29 marzo 2008
CAMPAGNA-CITTA' E CAMBIAMENTI GLOBALI
I preti italiani della mia generazione sono quasi tutti di origine contadina. Per noi è sempre un piacere ritrovarci in campagna, ed io ci vado spesso. Di giorno, e più ancora di sera: quasi quotidianamente c'è una messa da qualche parte. Nelle piccole proprietà rurali di Itaberaì, le case dei contadini hanno ancora un aspetto dimesso: un portico serve da cucina, è più comodo. Si può accendervi il forno a legna senza scoppiare per il caldo e senza respirare il fumo. Mi sono ritrovato con questa bella famiglia che vive in città e lavora un podere vicino al fiume. Quì gli unici che sono rimasti del tutto campagnoli sono i cani: il piccolino nero è timido come noi da bambini tanto tempo fa. Si affaccia dietro la sedia e sbircia, ma se lo chiami per giocare scappa e si nasconde o corre sulle ginocchia del padrone.
Itaberaì, in base ai numeri, é una società urbana: dei suoi circa 40 mila abitanti, 30 mila hanno l'abitazione in città. Tuttavia il comune ha 1300 Km quadrati di zona rurale, e questo significa che la maggior parte degli abitanti fa la spola tra il centro e la campagna. Per esempio i braccianti agricoli, i trattoristi, la mano d'opera specializzata e i meccanici. Generalmente gli stessi proprietari, anche piccoli, vivono le ore libere in città dove hanno i figli a studiare, ma lavorano i campi. Quanto alla cultura non fa molta differenza: la globalizzazione, oggi, ha raggiunto anche le campagne e la vita rurale non è più la stessa di venti anni fa. Si potrebbe dire che se è vero che la vita di città come queste è stata sempre un pò rurale, oggi anche la vita di campagna è diventata urbana: ci sono la televisione, l'automobile, i trattori, gli elettrodomestici, le motoseghe, i cespugliatori e tutto il resto. Di tradizionale resta il contatto con la natura, alcune abitudini e miti, e un modo di vivere meno affannoso e congestionato, che si fa sentire anche nel centro urbano per il suo intenso rapporto coi campi. Se c'è un posto in bilico tra passato e futuro (forse, ai nostri giorni, tutto il mondo lo è), è proprio questo. Siamo moderni o "post-moderni" anche nelle mode: si stanno costruendo ville a tutto spiano sulle rive dei fiumi più belli. Per trascorrervi il sabato e la domenica a mangiare e bere! Tagliano o bruciano il bosco ciliare e cementificano. Sono sorti interi villaggi, popolati solo per il week-end. Dal punto di vista estetico ed ecologico è uno scempio: "è il progresso", dicono. Chi può fare loro una colpa di perseguire un piccolo lusso che ora possono permettersi? Piuttosto, ci sarebbe da ridire sulle autorità che danno certe sciagurate licenze.
Le messe in campagna sono quasi sempre affollate, sebbene in luoghi poco abitati. Siccome si celebrano nelle case, i proprietari invitano gli amici di città. I fedeli sono quasi sempre gli stessi. La Chiesa cattolica ad Itaberaì ha una presenza forte e gode di notevole prestigio, ma non certo per la quantità di frequentatori delle messe. Se contiamo tutti i partecipanti alla celebrazione eucaristica di una settimana, potremo sommare nella migliore delle ipotesi 2 mila persone: meno del 10%, cioè un pò meno di tutte le altre chiese evangeliche messe insieme. Le quali hanno pochi "non praticanti": perchè gli evangelici hanno comunità piccole, con molti pastori e "obreiros" che controllano a vista (se non vai al culto e non paghi la decima - 10% del reddito - sei già sull'orlo dell'inferno). La buona reputazione di cui godiamo risiede quasi certamente nel fatto che anche i cattolici che vanno poco a messa (stragrande maggioranza) hanno molta fede, e quelli che ci vanno danno una buona testimonianza. Forse, un poco, anche perchè siamo una Chiesa dinamica, dalle posizioni forti e dalle numerose opere a favore del bene comune, soprattutto dei più poveri. O perchè noi preti stiamo in mezzo alla gente da pari a pari, non con arie di superiorità. Oppure altro, che ne so?
Le sfide per l'evangelizzazione nella cultura globalizzata si fanno sentire bene anche qui. Non nella stessa misura delle grandi città: leggete cosa scrive il graffiante teologo Josè Comblin a proposito di quelle: "Siamo in un mondo nuovo. La grande maggioranza dei battezzati non sa più nemmeno il Padre Nostro e ignora tutto della Chiesa. La vita è una folle corsa, da un'attività all'altra, per sopravvivere. La disorganizzazione sociale è tanta che le persone vivono come individui solitari, isolati, senza fiducia negli altri, senza relazioni umane stabili: a volte, nemmeno tra marito e moglie. La cristianità tradizionale, con il suo modo di vivere tipico, sopravvive solo in alcune familie all'antica. Ci saranno sempre alcuni rappresentanti del passato. Tuttavia essi non hanno più influenza nella società e sono soltanto dei rifugi ecclesiastici. Per i 5 milioni di abitanti dei condomini di San Paulo che significato ha la Chiesa? Per i 3 milioni di baraccati delle favelas, che significato ha la Chiesa? Quale potere le resta? Ciò che conta sono i missionari che sono riusciti a formare piccole comunità vive attraverso un rapporto di fratelli, una relazione di uguaglianza, senza ricorrere a nessun potere ecclesiastico". Posso dire, senza timore di sbagliare, che anche quì a Itaberaì, pur senza la vita frenetica e caotica delle metropoli, la sfida per l'evangelizzazione è analoga, se non proprio identica.
Il mondo è cambiato ovunque, e così si spiega perchè, da decine d'anni ormai, i teologi e pastoralisti scrivono libri su libri, e i Vescovi mandano documenti su documenti e ci chiamano a fare corsi su corsi, per aggiornarci sulla formula di evangelizzazione più adatta a ciascuna fase del cambiamento. Ma non ci teniamo dietro: ogni volta che esce un'idea pastorale nuova, la società è un passo più avanti e ne richiede un'altra. Forse l'unico metodo buono per tutte le situazioni è quello di Gesù: stare in mezzo alla gente da persone oneste e cristiani sinceri. "Uomini di poca fede, perchè avete paura?" diceva Lui, durante la tempesta. Tanto lo sapevamo che prima o poi tutto il sistema del passato doveva soffrire uno sconvolgimento: non è stato anch'esso responsabile di tanti errori ed orrori?
Per concludere vi passo una notizia politica: nei sondaggi il gradimento verso il governo di Lula, al secondo anno del suo secondo mandato, è salito al 58%. Non è da tutti! Siccome la gente "normale" guarda i risultati pratici, credo che sia segno che il potere acquisitivo è migliorato per una larga maggioranza. Lula è battuto solo dalla Chiesa, che gode di un gradimento superiore a 80%: lei, però è in un settore diverso! Ma chi è poi che fa i sondaggi, e a quale scopo, voi lo sapete? Io no.
Purtroppo il voto favorevole a Lula significa pure che l'entusiasmo per il benessere economico fa dimenticare facilmente la distruzione ambientale. Infatti il deforestamento, in questa fase del governo Lula, ha raggiunto livello mai toccati prima! In questi giorni dom Erwin Kräutler, uno dei Vescovi dell'Amazzonia più decisi nella difesa dei popoli della foresta e dell'ambiente, soffre ripetute minacce di morte: secondo Dom Tomàs Balduino, vescovo emèrito di Goiàs, hanno offerto quasi un milione di reali (400 mila euro) per la sua testa.
24 marzo 2008
LA PASQUETTA DEL PORCELLO
Se dovessi parlare della Pasqua non vi pubblicherei certo questa fotografia: ma voi, in Italia, oggi avete fatto la pasquetta e il pic-nic (magari in casa vicino al camino, per il freddo!), a base di panini al salame o prosciutto, ciccioli, porchetta, crescentine col lardo, gramigna con la salsiccia ed altre cose del genere. E allora via, un bel maiale non stona. Viva il porcello!
Sabato scorso sono andato nella fazenda di Joao Cardoso, una modesta chàcara vicino al Rio Urù, e vi ho trovato questo grosso maiale che vedete. Il bel porcellone è vestito come un monaco e fa una vita da eremita. Ha a disposizione un porcile spazioso e coperto, col pavimento di cemento lavato accuratamente ogni mattina dai padroni di casa. Inoltre gli è permesso di gironzolare in un mangueiro (traduzione: recinto per porci) ancora più vasto, comprendente una grande pozzanghera di acqua di sorgente (sarebbe un laghetto: il fatto che sia una pozzanghera è opera sua!) e un'area coperta di igname che produce patate in abbondanza, saporite e sostanziose. Lui esce, mangia a sazietà, e poi preferisce rintanarsi nel suo buco sotto il "paiol" (costruzione di legno, a forma di capanna, col pavimento di assi, che nelle case di campagna tradizionali serve come deposito delle pannocchie di granoturco). Si sente più sicuro e tranquillo in uno spazio ristretto, delle sue stessi dimensioni. In questi tempi di granturco maturo lo si può vedere, in certi momenti, sgranocchiare beatamente qualche pannocchia. E' così contento che sghignazza per conto suo. Si gode il dono della vita.
Nella fazenda di Joao Cardoso c'era un mutirao, che è un raduno di lavoratori rurali per aiutare un collega nei lavori di campagna, come erano le spannocchiate in ottobre, nelle nostre campagne (parecchio tempo fa). In questo caso stavano roçando i pascoli. Usano un falcetto piccolo col manico lungo come una zappa, e tagliano alla radice tutti gli arbusti che la stagione delle pioggie ha rinvigorito in mezzo ai prati. Corrisponde circa a quello che da noi si chiamava sterpare, noi lo si faceva nei castagneti. Queste manifestazioni sono belle da vedere e da sentire, fa piacere starci in mezzo anche se accadono nel Sabato Santo. La solidarietà non deve dispiacere a Gesù che ha aperto il suo e i nostri sepolcri: la gente che si aiuta, praticamente, dimostra di esserne già uscita. Dopo il lavoro, il padrone di casa offre una bella cena, con la gente seduta quà e là in ordine sparso col piatto sulle ginocchia, e poi via tutti a casa. Peccato, dicono loro, che il prete sia arrivato quando il lavoro era praticamente finito: è ovvio che io l'ho fatto apposta, so fare benino i miei calcoli. Tutti sanno come quei manici fanno presto a formare le sfioppole, e come quella piccola falce diventa pesante sotto il sole a picco....
Quest'anno, anche le celebrazioni della Settimana Santa le ho fatte quasi tutte in campagna. Sono stati giorni liturgicamente molto intensi, e sono passati in un battibaleno. Neanche il tempo di rimuginare, ma tanti interrogativi mi sono rimasti. ad esempio: perchè Gesù è risorto e noi siamo ancora così indietro nel cammino del Regno? Viene in mente il salmo 94, che noi preti leggiamo ogni giorno al mattino presto iniziando l'ufficio: "Per quarant'anni mi ha dato dei dispiaceri quella razza, e io ho detto: "E' un popolo traviato, il loro cuore non ha riconosciuto il mio cammino". Ora altro che quarant'anni, sono millenni! Come mai, con tanti milioni di cristiani che ci sono nel mondo, non abbiamo ancora costruito una società fraterna e giusta, accogliente per tutti? Perfino dentro alla Chiesa, nelle questioni interne, prevalgono ancora i criteri e i modi di pensare del mondo: calcolo dei soldi, ambizione, carrierismo, vanità, preferenza dell'interesse proprio invece del bene comune. Vi avviso subito che non ho la risposta a questa domanda. Se voi ce l'avete, mandatemela. Si sente subito che questa pagina è incompleta, bisognerà che ognuno se la completi da solo, se gli interessa.
E dopo la pasquetta pensate a quello che stiamo facendo ai maiali e ai polli. Io ci penso sempre. Il porcello della foto è fortunato: se si trovasse nei moderni allevamenti industrializzati, col cavolo che si godrebbe la vita. Sarebbe costretto a spendere tutti i suoi (pochi) giorni per soddisfare i calcoli del padrone. Avrebbe l'obbligo di produrre lucro. Quando faccio queste considerazioni sugli allevamenti di polli che quì, ad Itaberaì, abbondano, la gente mi dice: "Ma padre, gli animali non se ne accorgono neppure!" Credo che abbiano ragione. Il brutto è che anche noi viviamo allo stesso modo, come animali da allevamento, e non ce ne accorgiamo. Tutta l'economia umana è basata sull'investimento a fini di guadagno: ci fa desiderare ciò che produce, e lavorare per produrre ciò che desideriamo. Poi ci paga quanto basta a malapena per comprarlo. I nostri veri desideri, i nostri bisogni fondamentali, passano in secondo piano....O sbaglio?
19 marzo 2008
EUCARISTIA, CROCE, PASQUA DI RISURREZIONE.
Particolare del pannello sull'abside della cattedrale di Goiàs:non sono un intenditore di arte, ma so che questi pannelli (una serie che copre tutta l'abside) sono di notevole valore. Sono stati dipinti negli anni 80 da un pittore cileno che si chiama Cerezo, molto conosciuto e apprezzato internazionalmente (almeno da queste parti). Sotto la croce, le comunità cristiane spezzano il pane eucaristico, e imparano a spezzare tra loro anche l'altro pane, quello che alimenta il corpo. La spiritualità non è separata dalla vita: la lezione viene da Gesù, dalla sua fedeltà al Padre fino alla morte in croce. Per liberare l'umanità da ogni forma di oppressione, come spiegava il Vangelo di ieri.
Chiedo scusa ai lettori: il "postino" mi ha fatto questa segnalazione che io vi passo: "Ti segnalo un errorino nell'ultimo blog: Maximino Cerezo Barredo non è cileno, ma è un artista (e prete clarettiano) spagnolo".
Ieri sera, infatti, ci siamo riuniti anche noi in cattedrale, con il Vescovo e gli operatori laici, per la Messa Crismale e il rinnovamento del nostro impegno di presbiteri e discepoli. Appena possibile vi pubblicherò alcune foto che ho scattato nei momenti meno impegnativi del rito: c'era tutto il clero di Goiàs e nientemeno che due vescovi emeriti. A qualcuno interesserà vedere Dom Tomàs Balduino, ancora arzillo nonostante i suoi 86 anni: lo trovate nel sito www.bartimeo.nafoto.net.
La liturgia del Giovedì santo mi ha sempre affascinato: è il giorno in cui i riti mettono in risalto l'Eucarestia preceduta dalla lavanda dei piedi. La prima é il pane per noi deboli e fragili camminanti. La seconda è un vigoroso richiamo per tutti noi: Dio ci considera uguali e ci chiede di servire, non di innalzarci sopra gli altri. Noi siamo ambiziosi e vanitosi perfino nelle celebrazioni eucaristiche, figuriamoci!
L'Assemblea dei vescovi dell'America Latina, riunita nel maggio dello scorso anno ad Aparecida do Norte (Santuario nazionale situato nello Stato di San Paulo, ha iniziato il suo documento finale con questa coraggiosa dichiarazione: "Noi, come discepoli e missionari di Gesù, vogliamo e dobbiamo proclamare il Vangelo, che è lo stesso di Cristo. Annunciamo ai nostri popoli che Dio ci ama, che la loro esistenza non è una minaccia per l'essere umano, che Egli è vicino col potere salvatore e liberatore del suo Regno, che Egli ci accompagna nella tribolazione, che solleva costantemente la nostra speranza in mezzo a tutte le prove.Noi cristiani siamo portatori di buone notizie per l'umanità, non profeti di sventure.
La Chiesa deve compiere la sua missione seguendo i passi di Gesù e adottando i suoi atteggiamenti (cf. Matteo 9, 35-36). Egli, essendo il Signore, si fece servo e obbediente fino alla morte in croce (cf. Fl. 2, 8).Essendo ricco, scelse di essere povero per noi (cfr. 2 Cor. 8,9), insegnandoci il cammino della nostra vocazione di discepoli e missionari. Nel Vangelo abbiamo appreso la sublime lezione di essere poveri seguendo Gesù povero (cfr. Lc. 6, 20; 9, 58), e quella di annunciare il Vangelo della pace senza borsa o zaino, senza riporre la nostra fiducia nel denaro né nel potere di questo mondo (cfr. Lc. 10, 4 ss)".
Sono soltanto parole? Certo abbiamo visto molte volte la pratica tradire le parole, e lo abbiamo fatto anche noi. Ma la dichiarazione di volontà, in tempi come i nostri, è particolarmente importante. Perciò le lascio meditare a chi lo desidera, e mi fermo qui: facendo a tutti i migliori auguri di Buona Pasqua.
Vi aggiungo un video: la passione secondo Graziosi, artista di Savignano.
14 marzo 2008
PRIMA CHE L'AMORE FINISCA
Oggi vi offro il ritratto di Marianela Garcia, una delle nostre martiri di El Salvador assieme a Mons. Oscar Romero, di cui era amica. Ve ne parlo usando TUTTA la pagina che ho ricevuto dal "postino", che condivido pienamente.
“Berlusconi e la destra che egli ha portato al potere non sono che i figuranti italiani di una rappresentazione internazionale in cui, all’ombra di grandi parole come globalizzazione, modernità, mercato, una minoranza di appagati si fa il mondo a propria misura, lo permea, lo domina, lo presidia con le sue armi, tenendo a bada e abbandonando all’impotenza e alla morte la maggioranza degli inappagati, dei poveri, degli esuberi e degli esclusi”, lo scriveva qualche anno fa Raniero La Valle in una riflessione dedicata alla figura del sindacalista Sergio Garavini, e noi facciamo certo, con voi, gli scongiuri perché quel signore, così poco signore, non riesca a riportare al potere la sua destra, ancora più destra e fascisteggiante di un tempo. Ma La Valle aggiungeva anche una riflessione sulla maniera di essere e di agire nell’agone politico delle vostre sinistre e sulle loro divisioni, la cui ragione addebitava al fatto che esse “operano in uno spazio, quello geopolitico dell’Occidente, che nel suo complesso ha fatto la scelta di preservarsi, di crescere e di salvarsi da solo, e che, perduto il mito dell’universalità, fa secessione dal resto del mondo e si erge sopra o contro questo altro mondo in termini che sono oggettivamente imperiali o, in una illusoria pretesa di sicurezza, in termini di apartheid”. E sottolineava: “È questa separazione, questa frattura, che va sanata, è questa ricostruzione “costituente” dell’unità del mondo che deve essere oggetto della lotta politica”. E noi non si può che concordare. Un tempo si diceva “extra ecclesia nulla salus”. Che, inteso nel senso giusto, non può significare altro che non ci si salva da soli, ci si salva insieme, nella comunione con i poveri del mondo. Con le loro speranze e lotte, con il loro desiderio di vita. Noi speriamo che la sinistra (quale altro spazio per cristiani che si vogliano coerenti con l’annuncio evangelico della liberazione dei poveri?) nella campagna elettorale in atto e nella politica che le seguirà, se ne faccia avvertita.
Oggi (cioè ieri, 13 marzo - ndr) da noi, si fa memoria di una piccola grande donna che diede la vita per amore del suo popolo: Marianela García Villas, martire per i diritti umani in El Salvador.
Marianela era nata nel 1949 in El Salvador da una colta famiglia borghese di origine spagnola. Ed è in Spagna, a Barcellona, che Marianela viene mandata a studiare. Il collegio le offre l’opportunità di dedicarsi, oltre agli studi curricolari, anche ad attività di catechesi con i bambini di un quartiere di periferia. Lì, per la prima volta, la ragazza tocca con mano la vita di stenti e di privazioni cui molti dei suoi bambini e le loro famiglie sono condannati. Tornata in Salvador, Marianela si iscrive alla Facoltà di Diritto. Diventa sempre più consapevole della grave situazione di ingiustizia che regna nel Paese e cerca come può di studiarne e approfondirne le cause. Entra nell’Azione cattolica universitaria e successivamente nella gioventù democristiana, col desiderio di combattere l’ingiustizia strutturale che concentra la ricchezza nelle mani di pochi e lascia i più in balia della miseria. Nello stesso tempo si dedica gratuitamente alla difesa d’ufficio degli imputati più poveri. Nel 1975 è eletta all’Assemblea Legislativa. Nominata membro della Commissione parlamentare del “Benessere sociale”, assume come compito quello di indagare sui soprusi commessi dalle forze armate nei conflitti in atto tra contadini e militari. Sequestri, torture, eccidi diventano, ogni volta di più, cronaca quotidiana. L’azione di Marinela è volta al ripristino della legalità. Crea la Commissione per i Diritti Umani del Salvador, la cui finalità è di fare chiarezza sui fatti di sangue, creando inoltre un archivio dei desaparecidos. Marianela viene sequestrata, torturata, violentata e poi rilasciata. Riprende subito il suo lavoro, con immutata passione. Neppure l’assassinio di mons. Romero di cui era amica e collaboratrice, la fermano. Cresce ancor di più il suo impegno all’interno della Commissione: ora si dedica a documentare fotograficamente gli eccidi del regime, recuperare i cadaveri, ricostruirne le dinamiche di morte, ricomporli, fotografarli e seppellirli. Scaricata dalla Democrazia Cristiana che ormai appoggia la dittatura, con la speranza di andare al potere, il 13 marzo 1983, Marianela viene catturata, brutalmente torturata e uccisa dalle Forze governative nelle campagne del Salvador.
“Prima che l’amore finisca” (Ponte alle Grazie) è il titolo del bel libro di Raniero La Valle, da cui abbiamo attinto la citazione d’apertura. In esso l’autore dedica un capitolo anche a Marianela Garcia Villas, di cui era stato ospite ed amico. Qualche anno prima, con Linda Bimbi, ne aveva raccontato la storia in “Marianella e i suoi fratelli” (Feltrinelli). Scegliamo di chiudere questa nostra lettera con una sua riflessione sul significato della morte di Marianela. Che è per oggi il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Marianella ha incontrato la morte proprio per questo, per noi, per costringerci a uscire da una sensibilità epidermica verso i problemi del Sud del mondo che, sempre evocati, diventano una routine; i discorsi sulla fame, sulle malattie, sulla povertà nel mondo, ogni tanto riproposti dalle statistiche sempre più dolorose delle agenzie internazionali, diventano dei rituali, se non si traducono in presa di posizione politica, ben al di là dell’eventuale risposta assistenziale; il problema infatti è di capire quali sono i meccanismi economici, politici, di potere che producono, in modo consapevole e previsto, la fame, l’ingiustizia e l’oppressione, perché solo a questo livello la questione può essere affrontata. (Raniero La Valle, Prima che l’amore finisca).
10 marzo 2008
IL TEMPO CHE VOLA VIA
Sembra ieri, celebravamo il rito delle ceneri (vedi foto). E ora siamo già all'ultima settimana di quaresima. Lo so, questi sono i discorsi sciocchi da fare sulla porta del bar del paese, coi vecchietti come me (ma quì il bar ha uno stile diverso, io non ci vado mai...non c'è il caffè espresso!) L'ufficio divino, in vista della settimana santa imminente, ci propone una meditazione assai più profonda e inquietante: "Dio ha scelto ciò che il mondo considera debole per confondere ciò che è forte. Dio ha scelto ciò che per il mondo è senza importanza e spregevole, ciò che non serve a nulla, per mostrarci che ciò che consideriamo importante, in realtà, è inutile". E' un brano della lettera di Paolo ai Corinti (II cor. 1, 27-30, che ci prepara a vedere Cristo deriso e messo in croce e capire che non è come sembra. Sembra il fallito, ed è il vincitore; quelli che lo deridono sono i perdenti. Tutto al rovescio del modo di pensare umano. Imparassimo così, una buona volta, a non disprezzare noi stessi e quelli come noi: per infilarci tra le masse anestetizzate dalla propaganda, ad adulare e leccare i piedi ai presunti "grandi".
Oggi ho copiato dall'ufficio perchè non ho altro da dire. Sono stato impegnato con due giorni di riunione della Coordinazione Diocesana che mi hanno letteralmente steso a terra. Quanti argomenti, quanti problemi. Discorsi, opinioni, proposte, richieste... mi sono stancato da morire. Sono venuti a parlarci quelli della Pastorale della Terra, ci hanno spiegato in lungo e in largo le gravi problematiche ecologiche e ambientali del paese e della nostra regione. Chiedono ai preti un impegno per costituire altre equipe di pastorale e lanciare altre iniziative in difesa dell'ambiente. Di pastorali ce ne sono già tante! La situazione è grave, ma credo che non ci sia di meglio da fare che una novena di preghiera perchè Dio salvi la terra dai disastri prodotti dalla nostra economia....
Non dubito che anche il Vescovo sappia, che nessuno di noi è in grado di fare tutto quello che ci sarebbe da fare! Come dice la poesia, "passata la tempesta odo augelli far festa!" Non bisogna impressionarsi troppo. E' un vecchio vizio di tutti noi di andare alle assemblee pieni di tensioni per i mille problemi del mondo, ad esigere che "gli altri" facciano questo o quello. Oggi ci siamo, domani non ci siamo più, eppure crediamo di avere il diritto di caricarci a vicenda di obblighi. Solo sei mesi fa, quì a Goiàs, non ricordavano nemmeno che io esistessi. Perchè mai dovrei, ora, sentirmi responsabile e in obbligo di corrispondere a tutte le aspettative che saltano fuori? Sono venuto solo a dare una mano: di buon cuore farò quello che posso.
Intanto ieri sera la televisione trasmetteva una reportage approfondita sul turismo sessuale degli italiani a Fortaleza. Una storia assai squallida e indecente. La polizia ci lavora da anni, ormai, perchè è un vero traffico di schiavette minorenni... Concittadini, che figura ci fate fare?
5 marzo 2008
PANORAMA DI FINE QUARESIMA
Godetevi questa panoramica. L’ho scattata ieri, uscendo dalla città di Goiàs per tornare a Itaberaì. Sullo sfondo vedete, con le sue rocce, la catena della Serra Dourada, che la strada asfaltata attraversa per venire qui. Nel mezzo, il cerrado: una boscaglia rada che cresce tra le pietre. Abbiamo avuto molti giorni di pioggia ininterrotta e ora, col cielo nuovamente azzurro e il sole splendente, il verde è al massimo della sua bellezza. Mi piace mostrarvi gli aspetti migliori di questa terra! Le miserie non sono né poche né piccole, ma perché addossarne il peso a voi che siete già sotto pressione, anche troppo, per le guerre in oriente e i guai delle immigrazioni clandestine, delle “monnezze” del sud e della politica nazionale?
Forse uno dei maggiori intoppi dei popoli “ricchi” è che vogliono risolvere tutto con la legge. Vi racconto una storia vera: la Katia (chiamiamola così) è una bimba di undici anni (ma sembra una ragazza di venti). E’ scappata da casa perché il padre la violentava. E’ venuta qui perché c’era l’unica persona verso cui provava amore e in cui aveva fiducia: un giovane di quasi trenta, che vive in un accampamento di “sem-terra”. La gente dell’accampamento l’hanno accolta, hanno fatto una baracca per loro, e i due sono si sono messi insieme e vivono lì, in attesa di un pezzo di terra. Le donne mi hanno spiegato: “Padre, sempre meglio che costringerla a diventare una prostituta!” Hanno fatto collette per fornirli del necessario. Il Consiglio Tutelare dei Minorenni, dopo aver controllato che il giovane avesse un lavoro e si impegnasse a mandare la “compagna-bimba” a scuola, ha consentito. Non sarà la famiglia ideale, ma c’è speranza. Che i poveri siano comprensivi tra loro è già un grande passo verso la redenzione dell’umanità, no? Senza fare chiasso e disquisizioni sulla legge, che di solito si fa viva (tra gli esclusi) solo per toglierli dai piedi, mai per dare una mano.
Vanda, alcuni anni fa, scoprì che il figlio si drogava. Racconta: “Padre, fu un fulmine a ciel sereno. Sconvolse la mia vita. Oggi, quasi benedico quella tragedia, che per me fu un lungo periodo di passione. Ho lottato per salvare mio figlio, per convincerlo a cercare aiuto. Lo visitavo in prigione e lo incoraggiavo. Poi ho lottato assieme al Vescovo e alla Norma per dare inizio alla Chàcara Paraìso, dove lui è entrato. Nel frattempo mi sono accorta della mia vita, del mio rapporto sbagliato col marito. Erano 25 anni che lo servivo come una schiava, e ho visto che tutto era privo di senso tra noi e forse per questo mio figlio era finito così. Abbiamo preso delle decisioni. Dedico il mio tempo libero a salvare altri drogati e alcolatri. Sono un’altra donna. La mia vita è diventata vita. Credo che sia necessario passare per certe prove quasi insopportabili per svegliarsi e scoprire cosa significa vivere”.
Che pensieri ci suggeriscono questi fatti e comportamenti? Sul finire della quaresima, e prossimi alla Settimana Santa di passione e resurrezione di Gesù, per un cristiano potrebbero essere fonte di profonda riflessione: ma ciascuno faccia la sua, se gli pare. A me è venuto in mente che questa signora, la Vanda, ha capito che per seguire Gesù ci vuole qualcosa in più della morale borghese con cui giudichiamo gli altri e ci facciamo i fatti nostri. Parlo dell’impegno a costruire società in cui tutto, pane – sapere – dignità - lavoro – relazioni umane, eccetera – sia condiviso tra tutti, senza muri, separazioni, esclusioni. Il Dio di Gesù è un Dio che gli ha chiesto di dare la vita per liberare gli oppressi e creare un mondo fraterno. Lui ha obbedito fino al punto di essere processato ingiustamente, insultato, sbeffeggiato da tutta la città, inchiodato sulla croce come un delinquente! E’ andato fino in fondo. Non credo che gli interessi se celebriamo di fronte o di spalle, in latino o in italiano. E se diamo la comunione in mano o in bocca! Secondo me Lui sta pensando: “I miei discepoli hanno tempo da perdere e stanno a gingillarsi con questioni futili.
1 marzo 2008
ALBERI, VITA E MORTE
Trent'anni fa quest'albero viveva nel mezzo di una spessa foresta. E' stato fortunato, perchè quando il proprietario della terra ha deciso di disboscare per formare pascoli, le persone del ramo erano esseri umani che usavano accette e altri attrezzi manuali, e avevano tempo e stimolo per riflettere. Il padrone disse ai boscaioli: "Lasciate in piedi gli alberi più belli! Voglio un pascolo per il bestiame, non una landa deserta senza un'ombra!" Così lui continua ad offrire ore di ristoro ai buoi che si sdraiano alla sua ombra per ruminare, e un riparo ai nidi. Gli uccelli fanno festa ogni sera tra le sue fronde e vi si riposano nelle ore più calde. Gli alberi sono belli, accoglienti e privi di aggressività. Si muovono quasi in modo impercettibile, cercando pazientemente il cielo e la luce del sole.
Alcuni scienziati sostengono che le piante hanno cominciato a risanare l'atmosfera terrestre centinaia di milioni di anni fa, sostituendo l'anidride carbonica con ossigeno. Hanno preparato lo spazio vitale per noi, e da allora lo conservano. Non solo le piante maestose come quella della foto, ma tutte, anche la più invisibile e modesta, è preziosa per la vita umana. Tra gli altri pregi, contengono la maggior parte dei principi attivi che compongono le nostre medicine. Un lettore (o lettrice?) mi ha chiesto di dare informazioni sulla medicina popolare brasiliana. E' rimasta incuriosita dalla lettura di queste righe, ricevute dal "postino" in un messaggio:
"Il nostro Rafael è stato ricoverato la scorsa notte all’Ospedale São Pedro, con febbre altissima, dolori diffusi, vomito, senso di spossatezza. Noi crediamo di sapere che i medici non diagnosticheranno un bel nulla. Come è già successo altre volte. Invece, la diagnosi di dona Maria Rezadeira è di quelle che da secoli non trovano posto nei prontuari dei medici, ma è ben conosciuta dalla medicina popolare: espinhela caída. Bisognerà “benzer” con un ramino di fedegoso almeno tre volte. La formula la sanno loro, le “benzedeiras”, e dice più o meno: “Qui stanno le tre persone della santissima Trinità. Qui sta la carità e la virtù, questo figlio della Vergine Maria deve migliorare di ora in ora, di minuto in minuto, di giorno in giorno”. E tutto tornerà a posto. E dato che qui, in genere, i medici latitano, e quando ci sono, sarebbe meglio non ci fossero, è ancora il caso di affidarsi a dona Maria".
In questo caso non si tratta proprio di cura con le piante, anche se la "benzedeira" usa un rametto di fedegoso (pianta selvatica rampicante che produce chicchi simili al caffè ma assai più amari: un tempo era il caffè dei poveri). La benziçao" è un rito usato da santoni popolari (benzedor o benzedeira - rezador o rezadeira) che corrisponde a quello che da noi è chiamato "segnare": si usa comunemente anche in Italia, nonostante tutte le battaglie contro la superstizione. Anche quì si curano in questo modo le storte, il fuoco di santo antonio (herpes zoster) e altri dolori contro cui nessuna medicina è efficace. A Itapirapua avevo pubblicato la vita (dettata da lui stesso) di un anziano parrocchiano (Seu Felix), che era capace di scacciare i bruchi dalle piantagioni benedicendole con il segno della croce e l'aspersione con un rametto di pianta. (Credo di aver lasciato una copia di quel libretto a Maserno!) Passava ore a girare dentro ai campi di granturco! I fazendeiros lo ricompensavano autorizzandolo a raccogliere qualsiasi prodotto dei campi che gli servisse, e lo riportavano a casa in camionetta con ogni ben di Dio. Lui divideva in due parti e mi portava la mia metà dicendo: "Siccome sono doni di Dio, è giusto che io spartisca col parroco che mi dà la comunione!"
Il profeta Isaia annunciava che Dio avrebbe castigato l'Egitto per la sua superbia e idolatria che lo portava a disprezzare e opprimere i poveri: "Perfino i fiumi esaleranno cattivo odore e si esauriranno, e seccheranno i canali dell'Egitto. Le canne e i giunchi marciranno". (Isaia 19:6 ) E' una profezia che vale anche per noi. L'idolatria del denaro e del potere è un cammino di morte, sia per gli esseri umani che per la natura. Infatti ci stiamo arrivando. Mi sono tornate in mente le sue parole l'altra notte, mentre tornavo da una celebrazione eucaristica nella comunità di Còrrego Frio (alla lettera:ruscello freddo). E' una delle comunità rurali più lontane dal centro: il cammino è sterrato, e fangoso in questo tempo di piogge. Era quasi mezzanotte, e splendeva una luna quasi piena. Una bellezza! Tuttavia, intorno, c'era un fetore insopportabile. La strada attraversava quasi di continuo campi di canna da zucchero, che ormai ha sostituito quasi del tutto le coltivazioni di cereali perchè l'"affare" del bio-combustibile rende di più. Di notte gettano agrotossici sui canneti per proteggerli da insetti e funghi, e la puzza si spande per chilometri. Ove il canneto si interrompeva, c'erano allevamenti di polli. Puzza diversa, ma sempre puzza: quella di 25 mila polli spremuti in un capannone, ai quali non è concessa altra soddisfazione che mangiare e defecare. Quando, finalmente, siamo giunti a un tratto di foresta ancora naturale, la coppia di animatori di comunità che viaggiava con me ha esclamato esultante: "Questo bosco profuma ancora di bosco!"
Un agricoltore-pecuarista mi ha raccontato che, per colpa del veleno della canna da zucchero, affrontano problemi coi pascoli. Muoiono tutti gli scarabei (un tempo se ne vedevano a nuvole, di notte, attorno ai lampioni pubblici di Itaberaì): essi trasformavano lo sterco dei buoi al pascolo in tante palline e lo interravano. Svolgevano questo lavoro gratis, perchè pensavano ai propri interessi. Fa parte del loro ciclo di riproduzione. Sotto terra lo sterco marciva e diventava concime, e i loro milioni di buchi ossigenavano il suolo senza bisogno di arare. "Ora che gli scarabei sono rimasti in pochi - narrava il contadino - lo sterco rimane in superficie e impiega molto tempo a marcire. Forma attorno a sè una chiazza gialla di erba sbruciacchiata che rovina i pascoli". Non so se mi sono spiegato: per un allevatore di bestiame avere un pascolo rigoglioso è tutto! Quello che guadagnano gli industriali dell'alcool, lo perdono i produttori di carne e di latte. La natura non si vendica, come si suol dire, ma semplicemente fa quello che può e ha bisogno di rispetto.
Divertitevi: quì ci sono alcuni video sulla distruzione della foresta (per scegliere, lasciate scorrere il primo video fino alla fine).
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