4 ottobre 2008

FRANCESCO CHE PRESE IL VANGELO ALLA LETTERA

Mi dicono che in Italia l'inverno è in anticipo. Anche qui la stagione delle piogge. Piove già come se fosse novembre. Itaberaì ha fatto il bagno. Una pioggia abbondante senza tuoni e lampi, accompagnata da un venticello da far rabbrividire, è caduta per giorni e notti quasi di seguito. Gli agricoltori della "feira livre" (vedi foto) non demordono, anche se i clienti sotto l'ombrello si sono un pò rarefatti. Gli itaberini sono contenti. "A chuva è uma bençao", dicono: la pioggia è una benedizione. I più moderni dicono che questa è una stagione in cui si sta bene in casa. Gli antichi pensano che la pioggia che cade è quella che abbiamo chiesto a Dio, quindi vale la pena di prenderla anche in testa senza lamentarsi. L'altra mattina ho gridato a un anziano originale che se ne andava in braghe corte e scamiciato sotto un autentico diluvio: "Manoel, tu non hai paura di prendere il raffreddore, vero?" E lui in risposta: "Padre Chico, la pioggia è democratica e a me piace!"

L'inizio di ottobre conteneva due "memorie" di importanza straordinaria: Teresa di Lisieux e Francesco di Assisi. Al nome di ciascuno di questi due santi, è legata una chiesina di quartiere e la rispettiva comunità. La prima lettura della messa di Santa Teresa era un brano del libro di Giobbe. Mi ha colpito il commento di don Eligio alla lettura: "Anche noi come Giobbe, qualche volta, ci sentiamo sopraffatti da angoscia, dubbi e quasi disperazione. Non solo per le disgrazie personali, ma anche perchè i nostri sogni di giustizia, pace e fratellanza cadono a pezzi uno dopo l'altro nella vita quotidiana. Noi vediamo accadere il contrario di ciò in cui abbiamo creduto e per cui abbiamo lavorato. Però siamo cristiani. E allora andiamo avanti, trascinati dalla testimonianza di questi santi come Teresa e Francesco. Cerchiamo ugualmente di fare la nostra parte, di costruire, perchè crediamo che questa storia non finirà così miseramente: "E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio" (Giobbe, 19, 26).

Il suggerimento di don Eligio è pertinente, e conviene seguirlo. Fregiarsi del titolo di cristiani, tuttavia, non è garanzia di onestà nemmeno in Brasile. In questi giorni di campagna elettorale abbiamo avuto la percezione del commercio di voti. Anche alcuni candidati di primo piano della nostra parrocchia pare siano pronti a spendere milioni in propaganda, comprare voti, spargere diffamazioni contro l'avversario, fare promesse mendaci o, quantomeno, molto aleatorie. La cultura di un impegno politico dei cristiani ispirato al Vangelo e orientato al bene comune e alla pratica democratica nel senso più ampio, è scomparsa. Un decennio fa era forte nelle nostre comunità di base, e contribuì in modo determinante alla crescita del PT che ha cambiato il Brasile. Cambiato? Sì, molto. Col cambiamento, però, sono arrivati il benessere e il progresso. Come accadde al popolo di Israele che, giunto sulla terra promessa, dimenticò gli impegni presi con Dio durante la traversata del deserto, così anche qui....

Brutti tempi! In Italia i ragazzi pestano i cinesi e i ghanesi: una mentalità tribale che credevamo di avere superato. In Bolivia un sondaggio denuncia un'alta percentuale di razzismo, in Amazzonia prospera il commercio di donne, eccetera. Qui ci vuole un San Francesco, con la sua pazzesca testimonianza di discepolo di Gesù "alla lettera". Riaccese la fede del popolo nell'Italia delle cattedrali, dei ricchi ambiziosi e gaudenti e dei poveri abbandonati a sè stessi. Egli scosse molte coscienze intorpidite. Chi si candida? Sto quasi sempre in mezzo a gente umile che lotta per un pezzo di pane ed è molto sensibile alla Parola di Dio e a figure come questo santo. Ho celebrato la messa della festa con loro, questa sera. Eppure anche lì, molti giovani sono smarriti dietro alla droga e ad altri surrogati di felicità. Se ne vedono intere bande in ogni angolo del quartiere, giorno e notte, magari radunati intorno a una vecchia auto con il mangianastri al massimo del volume. Sono in giro apparentemente senza una meta, come gruppi a sè stanti, con lingua e costumi propri. Forse uno scopo ce l'hanno, chissà? O girano solo alla larga da chi vuole metterli al guinzaglio, ma uno ce l'hanno già al collo. Avvicinarli è più difficile che volare in aereo ad un altro continente. Dev'essere anche perchè noi, evangelizzatori, non viviamo il Vangelo abbastanza per provocarli alla riflessione: e la TV non mostra certo di meglio. Credo che documenti, strategie pastorali e lezioni di morale non gioveranno loro.

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