e avviarono una investigazione. Uno alla volta i cospiratori rimasti furono arrestati. Anche Tiradentes, che era fuggito a Rio di Janeiro e si era nascosto in casa di amici, fu scoperto e incarcerato.

Il processo durò tre anni, alla fine dei quali solo per Tiradentes (probabilmente perchè era il più povero) fu sentenziata la condanna a morte. Secondo le cronache fu in parte anche lui graziato, perchè la sentenza imponeva una "morte crudele" secondo le leggi del Regno, e invece fu solamente impiccato. Gli altri furono condannati per "delitto di lesa maestà" definito come tradimento del re, un delitto che la "legge alfonsina" paragonava alla lebbra. "Lesa maestà significa tradimento commesso contro la persona del re, o del suo Reale Stato, che è tanto grave e abominevole, e che gli antichi Sapienti tanto esecrarono, che lo paragonavano alla lebbra. Perchè come questa infermità riempie tutto il corpo, senza che mai si possa curare, e impedisce i discendenti di chi ne è affetto e chi parla con lui, cosa per cui (il malato) è separato dalla comunicazione della gente: così l'errore di tradimento condanna chi lo commette, e impedisce e infama i suoi discendenti, anche se non hanno colpa.”

E così, in un mattino del sabato 21 aprile 1792, Tiradentes percorse in processione le strade del centro di Rio de Janeiro, nel tratto tra la prigione pubblica e il luogo in cui era stato montato il patibolo. Il governo generale si industriò per trasformare quell'esecuzione in una dimostrazione di forza della corona portoghese, preparandola come un grandioso spettacolo. La lettura della sentenza si estese per diciotto ore, dopo le quali ci furono discorsi di acclamazione alla regina e un corteo munito di una grande "fanfarra" composta da tutta la truppa locale. Uno storico, Boris Fausto, sostiene che questa è una delle possibili cause della preservazione della memoria di Tiradentes, argomentando che tutto quello spettacolo finì per risvegliare l'ira della popolazione presente all'evento. Esecutato e squartato, con il suo sangue fu redatto il certificato di compimento della sentenza, e la dichiarazione di infamia per la sua memoria e quella dei suoi discendenti. La sua testa fu esposta su un palo a Vila Rica, e di lì, presto, scomparve. Gli altri resti mortali furono distribuiti lungo la strada da Minas a Rio, dove aveva tenuto discorsi rivoluzionari. La sua casa fu rasa al suolo, e il terreno cosparso di sale affinchè niente più vi germogliasse.

Ora che ho finito, speriamo di non vedere mai il ritorno di cortei in cui si squartano le persone e si infila la loro testa sui pali, e vado alla festa del Reforço Escolar a cui Padre Maurizio ci ha invitati.

18 aprile 2009

PIETRA ANGOLARE


In Italia avete una bella primavera, come dimostra questa fotografia scattata ai Bertocchi, in comune di Montese. Ma che settimana di passione, con il terremoto in Abruzzo! E che pasquetta con quello che è accaduto in seguito! La natura, ogni tanto, gioca scherzi terribili. Ho letto da qualche parte che quando si abita in zone sismiche, accanto al letto bisogna avere una borsetta sempre pronta con la torcia elettrica, le chiavi della porta di casa e della macchina, il cellulare ed altre cose utili per una fuga improvvisa di notte. Non ci avevo mai pensato. Noi abbiamo fatto l'unica cosa che potevamo fare per i terremotati: li abbiamo ricordati nelle preghiere. Abbiamo avuto problemi anche in Brasile. Disastri ambientali con le inondazioni di alcune zone, ma parecchio lontano da qui. In diocesi di Goiàs tutto tranquillo, con le consuete messe ogni sera nelle comunità, visite ad ammalati e a persone bisognose di aiuto, e qualche incontro di formazione. Le settimane prossime (dal 22 aprile al primo maggio) si svolgerà la 47a Assemblea Generale dei 270 vescovi della Conferenza Nazionale dei vescovi brasiliani, ad Itaici. Il tema principale, quest'anno, sarà la "formazione del clero". Non so se arriveranno novità. L'argomento mi fa pensare che l'attenzione sarà rivolta più a"dentro" che "fuori", verso la crisi e tutti i problemi che assillano la società brasiliana. Di fatto, anche questo è necessario.

Qui non ci troviamo in un mondo secolarizzato come in Europa, anzi....di religioni e religiosità ce n'è d'avanzo. Secondo un buon teologo-analista che è Padre J. B. Libanio, l'epoca attuale è sui generis: la secolarizzazione procede di pari passo con l'espansione della religiosità. Un fenomeno nuovo. La ricerca di religione e spiritualità è in aumento, le nuove chiese guadagnano adepti e si moltiplicano, e pure i centri di spiritismo nelle loro diverse forme. Si espandono le religioni asiatiche e quella nuova religione molto vaga che è nata in America ed è chiamata "Nuova Era". Nel cattolicesimo prende sempre più piede il Rinnovamento Carismatico, che rivendica una assoluta ortodossia nella dottrina e nella disciplina ecclesiastica e si presenta con le credenziali di movimento conservatore, tuttavia investe ogni sua energia nell'offrire appagamento emozionale e autorealizzazione individuale. Lo fa in nome e con la forza dello Spirito Santo, ma lo stile è prettamente in linea con la mentalità post-moderna dell'enfatizzare la soggettività e l'autosoddisfazione. Libanio invita a dare un'occhiata alle nostro strade di periferia che sono disseminate di chiese e incontri di preghiera, e commenta: assomiglia alla diffusione dei supermercati. Ognuno sceglie secondo l'impulso del momento, entra, prende quello che gli serve, e se ne va senza nessun impegno di tornarci. D'altra parte, l'economia liberista e la politica che la sostiene guadagnano sempre più il campo procedendo senza nessun Dio, e provocando tutti i problemi che sappiamo. Religioni e sistema non si danno fastidio.

Ma noi siamo molto esigenti. Vogliamo vivere e diffondere un cristianesimo ben piantato sulle radici profonde del Vangelo e di Gesù Cristo. Siamo fermamente decisi ad essere discepoli del Gesù storico, morto in croce e risorto. Ma non in una Chiesa arroccata in sè stessa, nel clericalismo e contro il mondo: bensì aperta ad alcuni valori cristiani ben visibili anche nella società post-moderna. Inoltre vogliamo il dialogo con le altre chiese e religioni, la cittadinanza nei paesi democratici, la partecipazione responsabile a tutte le lotte di liberazione da ogni oppressione e per un mondo più giusto, fraterno e umano. Sono compiti difficili. In mezzo a questo marasma religioso e in questa economia che sembra saper superare le crisi solo accelerando i consumi e correndo ancora più in fretta verso l'abisso, bisogna che il clero si prepari molto bene spiritualmente e intellettualmente per aiutare i laici ad aprire gli occhi e ad esercitare bene il loro ministero specifico, di cui (spesso senza saperlo) si sono fatti carico con il battesimo. D'altra parte io sono invecchiato e non tengo più dietro a tutti questi piani di pastorale. Troppe cose. Il mio compito sarà sempre di più visitare ammalati e anziani, che a volte sono anche un fortificante per la fede. Come la signora Alcides, che ora è immobilizzata in un letto per l'età e l'ictus che ha sofferto, e la vedo piangere di gioia per la comunione. Mi dice, coi lacrimoni: "Padre, che bel regalo mi ha portato!"

Dicevo che la società brasiliana è ancora molto religiosa, ed è vero: ma c'è anche molto ateismo pratico. Esso non significa sempre assenza o rifiuto della fede. Spesso è indifferenza e antipatia verso un cristianesimo pieno di precetti e osservanze e che vanta una pretesa spiritualità, ma volta le spalle alla vita reale e si nega ad assumere le proprie responsabilità civili e sociali. E dire che noi avremmo il fermento giusto per aiutare l'umanità a superare le sue molte crisi. Il filosofo nihilista Nietzsche scriveva quasi due secoli fa: "I cristiani non hanno l'apparenza di redenti". Abbiamo un bello da prendercela con gli atei, ma spesso l'ateismo comincia dalla scoperta che i cristiani e le loro chiese non credono che il progetto di Dio, di redimere il mondo, riguardi questa realtà in cui viviamo. Molti accettano, anzi si adattano e partecipano all'ingiustizia. Mettono il mondo come perduto, e rivolgono le loro speranze altrove o al di là.... E gli atei rispondono pressapoco come un famoso personaggio di Dostoiewsky: se il prezzo del biglietto per la vita eterna è rassegnarsi all'oppressione e all'ingiustizia, grazie tante, ne facciamo a meno. Che dire poi dell'ipocrisia? Secondo il rapporto del governo italiano che così spesso posa da difensore della morale cristiana, le transazioni bancarie per la vendita di armi sono aumentate da 1,3 miliardi nel 2007 a 4,5 nel 2008. I paesi ricchi combattono la crisi facendo e vendendo più armi, e nessuno ha gridato allo scandalo. Trafficanti di armi che si vestono da chierichetti non sono, automaticamente, missionari dell'ateismo?

In questi giorni ho letto un bel libro dello spagnolo Andrés T. Queiroga: "Recuperar a salvaçao", nella traduzione portoghese. Scrive che Cristo è stato martire della cattiveria umana. "Gesù morì perchè l'essere umano è cattivo e non sopporta la difesa del povero, nè lo smascheramento dell'ipocrisia, nè la denuncia dell'ingiustizia, nè la rottura delle convenzioni e privilegi sociali o religiosi. Gesù morì perchè era buono e non venne a patti nè si stancò, ma si mise, definitivamente, dalla parte degli oppressi, senza tirarsi indietro di fronte alle conseguenze"; "perchè fu fedele alla sua missione, donandosi senza riserve, senza tenere nulla per sè, nemmeno la cosa di maggior valore: la sua stessa vita, la sua illusione di vedere il coronamento della sua opera". La sua risurrezione, opera del Padre, è la dimostrazione che così si costruisce l'uomo nuovo, la "nuova creatura" che condivide la ricchezza e il sapere e costruisce una società di fratelli. Lui è la pietra angolare e il cammino in mezzo al marasma di una religiosità diffusa che, spesso, "non si sa se abbiamo un carnevale religioso o una religione carnevalesca... Come scriveva San Paolo: "Ho deciso di non sapere nulla tra voi, altro che Gesù Cristo, e questo crocefisso" (1 corinti, 2, 2)". (Da J.B. Libanio, Tendencias religiosas do mundo contemporaneo, Vida Pastoral n. 266, Paulus). Per questo non ci saremo mai preparati abbastanza.

--- PS: chi desidera vedere alcune foto recenti dell'asilo San Francisco apra il vecchio blog www.bartimeo.nafoto.net

12 aprile 2009

PASQUA, CRISI E VENERDI' SANTO


Abbiamo avuto il piacere pasquale della presenza, tra noi, di Dom Tomás Balduíno, che è stato "nostro" vescovo (nella diocesi di Goiàs). E' venuto a celebrare con noi, e col nostro attuale vescovo (Dom Eugenio Rixen), la messa degli olii. Dopo le sue dimissioni per limiti di età (nel 1999), si è ritirato nel convento dei domenicani di Goiania. Frate domenicano, prima ancora di essere eletto vescovo resse per alcuni anni la Prelatura Apostolica di Sao Felix do Araguaia. Arrivò a Goiàs nel dicembre 1967, e lì ricevette l'ordinazione episcopale. Con lui, Goiàs fu una delle prime diocesi a promuovere la "scelta preferenziale dei poveri", le comunità di base e la pastorale della terra. Inoltre si distinse nel continuare il contatto costante con diverse popolazioni indigene e con la Diocesi di S. Felix, una diocesi di frontiera che prendeva le difese di indios e posseiros contro il latifondo che li voleva cacciare dalla loro terra. Ora ha 86 anni, ed è ancora in piena forma. E' membro permanente della Commissione Pastorale della Terra (CPT) di cui è uno dei fondatori.

In questi giorni Dom Tomàs era di ritorno dall'Italia. Aveva partecipato, a Milano, al lancio dell'Agenda Latino-Americana, e in Vaticano alla celebrazione in memoria del martire Oscar Romero, vescovo assassinato nel 1980 a El Salvador. Cosa c'entra Dom Tomàs con la Pasqua? Il giornalista Isaildo Santos, nel giornale Diario da manha, ha pubblicato un articolo che ricorda gli ideali per cui lotta Dom Tomàs. Sono ideali pasquali, perchè la Pasqua è, fin dalle sue origini, una festa di liberazione: dalla schiavitù dell'Egitto per gli antichi ebrei, dal peccato per i credenti, dall'egoismo che è la molla del capitalismo come insegna tutta la predicazione e testimonianza di Gesù. Ecco alcune frasi di dom Tomàs citate dal giornalista: “Dopo tanto tempo di lotta, i paesi dell'America Latina si stanno liberando. E' una bellezza vedere indios, negri, donne e lavoratori farci carico, con orgoglio, delle loro identità. Diventare agenti delle proprie storie".

“Dom Oscar fu ucciso perchè difendeva i contadini. Questo processo di liberazione è arrivato a paesi come il Venezuela, Bolívia, Equador, Paraguai e El Salvador. Le popolazioni emarginate, come le comunità indigene, erano ignorate. Era come se non esistessero. Ciò che sta accadendo in Paraguay è impressionante. I Guarani, che erano padroni di tutti, sono stati messi da parte. Era come se la loro esistenza non fosse riconosciuta. E ora si stanno presentando, cercando i loro diritti storici". Dom Tomàs ricorda poi (scrive ancora il giornalista) che la Chiesa ha piantato una semente che dà i suoi frutti nei movimenti sociali solidi del continente. “Ne abbiamo una piccola responsabilità. In verità il popolo stesso, nelle sue basi, era già pronto. Negli anni 70 e 80, la "scelta dei poveri" fu il fermento di un progetto rivoluzionario. La Chiesa seminò nel campo fertile del cuore del popolo. Noi abbiamo mostrato il cammino.”

"L'entusiasmo del vescovo verso i contadini tradizionali, che fanno agricoltura di susstistenza, sembra fuori luogo nell'ambiente di Goiàs dominato da grandi imprese rurali che producono a prezzi bassi, sostenute dall'economia in scala - scrive Isaildo Santos - ma lui ha argomenti pronti: “Non sono contrario alle imprese rurali. Sono contro il latifondo improduttivo, che è disonesto. Perchè la terra non compie la sua funzione sociale. E sono contro la monocoltura che devasta la natura. Dobbiamo salvare il nostro pianeta. Dicono che l'alcool è un combustibile pulito. Esso è pulito solo dal tubo di scappamento in fuori. Servirà a migliorare l'aria dei paesi ricchi a costo del sacrificio delle sorgenti che alimentano i grandi bacini del Rio delle Amazzoni e del Rio da Plata. Perfino lavoro schiavo è stato scoperto nelle aree di produzione di alcool.”

La Pasqua nella quale tutti ci facciamo auguri di pace e serenità, dunque, è quella di Gesù che è morto è risorto. Come canta l'antifona liturgica: "Cristo è risorto, e ha illuminato il suo popolo", ma è pur sempre una luce conquistata con la lotta. Una lotta disarmata, di chi muore piuttosto che uccidere, perchè sa che la ragione vincerà. Non sarà con la ripresa dei consumi e la fiducia nella competizione e nell'egoismo che vedremo questa luce, ma con la conversione alla condivisione: come spiega Dom Demetrio Valentini, attuale vescovo di Jales (Stato di San Paolo), in un articolo pubblicato sul Adital dal titolo "La pasqua e la crisi", di cui vi passo alcuni paragrafi.

"A prima vista sembra che la Pasqua non abbia niente a che vedere con la crisi. In realtà essa è sorta dalla più antica e più naturale delle crisi, la crisi del ciclo annuale della vita sul nostro pianeta. Fa parte della dinamica della vita la lotta per la sussistenza. Il momento più preoccupante è quando la vita perde la sua forza e minaccia di estinguersi. E' allora il suo più grande prodigio. Da dentro alla morte, le forze vitali si rimettono insieme, e tutto l'universo sembra cospirare a favore della vita che riprende vigore ed esuberanza nella manifestazione della primavera. Fu per celebrare questo trionfo naturale della vita sulle forze della morte che sorse la pasqua primitiva. Prima che se ne appropriasse il popolo d'Israele come festa storica della propria liberazione dall'Egitto, la pasqua era già celebrata dai popoli che sperimentavano il contrasto tra i rigori dell'inverno e gli incanti della primavera.

I processi naturali servono di parabola e ispirazione per la storia umana. In un primo momento, la vittoria di alcuni sembra richiedere necessariamente la sconfitta di altri. La stessa narrazione (biblica) della liberazione di Israele implica la descrizione euforica della morte a mucchi degli egiziani. E' stata necessaria la testimonianza di Cristo, costituita in Pasqua nuova e definitiva, per farci capire che il segreto della vita umana sta nel donarla. Dando la sua vita per amore, Cristo vince la morte, con la vittoria della sua risurrezione. Questa simbologia della fede non ci esime dall'affrontare la sfida di capire la gravità della crisi attuale. Essa non si inquadra nel ritmo normale dei cicli della vita. E' fuori serie. Non prende in considerazione una pasqua. Mette in mostra, invece, deviazioni più gravi commesse dalla civiltà attuale, che minacciano la vita stessa del pianeta. La crisi ecologica si pone come l'avvertimento più eloquente, capace ancora di sensibilizzare le coscienze.

Quando avvisarono Gesù che il suo amico Lazzaro era malato, egli non lo visitò subito. Aspettò che morisse, per poi risuscitarlo. "Questa malattia è affinchè si manifestino i disegni di Dio". Anche adesso, è inutile avere fretta davanti a questa crisi, che chiede molto di più che cambiamenti superficiali. Prima è necessario lasciar morire molte illusioni, prodotte da un modello di civiltà contrassegnato dalla depredazione della natura, dall'accumulazione, dallo spreco, e dalla disuguaglianza che produce miseria e violenza. Questa crisi ci deve insegnare strade di rispetto per la natura, di giustizia nell'organizzazione sociale, e di fraternità nelle relazioni umane. Questa volta la Pasqua ci rimanda al venerdì santo. Prima di terminare la crisi, ci sono ancora molti equivoci da esorcizzare.

6 aprile 2009

PASQUA: C'E' ANCORA SPERANZA?

Li abbiamo tutto intorno nelle vicinanze, nella nostra città, qualche volta anche in casa nostra: i poveri cristi di oggi, in Brasile, in Italia e in ogni parte del mondo. Derisi, umiliati, coronati di spine, fatti bersaglio di sputi e percosse come Gesù Cristo. Durante questa settimana noi cattolici, mentre celebriamo l'Eucaristia e l'adorazione della croce, perchè non pensiamo un pò a loro? Anzi, questi sono i cristi che tutti possono riconoscere: anche chi ha altra chiesa, altro culto o nessun culto. Ognuno faccia la lista che gli pare: saranno i migranti, gli anziani lasciati soli, l'infanzia violata, gli africani, gli zingari, i carcerati, i barboni, gli emarginati delle periferie, i malati gravi, chiunque altro. Se ce ne sono ancora tanti anche nei paesi cristiani, vuol dire che il cristianesimo è ancora ai primi passi. Siamo dei "pre-cristiani". I nostri artisti hanno fatto della croce il simbolo più forte, e noi amiamo adorarla perchè ci tocca il cuore, ma siamo ben lontani dall'aver costruito un mondo in cui Cristo non sia più crocefisso.

Chiediamoci, ogni tanto: "Perchè mai Gesù Cristo si sarebbe sottoposto a una fine così dolorosa, vergognosa e sanguinosa, se non per indurci a guardarlo nei nostri simili sottoposti alle stesse condizioni?" Gli spiritualisti affermano che l'ha fatto per pagare col suo sangue, a Dio Padre offeso, il peccato degli uomini e donne: un "atto dovuto", in poche parole. Pagare col sangue e con il dolore: se non lo accettassimo solo come una metafora, sarebbe un discorso da macellai, o dei tempi remoti in cui la gente immolava agli dèi i neonati e le fanciulle vergini. I Vangeli attestano che Cristo non amava il dolore e la morte, e che fu vittima di una sentenza dei sacerdoti del Tempio eseguita dal potere civile di Pilato. Condannato per evitare che il popolo, illuminato dalle sue parole, lo seguisse nella sua utopia, come sostengono i Vangeli. Non faremo un vero culto alla croce e al Crocefisso, se non ci impegneremo per realizzare la sua utopia: "dare la vista ai ciechi, far camminare gli storpi, sciogliere i prigionieri dalle catene e liberare gli oppressi". Gesù non è morto per una futile sete di vendetta di un Dio arrabbiato, ma per la dignità e felicità della creatura-uomo.

Siamo ben lontani dal traguardo. C'è ancora speranza? Secondo molti osservatori di questa parte del pianeta, il G20 sta studiando il modo di far cadere ancora una volta gli effetti della crisi sui paesi del "terzo mondo". E di prendere qualche misura palliativa per i disastri ambientali: una specie di intonacatura con una mano di vernice. Una nuova facciata, senza cambiare nulla dentro casa. Ho letto che nel 2007 il Pil mondiale sarebbe stato di 55 trilioni di dollari, ma gli acquisti e vendite hanno raggiunto complessivamente una cifra dieci volte superiore. Significherebbe che il denaro che sta girando per il mondo,per il 90% è carta senza valore. Il buco è enorme. Non so se sia vero, perchè non ci capisco nulla: ma spero che non lo sia.

Se si pensa che studiosi dei problemi ambientali hanno dichiarato che l'anno 2008 è stato L'ANNO DEL SORPASSO DEL PIANETA (L. Boff): infatti l'umanità ha consumato il 140% per cento delle risorse rinnovabili della terra. Tra parentesi: noi diciamo "l'umanità", ma di questo volume di consumi è responsabile solo il 20% degli abitanti del globo, che consuma l'82% delle risorse. Il restante 80% di esseri umani consuma appena il 18% del totale. Il modello, però, è lo stesso anche per loro. L' 80% che consuma poco o niente si ritiene infelice perchè non può consumare tanto come gli altri. Quasi tutti pensano che la felicità sia consumare il massimo possibile. La terra non ce la fa più e il sud del mondo è in via di devastazione completa! In questi ultimi anni l'estrazione mineraria, nei nostri paesi, è aumentata spaventosamente: già molte associazioni di difesa ambientale sono in stato d'allarme. Apparentemente abbiamo imboccato una strada senza ritorno.

La parola economia viene da OIKOS, parola greca che indica LA CASA. Il pianeta terra è la nostra casa. La nostra casa che non ci sopporta più, e che è piena di crepe. Noi stessi, l'umanità, non ci sopportiamo più gli uni con gli altri. Surriscaldamento dell'atmosfera, scioglimento dei ghiacci polari (in questi giorni si è staccato un Iceberg, dicono, delle dimensioni dell'isola di Giamaica), crisi finanziaria ed economica, crisi sociale, crisi politica, crisi etica, di spiritualità e di umanità, sono altrettante bombe che stanno esplodendo una dopo l'altra. Siamo noi stessi a provocare tutto questo. Quando il nostro sistema produttivo è capace di funzionare solo aumentando il ritmo dei consumi, non si può davvero fare a meno di aspettarci giorni tristi: anarchia, violenza, tremendi conflitti sociali e guerre devastanti. Bisognerebbe accontentarsi, almeno, di un livello di consumi più modesto, senza sprechi. Cominciamo dalle tasse ai milionari e dall'usare meno borsine di plastica.

Che fare? La diagnosi è molto dura, anzi spietata: speriamo che sia anche esagerata! Ma è solo questione di tempo. Coi diagnostici spesso è così, solo questione di tempo. La previsione del terremoto in abruzzo, fino a ieri, era esagerata e priva di fondamento, tanto da indurre le autorità a processare chi l'aveva fatta. Poi, purtroppo, si è dimostrata più esatta di quanto non si aspettassero gli scienziati con laurea. Se non cambiamo sistema prima o poi finiremo in un mare di guai! Mi piace l'ottimismo, ma non nelle analisi, bensì nell'impegno per prevenire. Per noi che crediamo in Dio e in Gesù Cristo sarebbe assurdo perdere la speranza in Lui e nelle risorse spirituali e morali dell'umanità. E penso che lo sia anche per i non credenti, perchè tutti abbiamo nel fondo del cuore questa riserva di fiducia e speranza. Non c'è bisogno assoluto di avere un Dio all'orizzonte: Dio è dentro di noi. Diceva il profeta: "Imprimerò la mia legge nelle sue viscere e la scriverò nel suo cuore" (Geremia, 31, 33). Ce la possiamo fare: basta che ci mettiamo insieme, restiamo uniti e tiriamo fuori il meglio di noi stessi. Ognuno deve fare la sua parte. Del resto il Cristo, lo seguiamo durante questa settimana con la mente, lungo il calvario e fino alla croce, poi fino alla risurrezione. Dopo la settimana santa c'è il sabato di alleluia. La Pasqua coincide, almeno dalle vostre parti, con la primavera: che fa rinascere la natura castigata dal lungo e freddo inverno. Ce la possiamo fare a continuare il ciclo degli inverni-primavere? Ripetiamo la frase di una famoso libro italiano scritto da bambini di scuola elementare: "Speriamo che ce la faccio".