5 settembre 2008

IL MIO DIARIO DI IERI: GLI ULTIMI SONO I MIGLIORI?


Nei miei progetti la prima pubblicazione di questo blog, dopo le ferie, doveva essere la più corta. E contenere solo saluti e ringraziamenti! Avrei dovuto anche attendere alcuni giorni, per rifarmi delle cinque ore perse col fuso orario. Invece, sorpresa! Nemmeno ho avuto il tempo di scendere del tutto dall'aereo che....è successa la storia che tenterò di raccontarvi in questa pagina un po’ avventurosa ma anche lunga e complicata! Comincio con una fotografia che ho scattato l’anno scorso, in piena stagione delle piogge: una stradina solitaria che si perde nella sterminata distesa di verde delle campagne di Itaberai. Essa attraversa tutta la Fazenda Santa Rosa, a una trentina di chilometri da Itaberai. Se voi la percorreste in questi giorni, supponiamo alle due del pomeriggio a oltre 30 gradi di temperatura, non vi farebbe una buona impressione. Sono chilometri di pura polvere rossa che si impasta col sudore della pelle, in un paesaggio risecchito e quasi desertico, salvo qualche vallata irrigata e la foresta in lontananza, sulle montagne tra cui va a perdersi.



Ieri giovedì 4 settembre, primo giorno dopo le vacanze, a poco più di 24 ore dal mio arrivo, sono stato costretto dalle circostanze a percorrere di corsa più volte questa strada in tali condizioni. Ero solo in casa, a mettere a posto le mie cose ammucchiate nelle valigie, quando ho ricevuto una telefonata dalla segreteria della parrocchia: "Padre, la Auxiliadora chiede urgentemente la presenza di un prete nella Fazenda Santa Rosa, vicino alla cappella". Auxiliadora è la principale animatrice di quella comunità rurale che, cosa rara, è dedicata ad una santa sudamericana (Santa Rosa da Lima: i contadini hanno fatto pure una canzone per lei). Io sono partito immediatamente, pensando: "Forse c'è un malato grave!" La cappella è a una trentina di chilometri da Itaberai. L'ho trovata deserta e chiusa. Attorno, nessuno: e sfido io, con il sole così a picco chi è che se ne va in giro nella via polverosa? Sono tornato indietro di un paio di chilometri, ed ecco finalmente una signora che chiedeva un passaggio. "Volentieri - ho detto io - solo che prima devi farmi scoprire dov'è l'Auxiliadora, che ha telefonato cercando aiuto". "Ah, padre - mi fa lei - l'Auxiliadora? Sì, lei telefona. Ha il cellulare attaccato all'antenna, ha messo l'antenna sopra la casa, infilata in una pertica! Oggi c'è molta polizia in giro, penso che lei abbia telefonato per questo. La gente è tutta a casa di Luìs, hanno chiamato con i mortaretti. Lo stanno sfrattando!". E così la buona Geraldina ha dimenticato dove doveva andare, mi ha accompagnato dove c'era la folla ed è rimasta là, a sostenere la protesta. Sì, perchè c'era uno sfratto e una manifestazione di protesta, roba da non credere, in questa landa sperduta. A questo punto, però, sono costretto a farmi indietro nella storia, perchè ci possiate capire qualcosa.


La Fazenda Santa Rosa è qualche migliaio di ettari di terra che, fino agli anni 90, appartenevano ad un unico proprietario. Poi, duecento famiglie (o più) del Movimento dei Sem-terra vi piantò un accampamento e, dopo diversi anni di sfratti violenti con periodi di lotta da spasimo, dopo tanto andare e venire di commissioni, di verifiche tecniche, affrontamenti con la polizia e i pistoleiros e altre afflizioni della fattispecie, ottennero la Riforma Agraria, la divisione in appezzamenti e l'assegnazione del terreno. Risultò che la fazenda non era produttiva e che il proprietario la sfruttava quasi esclusivamente per estrazione di legname. Ogni famiglia ottenne circa 10 ettari, e il resto (la montagna) fu trasformata in riserva forestale. Nel corso degli anni la maggior parte dei contadini vendette il suo appezzamento: molti, sicuramente, per circostanze di necessità, e altri solo per guadagnare un poco di soldi e accamparsi, magari, in un altro gruppo di sem-terra per rivendicare un altro podere. Non vi sto parlando di santi, infatti, ma di gente di questo mondo: se i ricchi fanno spesso i furbi, potete stare certi che talvolta (un pò meno) anche i poveri, nel loro piccolo, lo sanno fare. Circa 5 anni fa il governo Lula, dopo aver consultato (con parecchie riunioni) tutte le associazioni e organizzazioni pro-Riforma Agraria, fece una legge che proibisce la vendita e l'acquisto di appezzamenti ottenuti tramite l'Istituto Nazionale della Colonizzazione e Riforma Agraria (INCRA). A partire da quella data chi compra questi terreni dovrebbe essere subito sfrattato: ma così non avviene. I controlli non sono sufficienti, e bisogna pure ammettere che le situazioni concrete di bisogno in cui la gente viene a trovarsi sono infinitamente più numerose e complesse di quanto una legge scritta possa comprendere. Inoltre, esiste la corruzione. Si dice che spesso il funzionario chiuda gli occhi dopo aver ricevuto una bustarella sotto banco, e li spalanchi del tutto, invece, su chi lavora e si rifiuta di pagare ricatti. Accanto al podere di Luis, ad esempio, c'è un appezzamento che serve da luogo di riposo e divertimento per un proprietario che l'ha comprato in barba alla legge, abita nella capitale e viene con gli amici a passare qualche fine-settimana. In ultima analisi, i più abilitati a fare le verifiche e concedere o negare l'approvazione a una compravendita sarebbero le associazioni degli agricoltori che abitano sul posto: ma col tempo, le beghe interne e le divisioni hanno incrinato l’antica compattezza dei tempi in cui lottavano per ottenere la terra. Oggi anche i contadini della S. Rosa sono divisi in tutto, cominciando dalla religione.



Luìs, invece, ha comprato la terra 4 anni fa per lavorare, e lo si vede subito. Pure in piena stagione secca, lui ha il più bel campo di granoturco verde della zona. Ha bonificato il suolo e ha messo su un piccolo impianto di irrigazione. Vende pannocchie di granoturco verde in città durante tutto l'anno, assai ricercato per la preziosa pamonha che è il piatto (si fa per dire) più gradito dalla gente del Goiàs, come le crescentine sulle montagne modenesi. Luìs non ha pensato ai lussi e alle comodità: la sua casetta, dopo 4 anni, è ancora rudimentale, munita solo dell’essenziale e nemmeno intonacata. Però a lui, oggi, sono arrivate sulla porta di casa due macchine di polizia, una federale e l'altra statale. Con loro l'ufficiale giudiziario, il funzionario dell'Incra e due camionisti per caricargli tutta la roba e portarlo da qualsiasi parte lui preferisse. L'ordine era di eseguire immediatamente lo sfratto, sigillare e mettere sotto sequestro la casa, proibirgli di mettere piede sulla sua terra e distruggere la piantagione. La gente della comunità si è ribellata: "Portate via i compagni che lavorano e che fanno lavorare anche altri, e ci mandate dei raccomandati che non fanno niente e rubano, come è già accaduto altre volte!" Tra la folla ho sentito subito che gli uomini tergiversavano: "Ci dispiace, ma la legge è legge, cercheremo un accordo verbale, che gli lascino fare almeno il raccolto!" Le donne, invece, erano decise e inflessibili: "Finchè non ci danno una garanzia scritta e firmata che lui può ricorrere e che tutto quello che ha fatto è suo, non andiamo via!"


La discussione è andata avanti per ore. Le donne ora manifestavano a voce alta, e ora bisbigliavano contro i loro rappresentanti sospetti di cercare di parlottare privatamente con l’autorità dell’Incra. Il funzionario dell'Incra prometteva una cosa e poi ritrattava. "Perchè ha già promesso il podere a qualche suo protetto" - commentavano in giro. Luìs era disperato, non voleva cedere. Per gli altri era anche una questione di rispetto di sè: in fin dei conti la legge è legge ma la terra è fatta per produrre, e chi produce non può perdere il prodotto del suo lavoro. E’ un diritto umano fondamentale. "Abbiamo due associazioni in regola, e l'Incra ha l’obbligo di chiedere a noi chi è che merita o non merita di stare nel nostro gruppo perché ha comprato terra solo per fare speculazione! Se permettiamo che portino via Luis, a quanti altri toccherà?" Sono rimasto con loro alcune ore, mi hanno ammesso perfino alla riunione di vertice per un accordo, ma all'ultimo momento il responsabile si è rifiutato di firmare. Avevo bisogno di rinforzi. Ad un certo punto sono tornato ad Itaberaì a telefonare: al Vescovo, ai colleghi preti, alla Commissione di Pastorale della Terra, ad amici altolocati di Goiania. Al tramonto sono ripartito per il campo di “battaglia”, questa volta accompagnato da Don Eligio Silvestri e da alcuni della Commissione diocesana. In nottata l'accordo è stato raggiunto, scritto in belle lettere da un avvocato e firmato da tutte le parti in causa. Decisioni: Luìs esce, ma conserva il diritto al raccolto e a fare ricorso. Le sue cose sono state portate nella sede dell'associazione, dove c'è posto per accamparsi fino alla soluzione della questione. Suo figlio può rimanere a curare il podere. Sotto sotto si intravvede una scappatoia inventata per accontentare greci e troiani: lo sfratto di Luìs è compiuto (così la legge è salva e il giudice non perderà la faccia), ma l'Incra, tra alcuni mesi, assegnerà ufficialmente l'appezzamento a suo figlio. Io sono contento soprattutto perchè è stata superata quella mentalità burocratica che faceva mormorare ad alcuni: "A chi tocca tocca, io faccio il mio lavoro, se lei non sa dove andare sono affari suoi...."


Penso che sia una fortuna potere ancora risolvere le questioni in questo modo. E’ il vantaggio dei luoghi arretrati e di campagna solitaria, dove la gente è pacata e sa dialogare e il buon senso non è meno importante della legge. Quanti abusi e soprusi soffre, in nome della legge, una persona del mondo globalizzato? Senza appello e senza poter muovere un dito? Siamo nel mondo del "ciascuno per sè e Dio per tutti (che è poi, in realtà, per nessuno). Lo si voglia o no, invece, il mondo è una comunità. Quando si tratta del diritto e della dignità di un essere umano, nessuno può dire: "Questo non mi riguarda" (invece è proprio così che facciamo tutti). Se lasci fare, domani potranno schiacciare te. Se si mette qualcuno in condizioni di star male, si sta tutti peggio. Se si aiuta qualcuno a stare bene, si sta meglio tutti. Se si depreda il pianeta, il danno è comune. Tutti per uno, uno per tutti. Sono questi i pensieri che dovrebbero ispirare chi fa le leggi, chi è incaricato di applicarli, chi sta nelle poltrone e negli uffici, nelle banche.....e anche all'altare. Costruiamo un mondo in cui ci sia un posto decente per tutti, invece di rimpinzare qualcuno che poi si chiude nella sua villa milionaria, si circonda di muri e barriere, e rompe l'anima a chi è rimasto ai margini dicendogli: "Io sono qui perchè sono più furbo di te". Invece la mamma di Luis, presbiteriana, continuava a ripetere: "Meglio lasciar perdere. Se è arrivato lo sfratto, è segno che Dio voleva così. Io ho fiducia in Dio: quando Egli ci chiude una porta, ce ne apre quattro". Chi scrive queste righe è convinto che Dio non fa le cose che ha incaricato noi di fare. Semmai dobbiamo chiedergli che ci aiuti a non mollare.


Nel finale, raccontata la storia, posso fare i ringraziamenti che mi proponevo. Addio e grazie a voi, amici di Vignola, Modena, Rimini, Benedello, Fiorano, e soprattutto Maserno, Iola, Castelluccio, Montespecchio, San Giacomo, Bertocchi, Salto e Montese. Per l'affettuosa accoglienza, per le ore passate insieme e per l'amore concreto con cui avete contribuito in modo risolutivo ai lavori di ampliamento dell'Asilo San Francesco di Itaberaì e ad alcune adozioni a distanza di bambini. Che voi siate capaci di amare e donare a favore di bambini e famiglie che nemmeno conoscete, è un miracolo che promette molto bene per il futuro dell'umanità. Che lo abbiate fatto anche per affetto e fiducia nei miei confronti, mi riempie di orgoglio però mi fa anche tremare: sento che è una responsabilità. Compierò puntualmente, e al più presto, quanto ho promesso. Grazie di tutto e, come dicono i brasiliani, che Dio vi restituisca tutto raddoppiato! Ma chiediamoci pure, davanti alla corruzione e all'egoismo che ancora dilagano nel mondo:"Alla fine, vincerà l'amore o l'odio? Che futuro ci aspetta?"

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