6 marzo 2009

LA CRISI VISTA DA QUESTO ANGOLO

Vedete i nostri seminaristi minori, quelli che fanno ancora il "propedeutico". Il locale è il porticato del Centro Diocesano di Pastorale, dove sono intenti all'ufficio dei vespri insieme al loro orientatore (Padre Riccardo, il primo a sinistra), alla suora che dirige il Centro (prima a destra), e una ragazza che non conosco (forse si è unita al gruppo per aiutarli a mantenere i piedi per terra). Le vocazioni sono aumentate molto. Nel 67, quando arrivai assieme agli altri preti modenesi, a Goias c'erano tre preti diocesani, una ventina di stranieri e nessun seminarista. Oggi le proporzioni sono invertite, e anche quest'anno sono previste due ordinazioni. In questo campo non c'è crisi, almeno apparentemente. Ci sono, tuttavia, grandi cambiamenti nei criteri di selezione, nella preparazione, nel modo di essere e di lavorare dei nuovi preti. Tutto è in movimento e nessuno sa come sarà tra qualche anno.

Le Chiese Evangeliche Pentecostali continuano a moltiplicarsi e a fare adepti. Se guardiamo le proporzioni tra cattolici ed evangelici solo anagraficamente, sicuramente la Chiesa Cattolica sta perdendo terreno. Lasciando da parte le cifre e osservando gli aspetti essenziali della missione evangelizzatrice, mi sento di dire che camminiamo abbastanza bene, nonostante le moltissime lacune. Anche in questo campo tutto è in movimento, ci sono cambiamenti epocali in atto che dureranno ancora a lungo. I cattolici formano numerose piccole comunità centrate sul vivere insieme il Vangelo e scegliere Gesù Cristo come maestro di vita, senza buttare via indiscriminatamente il passato e senza rompere la comunione ecclesiale. Imparano a scegliere con fermezza la propria vita di fede e testimoniarla serenamente, accettando senza complessi di convivere con la diversità. Come scrive Nostro Tempo, complessivamente questa è una Chiesa viva che riesce ad essere visibile senza bisogno di essere arrogante.

Delle nuove chiese evangeliche non si può dire nulla che valga per tutte. Sono troppe, e diverse una dall'altra. In genere puntano molto sulla soddisfazione dei bisogni religiosi primari, sulle paure e insicurezze. La pubblicità radiofonica di una Chiesa, più volte al giorno, insinua: "Ti sei accorto che c'è qualcosa che non va nella tua vita? Tutto quello che intraprendi fallisce? Sembra che ci sia un malocchio che ti fa cadere addosso tutte le disgrazie e i malanni? Vieni da noi e troverai le soluzioni!" Altre pubblicizzano senza ritegno miracoli e miracoli.

Un giovanotto di Brasilia, fermo al distributore, mi dice: "Grazie a Dio ho preso una strada buona nella vita. Vivevo nel disordine, bevevo, mi divertivo in tutti i modi e perdevo il tempo. Ogni cosa che cominciavo era una sconfitta. Da quando sono entrato in questa nuova Chiesa, la mia vita va di vittoria in vittoria. Ora sono diacono e sto per diventare predicatore". Questo è uno dei prototipi comuni del mondo evangelico locale, fondamento del successo di queste chiese. Tanto che le signore cattoliche di un quartiere commentano: "Quì hanno aperto due centri in poco tempo, e sono sempre affollati. Le ragazze e i giovani passano di casa in casa due o tre volte la settimana a fare propaganda". L'altro prototipo è quello di alcune ragazzine che battono alla mia porta per vendere immagini sacre (comprese quelle della Madonna). Chiedo loro: "Quale Chiesa frequentate?" Risposta: "Spesso io vado alla Chiesa Deus è amor (evangelica pentecostale, ndr). Però, quando è aperta la Chiesa di San Francesco (cattolica, ndr), preferisco quella". In altre parole la gente sceglie la Chiesa più vicina e più disponibile. Tradotto in soldoni: cercano la Parola di Dio, la soluzione dei problemi della vita, una comunità amica. La crisi religiosa non esiste ma la teologia e i grandi progetti pastorali, per la gente dei quartieri, appartengono a un altro emisfero.

E la crisi economica? Mi dicono che in televisione se ne parla molto (io non ho la televisione in casa, perciò lo dico per sentito dire). Fra la gente, l'opinione più comune è che da noi non c'è. Abel, rivenditore di auto (non è il concessionario, ma uno che vende per lui e guadagna a percentuale), mi ha spiegato: "Qui abbiamo venduto di più quest'anno che l'anno scorso. La gente che ha cominciato a lavorare in questi ultimi anni o mesi, appena può compra una macchina. Siamo in crescita!" Però stamattina ho chiesto al sindaco, e lui ha detto: "In gennaio le entrate sono diminuite, e in febbraio ancora di più". L'economia di Itaberaì si regge, in gran parte, sul commercio e su due grandi imprese industriali: la "superfrango" che produce e abbatte polli (180 mila al giorno), e l'industria della canna da zucchero che va dalla produzione alla distillazione (le distillerie, per ora, sono nei paesi vicini). Se vanno in crisi queste due, sono dolori. Al di fuori di queste, restano le "fazendas", come una volta, ma con un'agricoltura ormai completamente meccanizzata.

Intanto la ditta che sta costruendo un immenso "macello-frigorifero" di carne bovina procede a rilento, e il progetto di distilleria di alcool è stato rimandato per mancanza di liquidità. Quindi la crisi c'è. Lula sostiene che il Brasile continuerà a crescere almeno del 2,5% l'anno, ma è un tipo di affermazione che, di questi tempi, può cambiare dalla sera alla mattina (in Italia anche più volte al giorno). Quello che è certo è che Lula ha completamente abbandonato la Riforma Agraria, che per il Brasile sarebbe l'asso di briscola per proteggere tanta gente dalla crisi. Milioni e milioni di ettari di terra sono ceduti ad imprese di agricoltura industriale legata all'esportazione e al mercato globale, quindi alla mercè della crisi, mentre milioni di famiglie, che potrebbero garantirsi la sopravvivenza e fornire alimenti sani ed economici ai mercati locali, sono lasciati a marcire negli accampamenti di senza-terra o nelle periferie delle città, come riserva di mano d'opera a buon mercato. C'è ancora chi pensa di emigrare, nonostante la gentilezza con cui sono accolti! Nel frattempo gli emigrati in Giappone, in Spagna e negli Stati Uniti stanno ritornando in massa perchè la cuccagna è finita.

La gente è entusiasta di Lula: ha spezzato le oligarchie che governavano da sempre il paese senza lasciare nessuna opportunità per i poveri. Per questo anche i sindacati e i movimenti popolari si sono appiattiti e stanno più col governo che con la gente. Lo stesso è accaduto, almeno in parte, anche con la Commissione Pastorale della Terra, che al suo vertice è ancora una voce profetica, ma, negli uffici sparsi per il paese, pare stia facendo quasi solo lavoro burocratico (o lavora in sordina). L'unico movimento ancora agguerrito è quello dei Senza Terra, che proprio per questo è preso di mira da continue campagne allo scopo di screditarlo. Forse molti non si sono ancora accorti che Lula, ormai, fa comunella con le vecchie oligarchie a cui aveva rubato il posto col voto popolare.

A giudicare dalle opinioni (per ora sono solo opinioni) del Magistero, la crisi è profonda, viene da lontano e durerà molto. Del resto io ne sentivo le previsioni da decine d'anni! Il bollettino della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani (CNBB), nell'analisi di congiuntura del novembre scorso, annunciava: "Prendiamo atto che questa è una delle 46 crisi che il capitalismo ha conosciuto dal 1790. Il G20 propone riforme urgenti che assicurino la governabilità dell'economia mondiale, con effettiva regolamentazione dei mercati finanziari. La midia passa questo messaggio tranquillizzante al grande pubblico, mentre le banche centrali agiscono nel senso di riequilibrare il sistema finanziario e restaurare la sua credibilità. In fondo, prevale lì la diagnosi che questa sia solo una crisi finanziaria, non una crisi dello stesso sistema capitalista. Per capire la gravità della crisi, bisogna considerare ciò che la teoria economica liberale considera (...) effetti non economici del processo economico, come i rifiuti, lo spreco di materie prime ed energia, la distruzione della bio-diversità, la degradazione dei suoli e delle acque e la degradazione umana - malattie, esclusione sociale e ribellione. Per aver trascurato questi danni nei suoi calcoli, la logica del profitto è riuscita a produrre una enorme quantità di ricchezza. Ma ora queste cose si rivolteranno contro il sistema e ne impediranno in funzionamento. La crisi attuale non è solo finanziaria: è una crisi ambientale, energetica e di umanità".

Continua il documento: "In una recente analisi per l'Onu, F. Houtart afferma che bisogna cambiare la logica stessa dell'economia, privilegiare il valore di uso invece che il valore di cambio. Questo significa definire diversamente l'economia: non più la produzione di un valore aggregato, fonte di accumulazione privata, ma attività che assicura le basi della vita materiale, culturale e spirituale degli esseri umani attraverso il mondo. In questa logica diversa il mercato serve da regolatore tra l'offerta e la ricerca, ma non a generare lucro per il capitale, perchè si tengono in considerazione i fattori ecologici e sociali. Privilegiare il valore di uso provoca la non mercantilizzazione delle cose indispensabili per la vita - sementi, acqua, salute, educazione - e il ristabilimento dei servizi pubblici; l'abolizione dei paradisi fiscali e del segreto bancario; l'annullamento degli odiosi debiti degli Stati del Sud; la formazione di alleanze regionali sulla base della solidarietà e complementarietà; la creazione di monete regionali; insieme ad altre misure a favore della multipolarità. La crisi finanziaria costituisce l'occasione unica de mettere in atto queste misure".

I Vescovi non hanno firmato questo documento, ma lo hanno ascoltato e lasciato pubblicare dalla commissione che elabora gli aggiornamenti per l'episcopato. Si può dire che, anche se non sono unanimi, essi hanno indicazioni serie da dare ai cristiani su come affrontare la crisi. Il problema è che non si pronunciano uniti e a voce spiegata, quindi trasmettono poca forza ai movimenti sociali e alle loro stesse pastorali sociali. Ormai la Chiesa schierata coi poveri è quasi senza voce. Non intendo dire, sia ben chiaro, che non si predichi e non si prendano iniziative di solidarietà e assistenza: si pratica l'aiuto fraterno, le iniziative si moltiplicano, la predicazione della solidarietà è continua e vivace, specialmente in quaresima. Ma quella voce, quella voce spiegata, che faceva udire a tutti il grido degli oppressi e che oggi dovrebbe amplificare le speranze di tanti in un "nuovo mondo possibile", è timida e quasi non si sente. Circolano gli articoli di teologi sul social forum mondiale. Se ne parla nelle giornate di studio diocesane e nei ritiri spirituali. Forse si aspetta il momento opportuno. Mettiamo che questo è il tempo in cui il chicco di grano sembra morire per poi risorgere.

Come potete notare, nemmeno io oso alzare il tono in queste righe: mi limito a constatare. Credo che tutti abbiamo capito cosa si deve fare, sia che si parta dall'ispirazione del Vangelo o da una semplice e terrestre passione per la giustizia e la dignità umana. Per alcuni aspetti sembra che lo sappia bene anche Obama! La proposta più bella che ci hanno fatto i Vescovi dell'America Latina riuniti ad Aparecida due anni fa, è questa: "Vogliamo essere una Chiesa Samaritana". Il Samaritano è Gesù, ed è anche ognuno di noi che rimanda, quando è necessario, l'orario del culto religioso per soccorrere chi è ferito ai bordi della strada. Lo fanno diverse diocesi e parrocchie italiane, costituendo fondi di aiuto ai disoccupati (l'ho letto sui giornali). Lo facciamo anche noi, nel nostro piccolo, organizzando fondi di emergenza. Aiutiamo un "Senza Terra" perseguitato per vie legali, dei carcerati che hanno bisogno urgente di intervento in un occhio o una gamba affetta da trombosi, alcuni accampamenti, gente che non ha più soldi per pagare la luce o la ricetta. Anche se non gridiamo, queste opere dovrebbero parlare da sole. Ma forse dovremo anche gridare, prima o poi! Il peccato che produce la crisi economica è conosciuto da migliaia di anni. San Gegorio Magno, in una omelia che fa parte della preghiera mattutina di questi giorni, citava San Pietro per ammonirci: "Vergognatevi voi, che tenete per voi stessi i beni degli altri; imitate la giustizia di Dio e non ci saranno poveri". E continuava: "Non diventiamo pazzi per accumulare beni e lasciarli di riserva, mentre altri impazziscono a causa della miseria, affinchè non cada su di noi questa censura amara del profeta Amos: "State attenti, voi che dite: "Quando finirà il mese affinchè possiamo vendere, e il sabato per poter aprire i nostri granai?".

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