31 marzo 2009

COME RICONOSCERE I DISCEPOLI


Una brutta sorpresa: Padre Pedro, monaco benedettino (secondo le convenienze dovrebbe essere chiamato Dom Pedro, ma lui preferiva essere chiamato familiarmente Pedrao), ci ha lasciati sabato scorso. Brutta sorpresa per noi, perchè per lui, forse, è stata buona. E' passato serenamente dai suoi esercizi di camminate e natazione richieste dal medico, e dalle sue ore e ore di preghiera, direttamente alla casa del Padre. Senza nemmeno il tempo di finire su un letto di ospedale. Pedro è stato una luce per tutti noi, nella Diocesi di Goiàs: per la sua dedizione alla preghiera, per il suo buon umore e per la sua capacità di mettersi accanto ad ogni persona come un amico. In passato ha lavorato per diversi anni nella pastorale, come parroco di Itapirapua. Più recentemente celebrava la Santa Messa nell'Asilo, come è chiamata la nostra "Casa della carità". In monastero quando non era in preghiera, dedicava il suo tempo all'atelier come scultore nel legno. Le foto di questo post mostrano lui al suo banco di lavoro e una delle sue sculture più antiche, quella del "roveto ardente", che era uno dei suoi temi preferiti. La sua mano esaltava la bellezza del legno seguendone e accentuandone le venature: le sue opere sono sparse un pò ovunque, perchè aveva visitatori da ogni parte del Brasile e dell'Europa.

Per farvi comprendere meglio Padre Pedro vi offro queste righe di Mario, il postino, nel suo commento quotidiano al Vangelo letto nella Comunità del quartiere in cui è situato il monastero: e la riflessione che segue, a partire dal Vangelo. Pierre Recroix era nato in Francia, il 14 novembre 1922, da Xavier e Irene Jackiot, da tempo residenti in Algeria, allora colonia francese. In Algeria, la famiglia visse fino al 1930, quando fece definitivamente ritorno in Francia. Nel giugno del 1944, Pierre entrò come postulante nel monastero benedettino di Madiran, dove fece la sua prima professione monastica il 3 ottobre 1945, e il 18 giugno 1950 fu ordinato sacerdote. Nelle comunità in cui passò, quella di Madiran, che si trasferì nel 1952 a Tournay, e successivamente, in Brasile, a Curitiba (dal 1960) e Goiás (dal 1977, in diaspora, e dal 1983, nel nuovo monastero dell’Annunciazione), Pedro seppe testimoniare la passione e la rigorosa disciplina del lavoro, prima nell’agricoltura e nell’allevamento, poi nell’atelier di scultura, la vita di preghiera, intensa e profonda, la prossimità e la dedizione alla gente. È morto improvvisamente oggi, 28 marzo 2009, alle dodici e trenta.



"All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: Questi è davvero il profeta! Altri dicevano: Questi è il Cristo! Altri invece dicevano: Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide? E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui” (Gv 7, 40-43). Bello scherzo che ci fa la liturgia a non dirci quali parole di Gesù suscitarono queste reazioni così disparate della folla! Era l’ultimo giorno della festa di Sukkot. Anche quella mattina, come nei sei giorni precedenti, una processione era scesa alla fonte di Gihon, la fonte che riforniva di acqua la piscina di Siloe. Lì un sacerdote aveva riempito d’acqua un’anfora d’oro, mentre il coro ripeteva: “Attingete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12, 3). Poi la processione aveva fatto ritorno al Tempio, attraverso la Porta dell’Acqua, cantando i salmi dell’Hallel. Salita la rampa dell’altare, il sacerdote aveva versato l’acqua in un imbuto d’argento, attraverso il quale essa scorreva fino a terra. Qui Gesù, in piedi nel cortile del Tempio, aveva gridato: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7, 37-38). Che, a molti dei presenti doveva essere suonato una pretesa blasfema.

Ma non a tutti. Il vecchio Pedro, per esempio, duemila anni dopo, a quel grido aveva prestato fede e su quella fede ha giocato tutta la sua vita. Fino ad oggi. Chi di voi è passato di qui l’ha conosciuto, Pedrão. Burbero e scherzoso ad un tempo, ha trascorso gli ultimi anni in una casettina di pietra di una decina di metri quadrati, senza luce, con acqua fredda, dormendo su una tavola di legno, svegliandosi quando era ancora notte e scivolando poi nell’oscurita fino a raggiungere la cappella, a struttura di capanna, dove, accovacciato a terra, riprendeva, in tutta libertà, i suoi dialoghi con Dio: “Pai, paizinho”, “Babbo, babbino” e doveva affidargli il mondo intero, e la sua gente, la chiesa, i suoi fratelli, il monastero, anche e soprattutto in tempi di oscurità totale, quando il sogno degli ultimi decenni poteva sembrava franare. Che fosse curvo sul suo banco di lavoro, Pedro scolpiva il legno straordinariamente, o che stesse camminando per le vie di questa città, o nuotando fedelemente ogni mattina per obbedire alle prescrizioni del medico, o, persino, dormendo, il vecchio monaco ripeteva, scandendolo sul battito del cuore e sul ritmo del respiro, il nome di Gesù e la preghiera del cieco del Vangelo: abbi pietà di me, peccatore. Fino ad oggi, appunto. Quando, terminando il pasto, mangiando un’arancia, ha detto a Ireneu, l’altro monaco di qui: è amara. E questi gliene ha porto un’altra. Il tempo di portarsene uno spicchio alla bocca e ha cominciato a tossire. “Ti è andata di traverso?” chiede l’altro. Ma lui ha cominciato a tremare. Ireneu gli fa: vado a chiamare qualcuno ed è uscito per telefonare. Tre minuti, forse quattro. Quando è tornato in refettorio, Pedro se n’era già andato. Il cuore e quel Nome. C’era da scommetterci che continuandolo a chiamare, Lui se lo sarebbe venuto a prendere. Ora starà già facendo baruffa con Filipe, che l’aveva preceduto di tredici anni nella casa del Padre.

Cari amici, ci avviciniamo rapidamente alla Pasqua e anch'io, in questo ambiente in cui ogni giorno, con diverse comunità ed equipes pastorali, preparo e rifletto su questa tappa fondamentale e finale della missione di Gesù, non posso fare a meno di collegare mentalmente le sue parole e il suo spirito di obbedienza al Padre, con la nostra vita ecclesiale di oggi così tormentata da divisioni. Lui ha detto: "Riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni agli altri". L'amore non è dare sempre ragione all'altro. Il contrario dell'amore non è il conflitto: chi, infatti, ha sperimentato il conflitto più di lui, Gesù? L'amore è vedere nell'altro un fratello e uno con cui vogliamo camminare fianco a fianco, anche quando ha idee diverse dalle nostre e quando non riusciamo a condividere ciò che dice e fa. Bisogna che usciamo dalla mentalità gretta e fredda del giudicarci e appellarci alla "legge". Altrimenti nessuno potrà riconoscerci come discepoli di Gesù. Pure noi stenteremo a riconoscerci. Recuperiamo la misericordia! Il Vangelo di ieri ce ne dava una solenne lezione: "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra" (Giovanni, 8, 7). Deponiamo i nostri sassi, di fronte a queste parole di chi si è lasciato inchiodare su una croce per indicarci il cammino.

27 marzo 2009

BIANCHI DAGLI OCCHI AZZURRI

Non ci sono soltanto crisi, disgrazie, polemiche su fine vita e altre sulle cose dalla cintola in giù. Ci sono i fiori, per esempio. A me piace coltivarli sulla porta di casa, assieme a un orticello. Guardate questa stranezza della natura, è una "stapelia variegata". Al mattino, o in qualche altra ora del giorno in cui mi fermo a leggere l'ufficio divino, contemplo le mie piantine. La sera accendo le luci esterne per riguardarle prima di andare a letto. L'orto, adesso, è una calamità: è stato invaso da una moltitudine di lumachine che l'hanno devastato. Le serate, adesso, sono molto belle e freschine specialmente quando piove. Io sto cenando spesso con pane e cachi, adesso che è la loro stagione: facevo così anche a Maserno.

Frase fatta: bisogna godersi le piccole cose della vita, nonostante tutti i problemi. Credo che Dio ami l'umanità pur sapendo di quanta bestialità e stupidità sia capace. Domenica scorsa, nella messa, c'era un brano del Vangelo di Giovanni in cui Gesù affermava: "Dio non ha inviato suo Figlio al mondo per condannare il mondo, ma affinchè il mondo sia salvo per mezzo di lui" (Giovanni, 3, 17). Il Vangelo non è un cappio da mettere al collo della gente per dire "fai quello che dico perchè qui comando io", ma una proposta di camminare dalla parte della gente e con la gente, soprattutto con chi ne ha più bisogno, cercando in ogni situazione, anche la più ingarbugliata, la strada indicata da Gesù. Almeno noi, cristiani e cattolici, scendiamo dalle cattedre e lasciamoci toccare dalla compassione. Condividiamo le situazioni difficili assieme alle piccole gioie e successi quotidiani della gente, diretti verso il Regno. Vorrei tutta la Chiesa con questo stile, ed è questo che ho imparato dalla Chiesa stessa: ma non mi illudo troppo, perchè l'istinto spinge a usare ogni cosa per salire sulle spalle altrui.

Anche questo mi ha dato soddisfazione: Lula, in un incontro ufficiale avvenuto ieri con autorità economiche del governo inglese, ha detto: "La crisi è stata provocata dai comportamente di persone bianche, con gli occhi azzurri, che davano a intendere di sapere tutto e poi hanno dimostrato di non sapere nulla". E all'obiezione di un giornalista ha ribadito: "Non ho ancora avuto notizia dell'esistenza di un banchiere negro o indio. E questi sono i popoli più esposti a soffrire le conseguenze della crisi". Ogni tanto faccio anch'io critiche molto severe a Lula, ma lui è aperto anche alle critiche, si sente amato, e sa presentarsi come uno che parla per la gente che ha eletto ed esprime le loro tribolazioni e i loro scatti di orgoglio.

Però torniamo ai problemi umani, che ci sono fin sulla porta di casa. Non li possiamo eludere. Alcuni ragazzi mi hanno detto: "Frequentiamo la "lan hause", perchè i professori ci danno le ricerche da fare in internet. Ma in quel posto c'è di tutto, una confusione, perfino traffico di droga". Qualche genitore si lamenta perfino di non potere portare i ragazzi in campagna a lavorare, che sarebbe un modo per tenerli lontani dal degrado e dai vizi. "La legge proibisce a un genitore di fare lavorare i figli!" In realtà non è esattamente così, tutto dipende dal tipo di lavoro. Quasi sempre il lavoro offerto ai minori ha connotazioni di schiavitù: li portano a lavorare a cottimo, per esempio raccogliere pomodori a pochi centesimi la cassetta. E anche quello non educa di certo. Ma nelle strade, dal punto di vista educativo, non è meglio. Drammi. Mettere sulla buona strada bambini e adolescenti è diventata una scommessa con la fortuna. A Recife hanno sparato a un prete di una Onlus che si dedicava a togliere bambini dalla strada (un prete spagnolo di 64 anni, ucciso con una fucilata la notte di giovedì 19 marzo, dentro alla sua macchina nel quartiere di Areias, a Recife). Come diceva ancora il Vangelo di domenica: "Chi pratica il male odia la luce e non si avvicina alla luce" (Giovanni, 3, 20). Anzi, le spara, per non essere denunciato.

L'unica speranza è che la gente guardi in faccia la propria situazione reale e si muova. Il quartiere ha bisogno di spirito di iniziativa delle singole famiglia, della comunità e dell'amministrazione pubblica per pensare e realizzare strutture educative. Abbiamo appena finito l'ampliamento dell'asilo, che già è un buon aiuto, e si presentano nuove necessità. Ma nessuno pensi che tutto si risolve coi soldi. Come scrisse il papa nel discorso di capodanno (giornata mondiale della pace: "Ci si arresta infatti spesso alle cause superficiali e strumentali della povertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avidità e la ristrettezza di orizzonti. I problemi dello sviluppo, degli aiuti e della cooperazione internazionale vengono affrontati talora senza un vero coinvolgimento delle persone, ma come questioni tecniche, che si esauriscono nella predisposizione di strutture, nella messa a punto di accordi tariffari, nello stanziamento di anonimi finanziamenti. La lotta alla povertà ha invece bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico sviluppo umano". Io aggiungerei: "Ha bisogno soprattutto di suscitare l'iniziativa delle famiglie direttamente interessate, che devono diventare il soggetto, e non l'oggetto passivo, degli aiuti".

Non so se i miei lettori riescono a immaginare quanto sia importante per i poveri, a questo fine, la lettura biblica ed evangelica. Illuminando la vita con la luce della Parola di Dio, che i poveri capiscono meglio di chiunque altro per una sorta di identificazione innata, la speranza rinasce. E dalla speranza sboccia la voglia di agire. Purtroppo c'è il vizio, diffuso anche qui, di fare una lettura biblica astratta, fondamentalista e spiritualista, che fa allontanare lo sguardo dalla vita reale e porta a guardare solo il cielo. Per questo sono fondamentali i due poli della lettura biblica indicati dalla Teologia della Liberazione, che ormai anche il Papa usa normalmente nei suoi discorsi: "Parola e Vita: un occhio al Vangelo e l'altro alla gente, nelle sue situazioni concrete". L'ho constatato centinaia di volte: quando una comunità, alla luce del Vangelo, si accorge che la vita può essere migliore e Dio vuole che lo sia (perchè siamo suoi figli), rialza la testa e si mette in azione. E' un percorso chiaro e invitante, anche se non è facilissimo da percorrere. Il piano pastorale della Chiesa Brasiliana lo indica con queste parole chiave: una rete di comunità di discepoli di Gesù, con mentalità missionaria (cioè non chiusi dentro il proprio ghetto), e samaritana, che offre all'umanità il Vangelo come luce per uscire da qualunque tunnel tenebroso (anche la crisi).

Chi lotta, qualcosa ottiene. Abbiamo avuto, in questi giorni, la notizia che il Congresso Brasiliano, dopo anni di lotta degli indios di Raposa Serra do Sol (Stato di Roraima) ha approvato la demarcazione del loro territorio. Ce n'è voluta, ma hanno vinto contro i latifondisti, imprese straniere molto ricche, produttori di cereali in larga scala per l'esportazione. Bella notizia! Nemmeno noi sappiamo quanti preti brasiliani e missionari stranieri hanno sofferto con loro, per aiutarli. Io ho un amico francese, Padre Jacques Hausseau, che anni orsono lavorava insieme a me ad Itaberaì ed ora si trova a Boa Vista, capitale di Roraima. Egli mi raccontava, per posta elettronica, che spesso, al mattino, trovavano la cattedrale della città imbrattata di scritte contro i preti che difendevano gli indios. Ora, al Congresso, alcuni deputati hanno dichiarato: "Gli indios sono un patrimonio culturale del Brasile e dell'umanità".

21 marzo 2009

AMPLIAMENTO ASILO: FINE LAVORI

I lavori di ampliamento dell'asilo sono terminati ieri. Colgo l'occasione per mandarvi un'immagine il più possibile completa dell'opera, ringraziando ancora una volta tutti i collaboratori di Maserno, Iola, Castelluccio, Montespecchio, Modena e Rimini.

Questa è la squadra che ha eseguito i lavori. Da destra: Elcio (capomastro), Alex, Divino, Natal e Sebastiao, l'ortolano dell'asilo, che si prende cura dell'insalata.

Non potevo fare a meno di entrare anch'io nella foto. Sono contento perchè, grazie alla convenzione col comune, siamo riusciti a pagare tutto e non rimangono debiti. L'opera infatti, come accade quasi sempre, è costata più del previsto.

Ed è avanzato abbastanza materiale per costruire un ripostiglio per l'ortolano. L'orto è di fondamentale importanza per l'asilo: oltre a fornire tutta la verdura sana per l'alimentazione dei bimbi, vende a sufficienza per coprire le spese di luce, acqua e gas dell'asilo.

18 marzo 2009

AL MASSIMO POSSIAMO DIVENTARE CRISTIANI


Le suore di cui vi ho parlato la volta scorsa sono queste. Anzi, solo due: Pacha e Carmen (quella al centro). Katiuska, la più giovane, è rimasta a casa per un'infezione gengivale. Nella riunione di preti e suore di Itaberaì, Pacha ha presentato la descrizione di uno dei quartieri più poveri e degradati della città: vi si moltiplicano i "botecos", sale che offrono alcoolici e video-games e intorno a cui brulica il traffico di droga e la prostituzione. Sono frequentati specialmente da giovani del centro, che così sfuggono al controllo dei familiari e conoscenti. Questo, però, provoca una emergenza educativa nel quartiere stesso. I ragazzi del quartiere crescono in questi vicoli, a contatto diretto col vizio e la malavita. E la religiosa chiede: "Che cosa possiamo fare, come Chiesa e parrocchia, per aiutare la gente del quartiere ad ottenere servizi educativi per i loro ragazzi minacciati dall'ambiente in cui vivono?" Risulta evidente che la missione è unire gli abitanti del quartiere per rivendicare strutture pubbliche con personale adeguato. La piccola comunità cattolica è già un fermento importante, ma ha bisogno di mobilitare la gente e anche le altre chiese cristiane. Non è appena una ipotesi teorica: esistono quartieri malfamati, in diverse capitali, che si sono trasformati in comunità sicure grazie all'impegno comune delle famiglie unite nelle varie "Comunità ecclesiali di base", con iniziative educative, manifestazioni pubbliche e rivendicazioni presso le autorità amministrative.

In questi giorni abbiamo avuto un'agenda piena di riunioni. La più importante di tutte è stata quella della "coordinazione diocesana", di cui fanno parte tutti i preti e suore, ma anche i laici coordinatori delle pastorali diocesane. In altre parole, sarebbe il Consiglio Pastorale Diocesano che c'è in Italia, solo che qui è un pò allargato (un centinaio di persone) ed è deliberativo, oltre che consultivo. Lo presiede il Vescovo. Il tema principale è stato quello della formazione, e abbiamo scelto per maggioranza di accentuare alcune caratteristiche fondamentali per tutti gli incontri formativi: dimensione biblica, liturgica, catechetica, missionaria e ministeriale. Non credo che una parola basti a far comprendere la grande abrangenza di questa scelta, ma pazienza. Il termine "ministeriale" significa che la chiesa diocesana punta a formare cristiani consapevoli del proprio sacerdozio battesimale, ed esercitarlo. Non per fare i mezzi preti o i galoppini del prete, ma per essere "sacerdoti" che lavorano per il Regno di Dio nella loro società, attraverso le attività di competenza dei laici e laiche: giustizia sociale, educazione, sicurezza pubblica, sanità, politica. Da notare che con questo non si fomenta l'integralismo cattolico: non vogliamo laici che combattono per sottomettere la società a leggi cattoliche, ma che si impegnano per la giustizia, la dignità delle persone, la libertà. In una parola, per il bene comune e dalla parte dei più deboli.

Non vorrei essere troppo trionfalista, ma ho l'impressione che questo sia uno stile di Chiesa che comincia a mettere radici solide anche in settori più tradizionalisti. E' una Chiesa locale in comunione con tutta la Chiesa, ma con questo volto. Si comprende che la Chiesa non è una forza politica che si confronta con gli Stati e col mondo e ne disputa il potere, ma un fermento per migliorare l'insieme "dal di dentro" e spingere l'umanità verso una maggiore giustizia e umanizzazione. A questo proposito, ho letto un bel libro che uso per gli incontri di studio dell'equipe che prepara i battesimi. Vi si afferma: "Il massimo che può arrivare ad essere, esistenzialmente, il papa, il vescovo, il prete, il diacono, ecc...è essere cristiano. Che è anche il massimo a cui può arrivare un laico, celibe o sposato. Lo scopo, per gli uni e per gli altri, per tutti, è essere cristiani. E di più: tanto essere papa, vescovo, prete, religioso/a, como essere laico/a, sposato/a, vedovo/a, celibe/nubile, non è altro che un mezzo per arrivare a essere cristiano. Come mezzo, può aiutare o ostacolare a raggiungere il fine, che è essere pienamente cristiano, discepolo di Gesù" (Sacramentos da iniciaçao Crista, Felix Moracho Galindo, Paulus, 1999.

Si comprende, così, perchè nella nostra coordinazione si è levata qualche voce di protesta: "I mezzi di comunicazione di massa trasmettono una immagine di Chiesa opposta alle scelte evangeliche della nostra Chiesa locale: una Chiesa ricca e potente, che cerca la visibilità e detta legge". E' vero. Non sono abbastanza informato per dire se questo avvenga per volere degli uomini di Chiesa o per una strategia della midia, ma il fatto è evidente. Noi crediamo di essere più fedeli al Vangelo perchè cerchiamo di essere fermento, sale, o uno spiraglio di luce e di speranza accanto agli uomini e donne che spesso si sentono come chi brancola nel buio: senza imporre nulla, rispettando il libero arbitrio e proponendo non le nostre persone, ma Gesù Cristo come maestro della vita in pienezza. Viviamo accanto a molte altre chiese e denominazioni religiose, e in quartieri dove c'è tanta povertà ma anche degrado ambientale e morale, e rifiutiamo lo scontro, il giudizio moralistico, la condanna. Non cerchiamo di fare della nostra Chiesa un'isola felice contrapposta al resto del mondo, ma solo camminare da fratelli in mezzo a tutti (occorrono tonache, per questo?) e dare una mano a migliorare il mondo di tutti.

A questo proposito, sono andato a rileggere pagine di un libretto che scrissi una ventina di anni fa per la diocesi di Goiàs, che raccontava la storia dei primi gruppi di Vangelo nei quali si lavorava, e non ho potuto fare a meno di entusiasmarmi pensando: "La nostra Chiesa, pure non senza incertezze ed errori, è stata fedele a sè stessa!" Infatti, nel libro, ho trovato la citazione di un discorso improvvisato di un bracciante della città di Goias che accoglieva i delegati di tutta la diocesi riuniti in Assemblea. Egli parlava in gergo popolare tentando di esprimere la gioia di avere scoperto Gesù e il Vangelo. Ve la traduco come conclusione di questa pagina: è pura poesia e fede.

"Noi stiamo accompagnando questo movimento e cerchiamo di vedere qual'è la nostra partecipazione ad un movimento che si spande e finisce per raggiungere tutta l'umanità. Oggi la nostra gioia è molto maggiore quando vediamo qualcosa che è nata dall'uomo, una cosa così bella come questa poesia in collegamento con Gesù. Al di sopra di tutto c'è Cristo. Nonostante sia grande la difficoltà di oggi, il vero e proprio soffocamento in cui si vive, davanti a una cosa così bella come questa poesia viene una gioia che supera tutto.
E' come se noi ci trovassimo sulla cima di un monte parlando all'umanità. Sono rimasto ammirato per la forma semplice di dire cose belle, con parole chiare, senza aver bisogno del dizionario.
Siamo venuti qui con grande speranza di incontrare almeno un piccolo cammino, perchè noi qui in città ci sentiamo come affogati in un fiume in piena. Ma solo di vedere tutta questa gente ci facciamo coraggio. A nome della gente di questa città, ringrazio tutti i presenti. Desidero che usciamo di qui disposti a contaminare tutta l'umanità con queste idee di rinnovamento del Vangelo".

11 marzo 2009

LEGGI DI PIETRA E GENTE DI CARNE

Questa è una delle cime della Serra Dourada: una roccia di milioni di anni, su cui sboccia ancora la vita. Riflettiamo un attimo. Qualcuno ha scritto che i comandamenti di Dio sono di pietra. Mi pare che sia vero e giusto. Senza qualche legge irremovibile e accettata da tutti, non riusciremmo a fidarci gli uni degli altri e convivere. Anche Gesù Cristo fu paragonato a una roccia da cui scaturisce "l'acqua viva" di cui abbiamo una sete insaziabile e che sostiene, con la sua forza, le nostre vite di carne, fragili e spesso doloranti. Egli un giorno disse a Pietro: "Tu sei roccia, e su di te fonderò la mia Chiesa". La roccia è una cosa molto bella ed è un piacere salirvi: ci fa sentire sicuri. Purchè a qualcuno non venga in mente di prendere un pezzetto di roccia e scagliarcelo contro. Gli scribi e i farisei scagliavano pietre: Gesù li ripudiò, prese le difese dell'adultera (che aveva violato la legge) e disse: "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra". Egli preferì essere il samaritano. Il samaritano sa che esiste la legge e il dovere, ma sa anche che l'essere umano è debole, è fatto di carne e si incontra spesso in circostanze quasi disperate. Senza disprezzare la legge, lui ha guardato le persone negli occhi, ha preso in considerazione i fatti e le situazioni concrete, ed è venuto in nostro soccorso.

La settimana scorsa, in questo blog, vi avevo informato sui propositi della Chiesa brasiliana e latino-americana per una "Missione Continentale": "Vogliamo essere una Chiesa-samaritana", era espresso nel documento dei vescovi. Poi è successo un fattaccio. Nella diocesi di Recife una bimba di nove anni, stuprata dal compagno di sua madre fin dai sei anni, è rimasta incinta di due gemelli. Al quarto mese ha sentito dei dolori al ventre ed è stata portata in ospedale. I medici, constatando la gravidanza e ritenendo molto improbabile che quella bimba (1 metro e 36, 35 kg. di peso) potesse sopravvivere al futuro parto, con il consenso della madre hanno praticato l'aborto legale. L'arcivescovo di Recife ha scomunicato tutti pubblicamente. La notizia è finita sui giornali del mondo intero. In quella regione del nordest la religiosità e il rispetto verso la sacralità del vescovo sono molto forti, per cui la scomunica è sembrata, a molti, un ulteriore stupro. In effetti per la legge ecclesiastica, in questi casi, la scomunica è automatica e non c'è nemmeno bisogno di dichiararla: ma ha valore solo se i diretti interessati ne sono consapevoli. Il fatto che in una Chiesa Samaritana un arcivescovo abbia agito senza nemmeno prendersi la briga di visitare quelle persone umili, parlare con loro, magari piangere con loro, e assolverle dalla pena senza fare chiasso, ha creato molto scandalo.

Il "Postino della Comunità del quartiere" di Città di Goiàs ha commentato la notizia con queste citazioni bibliche: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5, 20-22). Parole severe quelle di Gesù. Non dissimili da quelle di alcuni maestri del suo tempo, che ricordavano: il comandamento è di non spargere il sangue, ora, chiunque umilia il suo prossimo, chiunque lo fa arrossire di vergogna, è come se ne spargesse il sangue, è perciò lui stesso omicida". E Ivone Guevara, una monaca-teologa brasiliana, ha scritto: "La Chiesa è la comunità di uomini e donne sparsa per il mondo, comunità di quelli che fanno attenzione ai caduti nella strada della vita, ai portatori di dolori concreti, alle grida di popoli e persone in cerca di giustizia e sollievo dai loro dolori di oggi. La Chiesa è l'umanità che si aiuta a sopportare sofferenze, alleviare dolori e celebrare speranze. Continuare con scomuniche, esclusioni e inclusioni, sembra sempre più incentivare la crescita di relazioni autoritarie che non rispettano la dignità umana".

Il mio parere personale è che abbiamo il dovere di difendere la vita innocente, ma che viviamo in un'epoca in cui si gioca sulle parole e si usa una giusta causa per calpestare con forza gli umili ed essere remissivi e flessibili con i potenti. Lo stupro di quella bambina è stato giudicato meno grave dell'aborto: quando uno stupra, forse che non sta già distruggendo una vita innocente? Quando si fanno guerre e si lanciano bombe, forse che non si uccidono anche gli embrioni e i nascituri? Bisognerebbe stare un pò più attenti nell'osservare la lettera della legge, per non ucciderne lo spirito.

Chiudo l'argomento, sul quale di sicuro siete informati anche dai giornali. Per fortuna abbiamo anche notizie migliori. Abbiamo celebrato l'otto marzo, giornata internazionale della donna. Anche qui è diventata una festa consumistica che non ha molto a che vedere con le sue origini e ideali. Però, è sempre una buona memoria e un'occasione per riprendere il cammino. Qui in parrocchia le donne hanno fatto festa insieme. La pastorale della salute ha promosso un pomeriggio dedicato a loro, e non è mancato un buon momento di riflessione. Siccome la giornata della donna quest'anno cadeva in domenica, noi abbiamo ceduto alle donne l'omelia della messa. Per non andare troppo contro le regole della liturgia romana hanno predicato le nostre suore. Che sono: suor Carmen (venezuelana), suor Pacha (colombiana), suor Katiusca (venezuelana). Risiedono nell'estrema periferia e animano otto piccole comunità di base del Settore Santo Antonio, che comprende diversi quartieri, oltre a collaborare in parrocchia con la formazione catechetica, liturgica e biblica. Sono brave, brave, bravissime....

Ci sono segni di ripresa in alcuni movimenti popolari. A Goiania c'è stato un forum, promosso dalla nostra Commissione Pastorale della Terra, con un gruppo nutrito di associazioni dei lavoratori rurali. Nella nostra regione la Riforma Agraria è da parecchio tempo quasi ferma, nonostante ci sia la terra e anche i soldi per riscattarla e assegnarla. Ora però, si vede un pò di unità e rinascono speranze. Hanno deciso di stabilire contatti più stretti e continui per rispondere agli attacchi della stampa e del potere giudiziario contro la Riforma Agraria e le Associazioni che la rivendicano (in particolare il Movimento dei Senza Terra, che spesso viene criminalizzato). Tra qualche giorno ci sarà un secondo forum per stabilire alcune azioni comuni. Alla prima riunione era presente anche il nostro vescovo.

6 marzo 2009

LA CRISI VISTA DA QUESTO ANGOLO

Vedete i nostri seminaristi minori, quelli che fanno ancora il "propedeutico". Il locale è il porticato del Centro Diocesano di Pastorale, dove sono intenti all'ufficio dei vespri insieme al loro orientatore (Padre Riccardo, il primo a sinistra), alla suora che dirige il Centro (prima a destra), e una ragazza che non conosco (forse si è unita al gruppo per aiutarli a mantenere i piedi per terra). Le vocazioni sono aumentate molto. Nel 67, quando arrivai assieme agli altri preti modenesi, a Goias c'erano tre preti diocesani, una ventina di stranieri e nessun seminarista. Oggi le proporzioni sono invertite, e anche quest'anno sono previste due ordinazioni. In questo campo non c'è crisi, almeno apparentemente. Ci sono, tuttavia, grandi cambiamenti nei criteri di selezione, nella preparazione, nel modo di essere e di lavorare dei nuovi preti. Tutto è in movimento e nessuno sa come sarà tra qualche anno.

Le Chiese Evangeliche Pentecostali continuano a moltiplicarsi e a fare adepti. Se guardiamo le proporzioni tra cattolici ed evangelici solo anagraficamente, sicuramente la Chiesa Cattolica sta perdendo terreno. Lasciando da parte le cifre e osservando gli aspetti essenziali della missione evangelizzatrice, mi sento di dire che camminiamo abbastanza bene, nonostante le moltissime lacune. Anche in questo campo tutto è in movimento, ci sono cambiamenti epocali in atto che dureranno ancora a lungo. I cattolici formano numerose piccole comunità centrate sul vivere insieme il Vangelo e scegliere Gesù Cristo come maestro di vita, senza buttare via indiscriminatamente il passato e senza rompere la comunione ecclesiale. Imparano a scegliere con fermezza la propria vita di fede e testimoniarla serenamente, accettando senza complessi di convivere con la diversità. Come scrive Nostro Tempo, complessivamente questa è una Chiesa viva che riesce ad essere visibile senza bisogno di essere arrogante.

Delle nuove chiese evangeliche non si può dire nulla che valga per tutte. Sono troppe, e diverse una dall'altra. In genere puntano molto sulla soddisfazione dei bisogni religiosi primari, sulle paure e insicurezze. La pubblicità radiofonica di una Chiesa, più volte al giorno, insinua: "Ti sei accorto che c'è qualcosa che non va nella tua vita? Tutto quello che intraprendi fallisce? Sembra che ci sia un malocchio che ti fa cadere addosso tutte le disgrazie e i malanni? Vieni da noi e troverai le soluzioni!" Altre pubblicizzano senza ritegno miracoli e miracoli.

Un giovanotto di Brasilia, fermo al distributore, mi dice: "Grazie a Dio ho preso una strada buona nella vita. Vivevo nel disordine, bevevo, mi divertivo in tutti i modi e perdevo il tempo. Ogni cosa che cominciavo era una sconfitta. Da quando sono entrato in questa nuova Chiesa, la mia vita va di vittoria in vittoria. Ora sono diacono e sto per diventare predicatore". Questo è uno dei prototipi comuni del mondo evangelico locale, fondamento del successo di queste chiese. Tanto che le signore cattoliche di un quartiere commentano: "Quì hanno aperto due centri in poco tempo, e sono sempre affollati. Le ragazze e i giovani passano di casa in casa due o tre volte la settimana a fare propaganda". L'altro prototipo è quello di alcune ragazzine che battono alla mia porta per vendere immagini sacre (comprese quelle della Madonna). Chiedo loro: "Quale Chiesa frequentate?" Risposta: "Spesso io vado alla Chiesa Deus è amor (evangelica pentecostale, ndr). Però, quando è aperta la Chiesa di San Francesco (cattolica, ndr), preferisco quella". In altre parole la gente sceglie la Chiesa più vicina e più disponibile. Tradotto in soldoni: cercano la Parola di Dio, la soluzione dei problemi della vita, una comunità amica. La crisi religiosa non esiste ma la teologia e i grandi progetti pastorali, per la gente dei quartieri, appartengono a un altro emisfero.

E la crisi economica? Mi dicono che in televisione se ne parla molto (io non ho la televisione in casa, perciò lo dico per sentito dire). Fra la gente, l'opinione più comune è che da noi non c'è. Abel, rivenditore di auto (non è il concessionario, ma uno che vende per lui e guadagna a percentuale), mi ha spiegato: "Qui abbiamo venduto di più quest'anno che l'anno scorso. La gente che ha cominciato a lavorare in questi ultimi anni o mesi, appena può compra una macchina. Siamo in crescita!" Però stamattina ho chiesto al sindaco, e lui ha detto: "In gennaio le entrate sono diminuite, e in febbraio ancora di più". L'economia di Itaberaì si regge, in gran parte, sul commercio e su due grandi imprese industriali: la "superfrango" che produce e abbatte polli (180 mila al giorno), e l'industria della canna da zucchero che va dalla produzione alla distillazione (le distillerie, per ora, sono nei paesi vicini). Se vanno in crisi queste due, sono dolori. Al di fuori di queste, restano le "fazendas", come una volta, ma con un'agricoltura ormai completamente meccanizzata.

Intanto la ditta che sta costruendo un immenso "macello-frigorifero" di carne bovina procede a rilento, e il progetto di distilleria di alcool è stato rimandato per mancanza di liquidità. Quindi la crisi c'è. Lula sostiene che il Brasile continuerà a crescere almeno del 2,5% l'anno, ma è un tipo di affermazione che, di questi tempi, può cambiare dalla sera alla mattina (in Italia anche più volte al giorno). Quello che è certo è che Lula ha completamente abbandonato la Riforma Agraria, che per il Brasile sarebbe l'asso di briscola per proteggere tanta gente dalla crisi. Milioni e milioni di ettari di terra sono ceduti ad imprese di agricoltura industriale legata all'esportazione e al mercato globale, quindi alla mercè della crisi, mentre milioni di famiglie, che potrebbero garantirsi la sopravvivenza e fornire alimenti sani ed economici ai mercati locali, sono lasciati a marcire negli accampamenti di senza-terra o nelle periferie delle città, come riserva di mano d'opera a buon mercato. C'è ancora chi pensa di emigrare, nonostante la gentilezza con cui sono accolti! Nel frattempo gli emigrati in Giappone, in Spagna e negli Stati Uniti stanno ritornando in massa perchè la cuccagna è finita.

La gente è entusiasta di Lula: ha spezzato le oligarchie che governavano da sempre il paese senza lasciare nessuna opportunità per i poveri. Per questo anche i sindacati e i movimenti popolari si sono appiattiti e stanno più col governo che con la gente. Lo stesso è accaduto, almeno in parte, anche con la Commissione Pastorale della Terra, che al suo vertice è ancora una voce profetica, ma, negli uffici sparsi per il paese, pare stia facendo quasi solo lavoro burocratico (o lavora in sordina). L'unico movimento ancora agguerrito è quello dei Senza Terra, che proprio per questo è preso di mira da continue campagne allo scopo di screditarlo. Forse molti non si sono ancora accorti che Lula, ormai, fa comunella con le vecchie oligarchie a cui aveva rubato il posto col voto popolare.

A giudicare dalle opinioni (per ora sono solo opinioni) del Magistero, la crisi è profonda, viene da lontano e durerà molto. Del resto io ne sentivo le previsioni da decine d'anni! Il bollettino della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani (CNBB), nell'analisi di congiuntura del novembre scorso, annunciava: "Prendiamo atto che questa è una delle 46 crisi che il capitalismo ha conosciuto dal 1790. Il G20 propone riforme urgenti che assicurino la governabilità dell'economia mondiale, con effettiva regolamentazione dei mercati finanziari. La midia passa questo messaggio tranquillizzante al grande pubblico, mentre le banche centrali agiscono nel senso di riequilibrare il sistema finanziario e restaurare la sua credibilità. In fondo, prevale lì la diagnosi che questa sia solo una crisi finanziaria, non una crisi dello stesso sistema capitalista. Per capire la gravità della crisi, bisogna considerare ciò che la teoria economica liberale considera (...) effetti non economici del processo economico, come i rifiuti, lo spreco di materie prime ed energia, la distruzione della bio-diversità, la degradazione dei suoli e delle acque e la degradazione umana - malattie, esclusione sociale e ribellione. Per aver trascurato questi danni nei suoi calcoli, la logica del profitto è riuscita a produrre una enorme quantità di ricchezza. Ma ora queste cose si rivolteranno contro il sistema e ne impediranno in funzionamento. La crisi attuale non è solo finanziaria: è una crisi ambientale, energetica e di umanità".

Continua il documento: "In una recente analisi per l'Onu, F. Houtart afferma che bisogna cambiare la logica stessa dell'economia, privilegiare il valore di uso invece che il valore di cambio. Questo significa definire diversamente l'economia: non più la produzione di un valore aggregato, fonte di accumulazione privata, ma attività che assicura le basi della vita materiale, culturale e spirituale degli esseri umani attraverso il mondo. In questa logica diversa il mercato serve da regolatore tra l'offerta e la ricerca, ma non a generare lucro per il capitale, perchè si tengono in considerazione i fattori ecologici e sociali. Privilegiare il valore di uso provoca la non mercantilizzazione delle cose indispensabili per la vita - sementi, acqua, salute, educazione - e il ristabilimento dei servizi pubblici; l'abolizione dei paradisi fiscali e del segreto bancario; l'annullamento degli odiosi debiti degli Stati del Sud; la formazione di alleanze regionali sulla base della solidarietà e complementarietà; la creazione di monete regionali; insieme ad altre misure a favore della multipolarità. La crisi finanziaria costituisce l'occasione unica de mettere in atto queste misure".

I Vescovi non hanno firmato questo documento, ma lo hanno ascoltato e lasciato pubblicare dalla commissione che elabora gli aggiornamenti per l'episcopato. Si può dire che, anche se non sono unanimi, essi hanno indicazioni serie da dare ai cristiani su come affrontare la crisi. Il problema è che non si pronunciano uniti e a voce spiegata, quindi trasmettono poca forza ai movimenti sociali e alle loro stesse pastorali sociali. Ormai la Chiesa schierata coi poveri è quasi senza voce. Non intendo dire, sia ben chiaro, che non si predichi e non si prendano iniziative di solidarietà e assistenza: si pratica l'aiuto fraterno, le iniziative si moltiplicano, la predicazione della solidarietà è continua e vivace, specialmente in quaresima. Ma quella voce, quella voce spiegata, che faceva udire a tutti il grido degli oppressi e che oggi dovrebbe amplificare le speranze di tanti in un "nuovo mondo possibile", è timida e quasi non si sente. Circolano gli articoli di teologi sul social forum mondiale. Se ne parla nelle giornate di studio diocesane e nei ritiri spirituali. Forse si aspetta il momento opportuno. Mettiamo che questo è il tempo in cui il chicco di grano sembra morire per poi risorgere.

Come potete notare, nemmeno io oso alzare il tono in queste righe: mi limito a constatare. Credo che tutti abbiamo capito cosa si deve fare, sia che si parta dall'ispirazione del Vangelo o da una semplice e terrestre passione per la giustizia e la dignità umana. Per alcuni aspetti sembra che lo sappia bene anche Obama! La proposta più bella che ci hanno fatto i Vescovi dell'America Latina riuniti ad Aparecida due anni fa, è questa: "Vogliamo essere una Chiesa Samaritana". Il Samaritano è Gesù, ed è anche ognuno di noi che rimanda, quando è necessario, l'orario del culto religioso per soccorrere chi è ferito ai bordi della strada. Lo fanno diverse diocesi e parrocchie italiane, costituendo fondi di aiuto ai disoccupati (l'ho letto sui giornali). Lo facciamo anche noi, nel nostro piccolo, organizzando fondi di emergenza. Aiutiamo un "Senza Terra" perseguitato per vie legali, dei carcerati che hanno bisogno urgente di intervento in un occhio o una gamba affetta da trombosi, alcuni accampamenti, gente che non ha più soldi per pagare la luce o la ricetta. Anche se non gridiamo, queste opere dovrebbero parlare da sole. Ma forse dovremo anche gridare, prima o poi! Il peccato che produce la crisi economica è conosciuto da migliaia di anni. San Gegorio Magno, in una omelia che fa parte della preghiera mattutina di questi giorni, citava San Pietro per ammonirci: "Vergognatevi voi, che tenete per voi stessi i beni degli altri; imitate la giustizia di Dio e non ci saranno poveri". E continuava: "Non diventiamo pazzi per accumulare beni e lasciarli di riserva, mentre altri impazziscono a causa della miseria, affinchè non cada su di noi questa censura amara del profeta Amos: "State attenti, voi che dite: "Quando finirà il mese affinchè possiamo vendere, e il sabato per poter aprire i nostri granai?".