24 marzo 2008

LA PASQUETTA DEL PORCELLO



Se dovessi parlare della Pasqua non vi pubblicherei certo questa fotografia: ma voi, in Italia, oggi avete fatto la pasquetta e il pic-nic (magari in casa vicino al camino, per il freddo!), a base di panini al salame o prosciutto, ciccioli, porchetta, crescentine col lardo, gramigna con la salsiccia ed altre cose del genere. E allora via, un bel maiale non stona. Viva il porcello!

Sabato scorso sono andato nella fazenda di Joao Cardoso, una modesta chàcara vicino al Rio Urù, e vi ho trovato questo grosso maiale che vedete. Il bel porcellone è vestito come un monaco e fa una vita da eremita. Ha a disposizione un porcile spazioso e coperto, col pavimento di cemento lavato accuratamente ogni mattina dai padroni di casa. Inoltre gli è permesso di gironzolare in un mangueiro (traduzione: recinto per porci) ancora più vasto, comprendente una grande pozzanghera di acqua di sorgente (sarebbe un laghetto: il fatto che sia una pozzanghera è opera sua!) e un'area coperta di igname che produce patate in abbondanza, saporite e sostanziose. Lui esce, mangia a sazietà, e poi preferisce rintanarsi nel suo buco sotto il "paiol" (costruzione di legno, a forma di capanna, col pavimento di assi, che nelle case di campagna tradizionali serve come deposito delle pannocchie di granoturco). Si sente più sicuro e tranquillo in uno spazio ristretto, delle sue stessi dimensioni. In questi tempi di granturco maturo lo si può vedere, in certi momenti, sgranocchiare beatamente qualche pannocchia. E' così contento che sghignazza per conto suo. Si gode il dono della vita.

Nella fazenda di Joao Cardoso c'era un mutirao, che è un raduno di lavoratori rurali per aiutare un collega nei lavori di campagna, come erano le spannocchiate in ottobre, nelle nostre campagne (parecchio tempo fa). In questo caso stavano roçando i pascoli. Usano un falcetto piccolo col manico lungo come una zappa, e tagliano alla radice tutti gli arbusti che la stagione delle pioggie ha rinvigorito in mezzo ai prati. Corrisponde circa a quello che da noi si chiamava sterpare, noi lo si faceva nei castagneti. Queste manifestazioni sono belle da vedere e da sentire, fa piacere starci in mezzo anche se accadono nel Sabato Santo. La solidarietà non deve dispiacere a Gesù che ha aperto il suo e i nostri sepolcri: la gente che si aiuta, praticamente, dimostra di esserne già uscita. Dopo il lavoro, il padrone di casa offre una bella cena, con la gente seduta quà e là in ordine sparso col piatto sulle ginocchia, e poi via tutti a casa. Peccato, dicono loro, che il prete sia arrivato quando il lavoro era praticamente finito: è ovvio che io l'ho fatto apposta, so fare benino i miei calcoli. Tutti sanno come quei manici fanno presto a formare le sfioppole, e come quella piccola falce diventa pesante sotto il sole a picco....

Quest'anno, anche le celebrazioni della Settimana Santa le ho fatte quasi tutte in campagna. Sono stati giorni liturgicamente molto intensi, e sono passati in un battibaleno. Neanche il tempo di rimuginare, ma tanti interrogativi mi sono rimasti. ad esempio: perchè Gesù è risorto e noi siamo ancora così indietro nel cammino del Regno? Viene in mente il salmo 94, che noi preti leggiamo ogni giorno al mattino presto iniziando l'ufficio: "Per quarant'anni mi ha dato dei dispiaceri quella razza, e io ho detto: "E' un popolo traviato, il loro cuore non ha riconosciuto il mio cammino". Ora altro che quarant'anni, sono millenni! Come mai, con tanti milioni di cristiani che ci sono nel mondo, non abbiamo ancora costruito una società fraterna e giusta, accogliente per tutti? Perfino dentro alla Chiesa, nelle questioni interne, prevalgono ancora i criteri e i modi di pensare del mondo: calcolo dei soldi, ambizione, carrierismo, vanità, preferenza dell'interesse proprio invece del bene comune. Vi avviso subito che non ho la risposta a questa domanda. Se voi ce l'avete, mandatemela. Si sente subito che questa pagina è incompleta, bisognerà che ognuno se la completi da solo, se gli interessa.

E dopo la pasquetta pensate a quello che stiamo facendo ai maiali e ai polli. Io ci penso sempre. Il porcello della foto è fortunato: se si trovasse nei moderni allevamenti industrializzati, col cavolo che si godrebbe la vita. Sarebbe costretto a spendere tutti i suoi (pochi) giorni per soddisfare i calcoli del padrone. Avrebbe l'obbligo di produrre lucro. Quando faccio queste considerazioni sugli allevamenti di polli che quì, ad Itaberaì, abbondano, la gente mi dice: "Ma padre, gli animali non se ne accorgono neppure!" Credo che abbiano ragione. Il brutto è che anche noi viviamo allo stesso modo, come animali da allevamento, e non ce ne accorgiamo. Tutta l'economia umana è basata sull'investimento a fini di guadagno: ci fa desiderare ciò che produce, e lavorare per produrre ciò che desideriamo. Poi ci paga quanto basta a malapena per comprarlo. I nostri veri desideri, i nostri bisogni fondamentali, passano in secondo piano....O sbaglio?

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