17 aprile 2011

LA VIA DELLA CROCE

Secondo il cardinale Tettamanzi arcivescovo di Milano “quelli che stiamo vivendo oggi sono giorni strani. I più dotti potrebbero dirli giorni paradossali. Ad esempio, per stare all’attualità: perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?» (dal Corriere).

Evviva l´Arcivescovo! Finalmente una parola chiara da qualcuno di quelli posti sul candelabro per fare luce: una parola con il sapore e il sapere del Vangelo . Dopo tanto sconcertante mutismo, accondiscendenza e ambiguitá.

Nella Settimana Santa noi cristiani rinnoviamo la memoria e, spero, l´impegno di discepoli dell´Innocente, Gesú Cristo, che invece accettó di essere giudicato e condannato.


Un giudizio e una condanna ormai inevitabili, che Egli affrontó per completare l´opera e non smentire sé stesso. Aveva liberato Lazzaro dalla morte, e per quest erano aumentate le adesioni alla sua “Buona Notizia”. La fama del guaritore che annunciava il Regno di Dio, un nuovo ordine che rovesciava i regni di questo mondo con le loro ingiustizie ed esclusioni, stava avvicinandosi pericolosamente alla capitale di Israele, centro del potere sacerdotale (del tempio) e del controllo imperiale. La classe dominante e le autoritá compresero la gravitá del pericolo e aspettavano solo l´occasione per eliminarlo. Scacciando i mercanti dal tempio nel periodo di maggiore afflusso, durante le feste di Pasqua, Gesú si consegnó definitivamente al boia. Potere del tempio e potere dell´impero non avevano alternative, e la loro macchina tritacarne entró in azione inesorabilmente. Vi propongo la lettura di un testo che tenta una approssimazione storica alla Passione di Gesú raccontata dai Vangeli, e potrá aiutare a capire la settimana santa nel suo lato meno rituale e piú vicino alla realtá umana di Gesú:

“Quelli che passano vicino al Golgota in questo 7 aprile dell´anno 30 non contemplano nessun spettacolo pio. Ancora una volta sono costretti ad assistere, in piene feste di Pasqua, ad una esecuzione crudele di un gruppo di condannati. Non potranno dimenticarlo facilmente durante la cena pasquale di questa sera. Sanno molto bene come finisce, normalmente, questo sacrificio umano. Il rituale della crocifissione esigeva che i cadaveri rimanessero nudi sulla croce per servire di alimento agli uccelli rapaci e ai cani selvatici; i resti erano depositati in una fossa comune. Rimanevano cosí cancellati per sempre il nome e l´identitá di quei disgraziati. Forse si agirá in modo diverso in questa occasione, poiché mancano solo poche ore all´inizio del giorno di Pasqua, la festa piú solenne di Israele e, tra i giudei, si era soliti seppellire in giornata gli esecutati. Secondo la tradizione giudaica, “un uomo appeso ad un albero é una maledizione di Dio”.

Com´é che Gesú vive questo tragico martirio? Che cosa prova davanti all´evidenza del fallimento del suo progetto del regno di Dio, all´abbandono dei suoi seguaci piú prossimi e all´ambiente ostile di quanti lo circondano? Qual´é la sua reazione di fronte a una morte cosí vergognosa e crudele? Sarebbe un errore pretendere di sviluppare una investigazione di carattere psicologico per entrare nel mondo interiore di Gesú. Le fonti non sono orientate verso una descrizione psicologica della sua passione, ma invitano ad avvicinanrci ai suoi atteggiamenti fondamentali alla luce della “sofferenza del giusto innocente” descritto in diversi salmi ben conosciuti dal popolo giudeo.

Tra i primi cristiani esiste il ricordo che, alla fine della sua vita, Gesú attraversó una lotta interiore angosciosa. Giunse perfino a chiedere a Dio di liberarlo da quella morte cosí dolorosa. Probabilmente nessuno sa con sicurezza le parole precise che Gesú pronunció. Per avvicinarsi in qualche modo a questa esperienza, ricorrono al salmo 42: nell´angoscia di questo orante odono l´eco di ció che Gesú puó avere vissuto. Contemporaneamente, associano la sua preghiera in queto terribile momento a forme di preghiera que essi stessi recitano e que provengono da Gesú: senza dubbio fu lui il primo a viverle nel profondo del suo cuore. Forse, all´inizio, non si riesce a determinare quando e dove Gesú visse questa crisi, ma ben presto il fatto fu situato nell´”orto del Getsemani”, nel momento drammatico in cui avverrá il suo arresto.

La scena é da spezzare il cuore. Immerso nelle ombre della notte, Gesú si addentra nell´”Orto degli Ulivi”. Poco alla volta “comincia a rattristarsi e a cadere nell´angoscia”. Poi si allontana dai discepoli e cerca, come é solito fare, un pó di silenzio e di pace. Immediatamente “cade al suolo” e rimane prostrato col volto a terra. I testi cercano di suggerire il suo abbattimento con diversi termini ed espressioni. Marco parla di “tristezza”: Gesú é profondamente triste, di una tristezza mortale: niente puó infondere gioia nel suo cuore; gli sfugge un lamento: “La mia anima é molto triste, fino alla morte”. Si parla anche di “angoscia”: Gesú si vede privo di protezione e abbattuto; un pensiero prese in lui il sopravvento: egli morirá. Giovanni parla di “turbamento”, Gesú é sconcertato, interiormente a pezzi. Luca mette in risalto l´”ansietá”: ció che Gesú prova non é l´inquietudine né la preoccupazione; é l´orrore di fronte a ció che lo attende. La lettera agli Ebrei dice che Gesú piangeva: “Mentre pregava gli scendevano le lacrime dagli occhi”.

Da terra Gesú comincia a pregare. La fonte piú antica raccoglie cosí la sua preghiera: “Abbá, Padre! Tutto é possibile per te; allontana da me questo calice, ma non sia fatto ció che voglio io, ma ció che vuoi tu”. In questo momento di angoscia e abbattimento totale, Gesú ritorna alla propria esperienza originale di Dio: Abbá. Con questa invocazione nel cuore sprofonda fiduciosamente nel mistero insondabile di Dio, che gli sta offrendo un calice cosí amaro di sofferenza e morte. Non gli occorrono molte parole per comunicarsi con Dio: “Tu puoi tutto. Io non voglio morire. Ma sono disposto a ció che tu vuoi”. Dio puó tutto, Gesú non ha dubbi. Dio potrebbe realizzare il suo regno in un altro modo senza bisogno di questo terribile supplizio della crocifissione. Perció gli grida il proprio desiderio: “Allontana da me questo calice. Non mettermela piú vicino. Voglio vivere”. Ci dev´essere un´altra maniera di compiere il progetto di Dio. Poche ore prima, accomiatandosi dai suoi discepoli, egli stesso stava parlando, con un calice tra le mani, della propria consegna totale al servizio del regno di Dio. Ora, nell´angoscia, chiede al Padre di risparmiargli quel calice. Ma é disposto a tutto, perfino a morire, se é questo che il Padre vuole. “Che si faccia ció che tu vuoi”. Gesú si abbandona completamente alla volontá di suo Padre nel momento in cui essa gli si presenta come qualcosa di assurdo e incomprensibile.

Che cosa c´é come panno di fondo di questa preghiera? Da che cosa nasce l´angoscia di Gesú e la sua invocazione al Padre? Lo affligge, senza dubbio, dover morire cosí all´improvviso e in modo cosí violento. La vita é il piú bel regalo di Dio. Per Gesú, come per qualsiasi giudeo, la morte é la peggior disgrazia, perché distrugge tutto ció che c´é di buono nella vita e non conduce ad altro che ad una esistenza oscura nello sceol. Forse la sua anima trema ancora di piú al pensiero di una morte umiliante come la crocifissione, considerata da molti come segno di abbandono e perfino di maledizione da parte di Dio. Ma c´é qualcosa di ancora piú tragico per Gesú. Egli morirá senza avere realizzato il suo progetto. Ha vissuto il dono di sé con tanta passione, si é tanto identificato con la causa di Dio, che ora la sua lacerazione é ancora piú orribile. Che cosa ne sará del regno di Dio? Chi difenderá i poveri? Chi penserá a quelli che soffrono? Dov´é che i peccatori troveranno accoglienza e il perdono di Dio?

L´insensibilitá e l´abbandono dei suoi discepoli lo fanno immergere nella solitudine e nella tristezza. Il loro comportamento gli rivela la dimensione del suo fallimento. Ha riunito attorno a sé un piccolo gruppo di discepoli e discepole; con loro ha cominciato a formare una “nuova famiglia” al servizio del regno di Dio; ha scelto i “Dodici” come numero simbolico della restaurazione di Israele; li ha messi insieme a tavola per trasmettere loro la sua fiducia in Dio. Ora li vede a un passo dal fuggire lasciandolo solo. Tutto crolla a terra. La dispersione dei discepoli é il segno piú evidente della sua sconfitta. Chi li riunirá piú, d´ora in poi? Chi vivrá al servizio del regno di Dio?

La solitudine di Gesú é totale. La sua sofferenza e le sue grida non trovano eco on nessuno: Dio non gli risponde, i suoi discepoli “dormono”. Catturato dalle forze di sicurezza del tempio, Gesú non ha piú dubbi: il Padre non ha ascoltato il suo desiderio di continuare vivo; i suoi discepoli fuggono in cerca della propria sicurezza. Egli é solo! I racconti lasciano intravedere questa solitudine di Gesú durante tutta la passione. L´attenzione degli abitanti di Gerusalemme e di quella moltitudine di pellegrini che riempie le strade non é rivolta a quel piccolo gruppo che sará esecutato nelle vicinanze della cittá. Nel tempio tutto é agitazione e indaffararsi. In queste ore, migliaia di agnelli sono sacrificati nel recinto sacro. Le persone si movimentano febbrilmente per concludere gli ultimi preparativi per la cena pasquale. Solo quelli che si imbattono sulla strada nel corteo dei condannati ou passano vicino al Golgota lo notano. Come é abituale nelle societá antiche, sono persone che hanno familiaritá con lo spettacolo di una esecuzione pubblica. Le loro reazioni sono diverse: curiositá, grida, beffe, disprezzo e uno o un altro commento di condoglianza. Dalla croce, Gesú percepisce probabilmente solo rigetto e ostilitá.
Soltanto Luca parla di un atteggiamento piú amabile e compassionevole da parte di alcune donne che, in mezzo alla moltitudine che osserva i condannati nel cammino della croce, si avvicinano a Gesú e piangono per lui.

D´altra parte, un gruppo di discepole di Gesú si trova sulla scena del Golgota “a guardare da lontano” perché i soldati non permettono a nessuno di avvicinarsi ai crocifissi salendo fino alla sommitá della montagnola. Ci sono riferiti i nomi di queste donne coraggiose che rimangono lí fino alla fine. Tutti gli evangelisti coincidono sulla presenza di Maria di Magdala, la donna che tanto ama Gesú. Marco e Matteo parlano di altre due donne: Maria moglie di Alfeo, madre di Giacono Minore e Giuseppe, e Salomé, madre di Giacomo e Giovanni. Solo il quarto evangelista fa menzione della “madre di Gesú”, una sua zia, sorella di sua madre, e “Maria moglie di Clopas”. Benché si sia detto frequentemente che la presenza di queste donne puó essere stata di conforto a Gesú, il fatto é poco probabile. Circondato dai soldati di Pilato e dagli incaricati dell´esecuzione, é difficile pensare che, durante la sua agonia, Gesú abbia potuto notare la loro presenza, obbligate com´erano a rimanere a distanza, sperdute tra le altre persone.

Probabilmente le prime generazioni cristiane non sapevano con esattezza le parole che Gesú puó aver mormorato durante la sua agonia. Nessuno era cosí vicino da poterle raccogliere. Esisteva il ricordo che Gesú era morto pregando Dio e anche che, alla fine, aveva lanciato un forte grido. Poco piú. Quasi tutte le parole concrete che gli evangelisti pongono sulle labbra di Gesú riflettono probabilmente le riflessioni dei cristiani, che poco alla volta vanno meditando piú profondamente sulla morte di Gesú a partire da diverse prospettive, accentuando diversi aspetti della sua preghiera: desolazione, fiducia o abbandono nelle mani del Padre. Non potendo ricorrere a ricordi concreti conservati dalla tradizione, ricorrono a salmi ben conosciuti nella comunitá cristiana, nei quali si invoca Dio da una situazione di sofferenza.

Dobbiamo, quindi, rassegnarci a non sapere nulla con certezza? Sembra abbastanza chiaro che il “dialogo” di Gesú con sua “madre” e con il “discepolo amato” é una scena costruita dal vangelo di Giovanni. Lo stesso dobbiamo dire del “dialogo” tra i due malfattori e Gesú, redatto quasi sicuramente da Luca. D´altra parte, provoca una certa delusione sapere che la preghiera forse piú bella di tutta la relazione della passione é testualmente dubbia.

Secondo l´evangelista Luca, nel momento in cui era inchiodato sulla croce, Gesú diceva: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Senza dubbio, fu questo il suo atteggiamento interiore. Lo era sempre stato. Egli aveva chiesto ai suoi di “amare i loro nemici” e “pregare per i loro persecutori”, aveva insistito di perdonare fino a “settanta volte sette”. Quelli che lo conobbero non hanno dubbi che Gesú morí perdonando, ma, probabilmente, lo fece in silenzio, o almeno senza che nessuno potesse udirlo. Fu Luca, o forse un copista del secondo secolo, colui che pose nella bocca di Gesú ció che tutti pensavano nella comunitá cristiana.

Il silenzio di Gesú durante le sue ultime ore é sorprendente. Tuttavia, alla fine, Gesú muore “lanciando un forte grido”. Questo grido inarticolato é il ricordo piú sicuro della tradizione. I cristiani non lo dimenticarono mai. Tre evangelisti mettono, inoltre, sulla bocca di Gesú moribondo tre parole diverse, ispirate in altrettanti salmi: secondo Marco (=Matteo) Gesú grida con forza: “Mio Dio, mio Dio! Perché mi hai abbandonato?” Luca, peró, ignora queste parole e dice che Gesú gridó: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Secondo Giovanni, poco prima di morire, Gesú dice: “Ho sete” e, dopo aver bevuto l´aceto che gli hanno offerto, esclama: “Tutto é compiuto”. Che cosa possiamo dire di queste parole? Furono pronunciate da Gesú? Sono parole cristiane che ci invitano a penetrare nel mistero del silenzio di Gesú, rotto solo alla fine dal suo grido sorprendente?

Non é difficile capire la descrizione che ci viene presentata da Giovanni, l´evangelista piú tardivo. Secondo la sua visione teologica, “essere innalzato in croce” é per Gesú “ritornare al Padre” ed entrare nella sua gloria. Per questo la sua relazione della Passione é la marcia serena e solenne di Gesú verso la morte. Non c´é angoscia, né spavento. Non c´é resistenza a bere il calice amaro della croce: “Il calice che il Padre mi ha offerto, forse che non lo berró?” La morte di Gesú non altro che il coronamento del suo desiderio piú profondo. Cosí lo esprime: “Ho sete”: voglio terminare la mia opera; ho sete di Dio, voglio entrare al piú presto nella sua gloria”. Per questo, dopo aver bevuto l´aceto che gli offrono, Gesý esclama: “Tutto é compiuto”. Egli é stato fedele fino alla fine. La sua morte non é la discesa allo sceol, ma il suo “passaggio da questo mondo al Padre”. Nelle comunitá cristiane nessuno lo metteva in dubbio.

É facile capire la reazione di Luca. Il grido angoscioso di Gesú, che si lamenta con Dio per il suo abbandono, é troppo duro per l´evangelista. Marco non aveva avuto nessun problema a metterlo sulla bocca di Gesú, ma forse qualcuno avrebbe potuto interpretarlo male. Allora, con grande libertá, lo ha sostituito con altre parole, secondo lui piú adatte: “Padre, nelle tue mani abbandono la mia vita”. Era necessario chiarire bene che l´angoscia vissuta da Gesú non avrebbe annullato in nessun momento il suo atteggiamento di fiducia e abbandono totale al Padre. Niente e nessuno aveva potuto separarlo da lui. Al termine della sua vita, Gesú si consegnó fiducioso a questo Padre che era stato all´origine di tutta la sua opera. Luca voleva che questo fosse chiaro.

Tuttavia, nonostante le sue riserve, il grido conservato da Marco “Eloi, Eloi, lema sabactani!” ossia “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato” é, senza dubbio, il piú antico nella tradizione cristiana e potrebbe rimontare a Gesú stesso. Queste parole, pronunciate in aramaico, lingua materna di Gesú, e gridate in mezzo alla solitudine e all´abbandono totale, sono di una sinceritá schiacciante. Se Gesú non le avesse pronunciate, qualcuno nella comunitá cristiana avrebbe osato metterle sulle sue labbra? Gesú muore in una solitudine totale. É stato condannato dalle autoritá del tempio. Il popolo non lo ha difeso. I suoi sono scappati. Intorno a lui ascolta solo scherni e disprezzo. Nonostante le sue grida al Padre nell´orto degli ulivi, Dio non é sceso in suo aiuto. Il suo amato Padre lo ha abbandonato ad una morte umiliante. Perché? Gesú non chiama Dio col titolo di Abbá, Padre, la sua espressione abituale e familiare. Lo chiama Eloi, “mio Dio”, come tutti gli esseri umani. Mio Dio! Dio continua ad essere il suo Dio nonostante tutto. Gesú non mette in dubbio la sua esistenza né il suo potere di salvarlo. Si lamenta del suo silenzio: dov´é? Perché sta zitto? Perché lo abbandona proprio ora, quando ha piú bisogno di lui? Gesú muore nella notte piú buia. Non entra nella morte illuminato da una rivelazione sublime. Muore con un “perché” sulle labbra. Tutto rimane, ora, nelle mani del Padre. (“Jesus” – aproximação histórica – de José Antonio Pagola, editora Vozes – pag. 466 e 476-484 – traduzione in proprio dal testo portoghese).

E noi, oggi, cosa possiamo fare? Dove sono il potere del tempio e quello dell´impero? Chi sono i condannati alla croce e i discepoli fuggiaschi? Inviate le vostre risposte....per completare questo post. E poi: BUONA PASQUA A TUTTI - e su http://youtu.be/51NQtzjBLIo potete seguire il video di Fabrizio de André, la via della croce.

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