Primo maggio: “Vai trabalhar, vagabundo....” era una canzone brasiliana dei tempi della dittatura militare (anni 64-84). Denunciava le condizioni umilianti del lavoro: il lavoratore era una specie di ignorante-marginale-ritardato mentale. Gli davano da lavorare solo per fargli un favore. Doveva solo lavorare e tacere. Appena possibile lo si mandava a casa. Oggi sono parole che si leggono tra le righe sulle prime pagine dei giornali italiani. Che tristezza! I brasiliani si preparano da giorni a fare presentazioni in tutte le piazze: spettacoli artistici, mostre fotografiche delle conquiste del lavoro, proposte sociali e politiche. Il lavoratore é protagonista numero uno dello sviluppo del paese. Il paese delle tradizioni cristiane e della repubblica fondata sul lavoro, secondo i giornali, dice ai lavoratori: “Vai a lavorare, vagabondo...” Ma io non ci credo. Sui giornali solo alcuni nomi dominano la scena: sempre gli stessi. Gli italiani non la pensano cosí!
E segni di vita: Francisco abita ad una decina di chilometri dal paese. Piccolo proprietario all´antica, usa ancora la carretta col cavallo come unico mezzo di trasporto. Peró ha la passione per la fotografia: possiede una di quelle compact di una volta, niente di digitale. Alcuni giorni fa la messa della sua comunitá rurale era in casa sua. Aveva incaricato suo figlio di scattare foto dei momenti piú emozionanti della celebrazione. Dopo la messa, chiacchierando mentre offriva ai partecipanti lo spuntino serale consueto dopo ogni incontro, gli chiedo: “Come mai le foto?” Mi risponde corto e schietto: “Padre, a me piace conservare i ricordi dei fatti importanti della mia famiglia. Dovrebbe vedere! Sa che conservo fotografie di vacche che avevo nella stalla venti o trenta anni fa?”
Si puó fare, tuttavia, una seconda ipotesi: i contadini e contadine devoti di cui sopra non sanno esprimere in linguaggio corrente il mistero pasquale, ma lo conoscono bene e ogni istante della loro vita é immerso in esso. Se no, perché farebbero chilometri a piedi, nel buio della notte, per ritrovarsi insieme a celebrarlo? Perché ogni volta ricordano uno per uno i loro malati, i loro morti e i loro compleanni? Credere nella risurrezione non é soprattutto sentirsi comunitá, sostenere e curare i malati e i feriti, aiutarsi, gioire insieme? Festeggiano la vittoria della vita sulla morte. Sinval e Lucia, la famiglia che ha ospitato la messa della comunitá di Cedro ieri sera aveva preparato una cena abbondante per tutti. In piena sintonia con la lettura del Vangelo, pur non avendolo letto prima: Gesú che incontra i suoi in Galilea, provoca una pesca abbondante e invita a mangiare insieme pesce alla griglia. Allora puó darsi che ancora oggi ci siano solo i sadducei a negare la risurrezione. I sadducei, in ogni tempo, non vogliono che la gente si ritrovi insieme e sia felice, ma che dipenda da loro e abbia paura.
Dicevo, prima, della necessitá di avere un profilo credibile. Gli apostoli soffrirono il fallimento e tentarono la fuga prima di ritornare, probabilmente pentiti e vergognosi, spinti dalla convinzione che si impossessó sempre di piú di loro giorno dopo giorno: “Non é morto. Dio non puó averlo abbandonato cosí. É stato troppo giusto e ha predicato un futuro di cui il mondo ha troppo bisogno: amore, condivisione, perdono, misericordia e compassione, sono il nuovo ordine che il Padre vuole. Cristo ci ha perdonati e ci aspetta per inviarci a continuare la sua opera”. Oggi noi ripetiamo queste cose come un copione scritto e imparato a memoria troppo facilmente, e non siamo allo sbaraglio come loro. Le parole rimangono, ma hanno perduto buona parte della loro forza. La stessa risurrezione non é piú una gioia e una speranza da vivere giá ora, a partire da questo momento, ma da rimandare a un luogo e un tempo indefiniti e molto lontani.
I Vangeli e gli Atti raccontano che Gesú si faceva vedere, parlava con loro, li incoraggiava. Questi libri del Nuovo Testamento furono scritti alcune decine di anni piú tardi. Erano la catechesi delle comunitá cristiane. Trasmettevano la fede cristiana ai neofiti, e spiegavano la risurrezione ricostruendo, ognuno a modo suo, i fatti come erano percepiti dalle comunitá. Non sono “storia” in senso stretto, ma dimostrano che i discepoli si erano sentiti chiamati a incarnare la sua presenza in sé stessi, e avevano dato inizio a un passaparola che aveva funzionato.
Ció che il Nuovo Testamento nel suo insieme, e soprattutto le lettere di Paolo, fanno intendere con assoluta chiarezza é che dalla fede nella risurrezione di Cristo scaturiscono cambiamento radicale di vita e la forza della testimonianza fino al martirio. La risurrezione segue la crocifissione, che segue la rabbia di chi non voleva il Regno dei cieli, che segue la predicazione di Gesú e la sua pratica, la tenerezza verso i piú deboli della terra. Quindi la fede nella resurrezione é sempre legata al coraggio del martire. É cosí anche per noi, oggi. Quando hanno ucciso Mons. Romero la gente, che credeva nella pace e nella fraternitá che egli proclamava scontrandosi con l´arroganza e la crudeltá del regime, ha cominciato a bisbigliare e poi a gridare: “Romero é morto, Romero vive”. Quí in Goiás é accaduta la stessa cosa quando hanno ucciso Padre Josimo Tavares, Padre Ezechiele Ramin, Padre João Bosco, il sindacalista Nativo, il laico Sebastião Rosa da Paz, l ´indio Galdino, piú recentemente suor Dorothi Stang e tanti altri.
Nei martiri-testimoni di oggi, come in quelli del passato e per primo in Gesú Cristo, Dio continua a irrompere nel mondo con la proposta di un nuovo ordine. É questo che bisogna trasmettere, ed é di questo che bisogna gioire con il cuore pieno di speranza. La risurrezione di Cristo, oggi, é molto presente nella liturgia soprattutto grazie agli interventi del Vaticano II. Ogni domenica, ogni messa sono La Pasqua di Gesú Cristo. É ancora poco esplicita nella vita personale di tanti cristiani e nelle nostre conversazioni e discorsi spiccioli; ambigua e talvolta incomprensibile, poi, nei criteri che sembrano ispirare le decisioni istituzionali. In poche parole, il mistero pasquale oggi sicuramente ancora si consuma, ma nel silenzio dei midia, nella generositá di chi dona la sua vita e nelle tragedie dei poveri: le televisioni, la stampa e le piazze sono piene di un altro tipo di potere e di gloria.
Ma per non ripetere sempre questo ritornello negativo, vi cito quanto scrive il mio solito autore J.A. Pagola: “So che non basta parlare di conversione della Chiesa a Gesú, benché ritenga necessario proclamarlo sempre di nuovo. L´unico modo di vivere in processo di conversione permanente é che le comunitá cristiane e ciascuno di noi credenti osiamo vivere piú aperti allo Spirito di Gesú. Quando ci manca questo Spirito, possiamo cadere nell´illusione di essere cristiani, ma quasi nulla ci distingue da quanti non lo sono; giochiamo a fare i profeti, ma, in realtá, non abbiamo niente di nuovo da dire a nessuno. Finiamo per ripetere spesso con linguaggio religioso le “profezie” di questo mondo”.
“La risurrezione di Gesú é per noi la ragione ultima e la forza quotidiana della nostra speranza: quella che ci incoraggia a lavorare per un mondo piú umano, secondo il cuore di Dio, e che ci fa sperare fiduciosamente nella sua salvezza”.
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