La settimana prossima anche noi, clero della diocesi di Goiás, ci ritireremo per alcuni giorni in preghiera e meditazione sul tema scelto dal nostro vescovo Eugenio in coincidenza con l´Anno Sacedotale voluto dal papa Benedetto: il sacerdozio. I miei quattro lettori avranno pazienza se espongo in anticipo le mie conoscenze su questo argomento, per fare una sintesi in preparazione a questi esercizi spirituali: infatti in questi giorni non riesco a pensare ad altro. In certo senso ho giá cominciato i miei esercizi. Quando li avró terminati, se avró scoperto qualche novitá ve le comunicheró. Ovviamente l´argomento é molto ampio, e qui dovró limitarmi al nocciolo. Per chi vuole approfondire ci sono tanti libri di gente che sa piú di me.
Il "sacerdozio" c´era nelle religioni pagane e in quella di Israele. Il termine indica una casta di uomini separati dagli altri e consacrati, per fare da mediatori tra Dio e l´uomo. Piú dalla parte di Dio che dell´uomo. Gesú era un ebreo, ma non é mai stato sacerdote del sacerdozio ebraico. Come del resto noi non siamo sacerdoti nel modo di Gesú. Perché il suo é unico nel suo genere, ma questo non é il problema: le parole cambiano significato. I Vangeli non attribuiscono questo titolo né a Gesú né ai suoi discepoli. Le lettere di Paolo e quelle di Giovanni spiegano per filo e per segno che noi, dopo la conversione e il battesimo, essendo uniti a Cristo, non abbiamo piú bisogno di intermediari perché siamo Figli di Dio, ed é presente in noi lo Spirito Santo che ci fa gridare "Abbá, Padre", rivolgendoci a Lui direttamente (e Gesú ci ha insegnato a rivolgerci direttamente: Padre Nostro che sei nei cieli!). L´unico libro del Nuovo Testamento che dá a Gesú, espressamente, il titolo di sacerdote, guarda caso é la lettera agli ebrei. Ma lo fa per dire loro che Gesú é quasi l´opposto dei loro sacerdoti (vedi nota): Gesú é un sacerdote che: 1) Non é intermediario né separato, ma si é fatto uomo e si é messo in mezzo e dalla parte dell´umanitá. 2) Non celebra riti, ma vive. 3) Non offre sacrifici di animali, ma sé stesso. 4) Non ha bisogno di ripetere l´offerta, perché una basta per tutti e per sempre. 5) Il suo non é lo "Yom Kippur" (il principale sacrificio espiatorio del Tempio ebraico), che é morte e spargimento di sangue: ma é la sua stessa vita intera, assieme alla morte e specialmente risurrezione. Gesú non fa una "espiazione", bensí con la fedeltá completa al Padre dall´inizio alla fine, e soprattutto con la risurrezione, vince per sempre la schiavitú dell´umanitá al peccato. "Per questo motivo, entrando nel mondo, Cristo disse: tu non hai voluto né sacrifici né offerte. Al loro posto, tu hai dato a me un corpo. Olocausti e sacrifici non ti sono graditi. Per questo io ho detto: eccomi quí, o Dio - nel rotolo del libro scritto per me - per fare la tua volontá" (Ebrei, 10, 5-7). Non siamo autorizzati a pensare che Dio abbia ordinato a Gesú di farsi ammazzare perché voleva il suo sangue in riparazione all´offesa del peccato. Il Padre buono di Gesú non comporta un sacrificio umano, tanto meno di Suo Figlio. Gesú é morto in conseguenza della vita di fedeltá al Padre, non per volere del Padre. Ha vissuto una esistenza umana perfettamente obbediente al Padre. Una esistenza, peró senza peccato. Talmente senza peccato, che pur di non cedere al peccato ha affrontato la morte. E la sua risurrezione é rimasta come il segno della vittoria: l´uomo non é piú soggetto al peccato e ai sacrifici della Legge, perché Cristo ha vinto (lo scrive Paolo nella lettera ai romani, e in altre). Il sacrificio é abolito (lo afferma la lettera agli ebrei).
Oltretutto, Gesú si scontró spesso coi sacerdoti cosí come con gli scribi e dottori della legge, quindi con la religione istituita del suo tempo e paese, rappresentata dal Tempio e dalle Sinagoghe. Tanto che furono loro a decretarne la morte, come risulta chiaramente dai 4 Vangeli. Perché? Non possiamo certo pensare che lui fosse un mistico con la testa fra le nuvole, o un anarchico che non voleva nessuna istituzione, o un pauroso che si rifugiava in Dio perché non aveva il coraggio di affrontare la vita reale. Sapeva bene che niente funziona, nel nostro mondo, senza istituzioni. Solo che le istituzioni, anche quelle religiose, sono un potere: e viziano. Invece di mettersi al servizio dell´uomo, gli "istituiti" cominciano a servire solo sé stessi e operano per il mantenimento del potere e dei privilegi. In particolare il sacerdozio, ai tempi di Gesú, operava per contare i "buoni e fedeli", usarli, sfruttarli e mantenerli sotto la Legge. E per escludere gli altri. La legge esigeva la "puritá", che per alcune classi sociali era praticamente impossibile. Gesú si mise dalla parte degli esclusi (prostitute, pubblicani, storpi, lebbrosi, e perfino gente che faceva una vita in cui non si poteva lavare le mani secondo la Legge), e denuncia: "Il sabato é fatto per l´uomo, non l´uomo per il sabato". A questo punto i sacerdoti e gli scribi (religiosi) si mettono d´accordo con gli erodiani (autoritá civili), per farlo morire. Del resto lui aveva rifiutato ogni tipo di potere vincendo le tentazioni nel deserto, e manteneva solo il potere di "Figlio dell´uomo", cioé un uomo vicino a Dio, e poi direttamente di Figlio di Dio. La sua vittoria sulla cattiveria e ingiustizia umana verrá dopo la sofferenza per resistere alla cattiveria e all´ingiustizia, non piegandosi ad essa per evitare i patimenti "chi perde la sua vita per amor mio la salverá" - (Mt. 10, 39).
Avendo rifiutato ogni forma di potere, non ha senso pensare che Gesú volesse distruggere il sacerdozio e la religione per sostituirla con un potere contrapposto (che avrebbe poi commesso gli stessi abusi). L´obiettivo dichiarato da Gesú é un altro: "Annunciare una Buona Notizia ai poveri, la libertá agli oppressi e dare la vista ai ciechi" (cfr. Lc. 4, 18) e poi creare un nuovo "fermento" che faccia lievitare e trasformi tutta la massa. Sempre, in ogni tempo e luogo. Ha istituito anche dei segni per riconoscersi dentro a questo fermento: il battesimo, segno di adesione a Lui come discepoli, e l´Eucaristia: "Ogni volta che farete questo, lo farete in mia memoria" (dalla preghiera eucaristica della messa). Questo é, o almeno dovrebbe essere, il nostro tipo di sacerdozio. Nel corso dei secoli si sono aggiunti elementi culturali e religiosi di diverse provenienze: dall´A.T., dal paganesimo (perché no?), dal diritto romano, dal diritto germanico, eccetera. Era inevitabile, dal momento che il cristianesimo diventava religione di massa e istituzionale: e non é credibile che Gesú l´avesse escluso a priori, visto che aveva i piedi per terra. Ma noi siamo chiamati a non smettere mai di essere "nuovo fermento" e "sale della terra". E questo il sacerdozio, é questo essere "la Chiesa di Cristo: essere essere fermento e sale (quindi una minoranza disarmata, sprovvista di potere ma attiva). Non vale solo per i preti ordinati, ma per tutti i "battezzati": "Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato da Dio per proclamare...." (1Pietro, 2, 9). Dove si sviluppa il cancro di un potere oppressivo, e dove la religione istituita diventa sua alleata volontaria o involontaria e strumento per opprimere o escludere "nel nome di Dio", il nostro compito é reagire. "Beati voi, quando vi insulteranno e perseguiteranno, e vi calunnieranno in tutti i modi per causa mia. Siate allegri e contenti, perché sará grande per voi la ricompensa nei cieli" (Mt. 5, 11).
A questo proposito, a Manaus si é diffusa una versione assai diversa da quella che vi ho passato io alcuni giorni fa, circa l´assassinio del prete padovano don Ruggero Ruvoletto. La mia era la pista seguita dalla polizia. La gente del posto ritiene che il ladruncolo che lo ha derubato non lo avrebbe ucciso, se non fosse stato preparato e pagato per questo. Pensano ai trafficanti di droga, a cui dava fastidio l´arrivo nel quartiere di questo prete affabile e zelante che attirava i giovani fuori dal giro della droga. Lo hanno ucciso con un unico colpo alla nuca, dopo averlo fatto inginocchiare accanto al letto. É morto in ginocchio. Al funerale la folla ha cantato l´inno dei martiri del repertorio delle Comunitá di Base: "Se faranno tacere la voce dei profeti - le pietre parleranno". Le pietre, perché la gente non parla: bisbiglia soltanto. I trafficanti di droga, oggi, sono un potere non istituzionale ma armato e collegato, probabilmente, ad altri poteri: e fa paura.
E nessuno mi venga a dire che questa é una lettura sociologica, orizzontalista, ideologica del Nuovo Testamento. Non cerchiamo un mondo perfetto e una liberazione immanente e imminente, né fatta solo di stipendi e benessere. L´abbiamo giá capito come si trasforma, si ricrea e si riproduce l´oppressione. Tuttavia i poveri credono in Dio e aspettano di prendere parte a pieno titolo al banchetto della vita: non prendiamoli in giro con misticismi fasulli che banalizzano la vera mistica cristiana. La promessa di Gesú, il Regno dei cieli, é un premio che non puó essere relegato all´evanescenza di un vago spiritualismo o rimandato ad un futuro remoto di lá da venire. O apparteniamo al Regno subito e cerchiamo di concretizzarlo, o siamo fuori. Siamo mondani mascherati di spiritualitá. Questa é una scelta da vivere finché siamo vivi, ogni giorno, quí, nell´impegno che é giá di per sé gioia del Regno mescolata alle sofferenze per il Regno. Paolo scriveva dalla prigione dicendosi pieno di allegria e preoccupandosi delle minime cose della sua comunitá, e spiegava perché: "Il mio vivere é Cristo" (Filippesi, 1, 21). Noi non siamo da tanto, ma giá in questa vita possiamo e dobbiamo scegliere tra il Regno di Dio e l´anti-Regno di Dio, che sono sempre contemporanei. E agire di conseguenza, per quel tanto di cui siamo capaci.
NB: La riflessione sulla Lettera agli ebrei e alcune altre osservazioni sparse nel testo, non sono farina del mio sacco. Le ho tratte, liberamente e affidandomi alla mia comprensione personale, dal libro di François Varone, Ce Dieu censé aimer la souffrance, Éditions du Cerf, 1993 - tradotto in brasiliano da José Augusto da Silva e pubblicato dalla Editora Santuário di Aparecida, dei redentoristi, nel 2001.
La foto: accampamento Paulo Farias: i poveri credono in Dio e aspettano di prendere parte a pieno titolo al banchetto della vita.
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