31 marzo 2009

COME RICONOSCERE I DISCEPOLI


Una brutta sorpresa: Padre Pedro, monaco benedettino (secondo le convenienze dovrebbe essere chiamato Dom Pedro, ma lui preferiva essere chiamato familiarmente Pedrao), ci ha lasciati sabato scorso. Brutta sorpresa per noi, perchè per lui, forse, è stata buona. E' passato serenamente dai suoi esercizi di camminate e natazione richieste dal medico, e dalle sue ore e ore di preghiera, direttamente alla casa del Padre. Senza nemmeno il tempo di finire su un letto di ospedale. Pedro è stato una luce per tutti noi, nella Diocesi di Goiàs: per la sua dedizione alla preghiera, per il suo buon umore e per la sua capacità di mettersi accanto ad ogni persona come un amico. In passato ha lavorato per diversi anni nella pastorale, come parroco di Itapirapua. Più recentemente celebrava la Santa Messa nell'Asilo, come è chiamata la nostra "Casa della carità". In monastero quando non era in preghiera, dedicava il suo tempo all'atelier come scultore nel legno. Le foto di questo post mostrano lui al suo banco di lavoro e una delle sue sculture più antiche, quella del "roveto ardente", che era uno dei suoi temi preferiti. La sua mano esaltava la bellezza del legno seguendone e accentuandone le venature: le sue opere sono sparse un pò ovunque, perchè aveva visitatori da ogni parte del Brasile e dell'Europa.

Per farvi comprendere meglio Padre Pedro vi offro queste righe di Mario, il postino, nel suo commento quotidiano al Vangelo letto nella Comunità del quartiere in cui è situato il monastero: e la riflessione che segue, a partire dal Vangelo. Pierre Recroix era nato in Francia, il 14 novembre 1922, da Xavier e Irene Jackiot, da tempo residenti in Algeria, allora colonia francese. In Algeria, la famiglia visse fino al 1930, quando fece definitivamente ritorno in Francia. Nel giugno del 1944, Pierre entrò come postulante nel monastero benedettino di Madiran, dove fece la sua prima professione monastica il 3 ottobre 1945, e il 18 giugno 1950 fu ordinato sacerdote. Nelle comunità in cui passò, quella di Madiran, che si trasferì nel 1952 a Tournay, e successivamente, in Brasile, a Curitiba (dal 1960) e Goiás (dal 1977, in diaspora, e dal 1983, nel nuovo monastero dell’Annunciazione), Pedro seppe testimoniare la passione e la rigorosa disciplina del lavoro, prima nell’agricoltura e nell’allevamento, poi nell’atelier di scultura, la vita di preghiera, intensa e profonda, la prossimità e la dedizione alla gente. È morto improvvisamente oggi, 28 marzo 2009, alle dodici e trenta.



"All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: Questi è davvero il profeta! Altri dicevano: Questi è il Cristo! Altri invece dicevano: Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide? E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui” (Gv 7, 40-43). Bello scherzo che ci fa la liturgia a non dirci quali parole di Gesù suscitarono queste reazioni così disparate della folla! Era l’ultimo giorno della festa di Sukkot. Anche quella mattina, come nei sei giorni precedenti, una processione era scesa alla fonte di Gihon, la fonte che riforniva di acqua la piscina di Siloe. Lì un sacerdote aveva riempito d’acqua un’anfora d’oro, mentre il coro ripeteva: “Attingete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12, 3). Poi la processione aveva fatto ritorno al Tempio, attraverso la Porta dell’Acqua, cantando i salmi dell’Hallel. Salita la rampa dell’altare, il sacerdote aveva versato l’acqua in un imbuto d’argento, attraverso il quale essa scorreva fino a terra. Qui Gesù, in piedi nel cortile del Tempio, aveva gridato: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7, 37-38). Che, a molti dei presenti doveva essere suonato una pretesa blasfema.

Ma non a tutti. Il vecchio Pedro, per esempio, duemila anni dopo, a quel grido aveva prestato fede e su quella fede ha giocato tutta la sua vita. Fino ad oggi. Chi di voi è passato di qui l’ha conosciuto, Pedrão. Burbero e scherzoso ad un tempo, ha trascorso gli ultimi anni in una casettina di pietra di una decina di metri quadrati, senza luce, con acqua fredda, dormendo su una tavola di legno, svegliandosi quando era ancora notte e scivolando poi nell’oscurita fino a raggiungere la cappella, a struttura di capanna, dove, accovacciato a terra, riprendeva, in tutta libertà, i suoi dialoghi con Dio: “Pai, paizinho”, “Babbo, babbino” e doveva affidargli il mondo intero, e la sua gente, la chiesa, i suoi fratelli, il monastero, anche e soprattutto in tempi di oscurità totale, quando il sogno degli ultimi decenni poteva sembrava franare. Che fosse curvo sul suo banco di lavoro, Pedro scolpiva il legno straordinariamente, o che stesse camminando per le vie di questa città, o nuotando fedelemente ogni mattina per obbedire alle prescrizioni del medico, o, persino, dormendo, il vecchio monaco ripeteva, scandendolo sul battito del cuore e sul ritmo del respiro, il nome di Gesù e la preghiera del cieco del Vangelo: abbi pietà di me, peccatore. Fino ad oggi, appunto. Quando, terminando il pasto, mangiando un’arancia, ha detto a Ireneu, l’altro monaco di qui: è amara. E questi gliene ha porto un’altra. Il tempo di portarsene uno spicchio alla bocca e ha cominciato a tossire. “Ti è andata di traverso?” chiede l’altro. Ma lui ha cominciato a tremare. Ireneu gli fa: vado a chiamare qualcuno ed è uscito per telefonare. Tre minuti, forse quattro. Quando è tornato in refettorio, Pedro se n’era già andato. Il cuore e quel Nome. C’era da scommetterci che continuandolo a chiamare, Lui se lo sarebbe venuto a prendere. Ora starà già facendo baruffa con Filipe, che l’aveva preceduto di tredici anni nella casa del Padre.

Cari amici, ci avviciniamo rapidamente alla Pasqua e anch'io, in questo ambiente in cui ogni giorno, con diverse comunità ed equipes pastorali, preparo e rifletto su questa tappa fondamentale e finale della missione di Gesù, non posso fare a meno di collegare mentalmente le sue parole e il suo spirito di obbedienza al Padre, con la nostra vita ecclesiale di oggi così tormentata da divisioni. Lui ha detto: "Riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni agli altri". L'amore non è dare sempre ragione all'altro. Il contrario dell'amore non è il conflitto: chi, infatti, ha sperimentato il conflitto più di lui, Gesù? L'amore è vedere nell'altro un fratello e uno con cui vogliamo camminare fianco a fianco, anche quando ha idee diverse dalle nostre e quando non riusciamo a condividere ciò che dice e fa. Bisogna che usciamo dalla mentalità gretta e fredda del giudicarci e appellarci alla "legge". Altrimenti nessuno potrà riconoscerci come discepoli di Gesù. Pure noi stenteremo a riconoscerci. Recuperiamo la misericordia! Il Vangelo di ieri ce ne dava una solenne lezione: "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra" (Giovanni, 8, 7). Deponiamo i nostri sassi, di fronte a queste parole di chi si è lasciato inchiodare su una croce per indicarci il cammino.

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