29 giugno 2008

BUONE VACANZE ESTIVE!


Da oggi anche il bartimeo3 va in ferie. Ho tergiversato a lungo su quale immagine usare per il commiato. Il mio massimo desiderio era di trovare qualcosa che trasmettesse un pò di ottimismo e facesse entrare nel cuore e nella mente dei lettori un raggio di luce, perchè di buio ne abbiamo già visto abbastanza. Dovendo, però, anche essere un poco coerente e sincero, ho optato per queste due fotografie. Esse rispecchiano gli estremi di una realtà disuguale. Il profilo della città di Goiania, capitale del Goiàs: dove spiccano i palazzi del potere economico e politico, le banche e le imprese commerciali (cliccate sulla foto per ingrandire, perchè è offuscata dall'inquinamento dell'aria urbana). Un accampamento di Senza Terra, sul ciglio di una strada, in stato di abbbandono ed emarginazione completa. Una ingiustizia che grida come Bartimeo!


I senza-tetto che occuparono nei giorni scorsi un'area lottizzata di Itaberai e furorono scacciati con l'uso della polizia, non hanno ottenuto niente. I senza-terra accampati sulla strada Itaberaì-Itapuranga (cento famiglie) attendono da due anni senza vedere la fine delle loro sofferenze. Il processo di Riforma Agraria è fermo. Sono tempi duri per i gruppi organizzati. Giovedì sera sono andato a visitarne uno: l'accampamento Paulo Farias, 52 famiglie. Si trovano a una decina di chilometri da qui. Una signora giovane con una bimba di due anni ha detto: "Noi dobbiamo assolutamente andare via. L'acqua del pozzo sta finendo, e siamo solo all'inizio della stagione secca. Di giorno si brucia sotto i teloni di plastica, e di notte fa freddo. Non voglio far crescere la mia bimba in questo posto. E' una vita troppo dura. Bisogna che andiamo sulla terra. Riforma agraria o no, ci accampiamo là, nella fazenda, dove almeno ci sia l'acqua pulita e uno spazio per piantare ortaggi e allevare qualche pollo". Il responsabile dell'accampamento ha confermato: "Siamo ai bordi di una strada statale, ma nessuno si ferma. Non diamo fastidio a nessuno, perciò nessuno si muove nè contro di noi nè a nostro favore. Le autorità ci ignorano. La gente ci ignora. Non ci viene a trovare nessuno, tranne lei e un giovanotto della borgata quì vicino. Il comune non ci dà nemmeno l'assistenza medica! Ho presieduto altri accampamenti in località diverse, e non ho mai visto una città così displicente verso gli accampati. Purtroppo, se non si invade la terra o almeno gli uffici dell'Incra (Istituto Nazionale Colonizzazione e Riforma Agraria), non si ottiene nulla".


Negli anni scorsi è' stato detto e ripetuto: "Siamo in democrazia. I diritti devono essere rivendicati e ottenuti per vie legali e pacifiche". E in chiesa abbiamo gridato: "Terra e giustizia, senza paura e senza violenza". Il Movimento Senza Terra (MST) utilizzava le occupazioni illegali e la lotta di classe. Allora questi qua hanno fondato il Movimento Lavoratori Senza Terra (MLST), che non fa le occupazioni e non ha ideologie classiste, ma segue solo, pragmaticamente, le vie legali. Che cosa hanno ottenuto? Solitudine, abbandono e indifferenza. Ci sarebbe molto da dire, ma oggi compio il 44mo anno della mia ordinazione: perciò non voglio insistere su questo dato negativo.

A stare a quanto si dice, problemi ancora più grossi sono in arrivo perchè la torta sta diventando più piccola. Perchè pensare al domani? Ad ogni giorno la sua pena. Per il momento godetevi le vacanze al mare. Buona estate a tutti, e arrivederci a settembre. Sotto, potete godervi (se vi piace) un video che presenta Goiania, capitale dello Stato di Goiàs.

26 giugno 2008

LA GUERRA DEL PANE


La foto è di un gruppo di bambini del Reforço escolar di Itaberaì, fondato e diretto da Padre Maurizio. Cominciano le vacanze di luglio. In questo momento il Reforço (Doposcuola) e l'Asilo San Francesco stanno facendo la loro festicciola di commiato. Le scuole pubbliche di Itaberaì l'hanno fatta ieri, partecipando alla tradizionale "Festa do peao" (il peao è il cow boy brasiliano), una grande sfilata a cavallo che si è conclusa con una messa campale. La gente partecipa in massa, e si diverte moltissimo con queste cose. Ho visto ragazzotti e ragazzine eccitatissimi a cercare in prestito selle, briglie e altri finimenti, e a chiedere aiuto per sellare e montare il loro cavallo perchè sono pochi ad avere ancora familiarità con queste faccende. Tutti vogliono partecipare. E' un fenomeno interessante. Pochi anni fa la vita del peao era la dura realtà di molti lavoratori rurali, ed era disprezzata quasi come ultimo gradino della scala sociale. Oggi è oggetto di nostalgia e di animatissime feste popolari a cui partecipa gente di ogni classe sociale. Eccita l'immaginario popolare. E' un pò come la polenta (e altri cibi) in Italia: quando la gente la mangiava perchè non aveva altro, era una porcheria da poveracci. Adesso è un lusso, e molti la vanno a cercare nei ristorantini di campagna...Sarà che la povertà, in fondo in fondo, ha il suo fascino?



Nel frattempo economisti, sociologi e altri studiosi di ogni campo, ci informano che il tempo delle vacche grasse volge al termine. Dicono che sono tre i problemi più grossi del momento e dei prossimi anni: l'aumento dei prezzi del cibo, la rapida e indiscriminata devastazione ambientale con ripercussioni sempre più pericolose sul clima, e la conseguente migrazione forzata (dalla miseria) di immense moltitudini. Non sono problemi che affliggono solo l'Italia o il Brasile, ma tutta l'umanità. Qual'è la causa o quali sono le cause? "75% della ricchezza nazionale è concentrata nelle mani del 10% della popolazione", scrive un giornalista brasiliano. E così è in tutto il mondo, più o meno. Dall'Italia Paolo Ricca, pastore della chiesa valdese, ha scritto una bella pagina titolata "La guerra del pane" di cui vi propongo la lettura. E' una sfida enorme, perchè è noto a tutti che solo la solidarietà può aiutare il mondo a ritrovare la via del benessere e della pace, ma la solidarietà scarseggia: se ci fosse, questi problemi non esisterebbero nemmeno!



“Siamo stanchi. Abbiamo fame, tutto è diventato caro. Chiedo a tutte le donne di rovesciare le pentole e di fare, tutte le sere, un concerto con le pentole” - con le pentole vuote - propone una madre di famiglia senegalese. È il 31 marzo 2008, è in corso una marcia contro l’alto costo delle derrate di prima necessità. Proibita dal prefetto di Dakar, la manifestazione è stata duramente repressa dalla polizia, alla quale sono comunque occorse diverse ore per disperdere i manifestanti. Le “sommosse della fame” sono ormai ricorrenti in Africa. In Egitto, il governo sovvenziona il pane e lo fa distribuire dall’esercito. Ma l’Africa non è il solo continente a essere penalizzato dall’aumento del prezzo dei cereali, che rischia di affamare cento milioni di persone. Ad Haiti, la base dell’alimentazione dei più poveri è il riso, e il sacco di riso di 50 chili è passato, in una settimana, da 35 a 70 dollari: le manifestazioni di protesta hanno già provocato cinque morti. Altre manifestazioni si sono avute recentemente in Indonesia e nelle Filippine. 33 Paesi (secondo altre fonti 37) sono in preda a disordini sociali a causa del forte aumento dei prezzi alimentari e del petrolio. Sul mercato il prezzo del grano è aumentato del 130% in un anno.

Perché il prezzo dei cereali ha avuto un’impennata così impressionante? Le ragioni principali addotte dagli esperti del settore sono tre. La prima è l’incremento della domanda di cereali legato al boom degli agrocarburanti, cioè dei cereali utilizzati per produrre carburante. Le grandi compagnie che fabbricano questo prodotto (il bioetanolo) negano che esso sia “il principale responsabile” dell’aumento dei prezzi degli alimentari. Ma, anche se non è il principale responsabile, è certamente corresponsabile dell’aumento. È un fatto che una quantità cospicua di mais e germogli di soia venga sottratta all’alimentazione e destinata alla produzione di biocombustibili. La seconda ragione sono i cattivi raccolti dovuti a problemi climatici collegabili, almeno in parte, al crescente inquinamento dell’atmosfera. La terza ragione è la crescita economica dei Paesi emergenti che ha sensibilmente modificato le loro abitudini alimentari. L’umanità mangia di più, e soprattutto mangia più carne. I cinesi, ad esempio, ne hanno consumato nel 2005 cinque volte di più che nel 1980. Ma per produrre un chilo di pollame servono tre chili di cereali, e più del doppio per ottenere un chilo di carne bovina.

Che dire di tutto questo? La terza ragione indicata induce a un’amara riflessione, che è questa: il miglioramento del livello di vita e di alimentazione di un popolo provoca (insieme ad altri fattori) un forte aumento della domanda e quindi del prezzo dei cereali, che le popolazioni più povere non possono sostenere. È il noto processo per il quale il maggior benessere degli uni determina il maggior malessere degli altri. La mia ricchezza è la tua povertà. La mia opulenza è la tua miseria. La mia fortuna è la tua sventura. Non è dunque vero quello che spesso si ripete, e cioè che là dove uno si arricchisce, si arricchiscono anche molti altri. È vero invece che molti altri si impoveriscono.

Ma il problema maggiore sembra essere un altro, e cioè che in tutta la questione sono gli interessi economici a farla, come al solito, da padroni: la domanda crescente di cereali fa lievitare il loro prezzo, e li si utilizza per qualunque uso, anche per produrre carburante anziché pane, che diventa in certi Paesi merce rara e troppo cara per i poveri. Così certi Paesi (i nostri) avranno pane e carburante, altri non avranno né carburante né pane. Ma nel Padre Nostro diciamo: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" - cioè chiediamo pane, non carburante, perché senza carburante si può vivere, ma senza pane no. Al primo posto ci dev’essere il pane: non è un caso che la prima richiesta del Padre Nostro che riguarda noi creature umane sia quella del pane, che precede persino quella del perdono.

E, a questo proposito, possiamo fare due osservazioni. La prima riguarda il fatto che nella preghiera che Gesù ci ha insegnato il pane è detto "nostro", non "mio". Non posso chiedere a Dio solo il mio pane, senza chiedere il tuo, proprio perché il mio pane non può essere quello che ti è stato sottratto, il pane che tu non hai più perché i cereali che dovevano servire per farlo sono invece stati utilizzati per fabbricare il mio carburante. Non posso permettere che il mio bisogno di carburante venga pagato privandoti del pane che Dio ti ha dato. Non posso permettere che io mangi da solo il pane che abbiamo chiesto come "nostro", cioè mio e tuo. La seconda osservazione è che il pane, nella nostra cultura, rappresenta la vita. Privare qualcuno del pane o renderglielo inaccessibile significa attentare alla sua vita e, al limite, togliergliela. Le decisioni degli organismi che governano il commercio dei cereali, il cui prezzo è aumentato in maniera vertiginosa, anche se possono sembrare ragionevoli perché corrispondono alle implacabili “leggi del mercato”, costituiscono in realtà un attentato alla vita di milioni di esseri umani, e sono quindi, a ben guardare, operazioni omicide".

21 giugno 2008

LA FESTA DEI RACCOLTI


Nella foto: Oggi sono partiti in pulmann una trentina di pellegrini di Itaberai: un gruppo assai sparuto, per la verità.
Non si vede l'entusiasmo che ci dovrebbe essere, perchè ormai il modo di vivere globale ha reso marginale e quasi invisibile il mondo contadino, che esiste ancora ma resiste solo nelle feste di campagna. (Ieri notte ho celebrato 4 battesimi in una sperduta casa rurale e l'entusiasmo era alle stelle!). Vanno a Ceres, alla FESTA DA COLHEITA, ossia la festa dei raccolti. Sono giovani figli di piccoli agricoltori e contadini senza terra (accampati) di tutte le parrocchie. La forma di pellegrinaggio accentua la spiritualità della festa, che lega la fede grata per i doni di Dio, all'amore per la terra e all'affettuosa accoglienza degli immigranti. E' una festa Diocesana, quindi è presieduta dal Vescovo Mons. Eugenio Rixen. Il tema è: "Terra, acqua e migrazioni", il motto: "Vita abbondante per i piccoli della terra".



La città di Ceres è particolarmente indicata per questa celebrazione. Cittadina di 30 mila abitanti situata all'estremo nord della Diocesi, deve il suo nome alla scelta dei primi colonizzatori che lo presero in prestito dall'antica divinità romana protettrice delle messi. Quella regione, infatti, fu colonizzata ad opera del maresciallo Candido Rondon agli inizi del novecento. Rondon è stato uno degli uomini più amati del Brasile: oggi è quasi dimenticato. Fu pioniere di un progetto di rispetto e protezione degli indios (il suo motto era: "morire, piuttosto: uccidere mai!"). Nello stesso tempo, si dedicò a chiamare contadini poveri del litorale verso l'interno, per migliorare le loro condizioni di vita e popolare ampie aree vuote di questo immenso paese. I primi coloni di Ceres rimasero stupefatti per la straordinaria fertilità della regione, che produceva cereali con grande facilità e in abbondanza.



Da qualche anno la nostra Diocesi di Goiàs ha ricreato questa festa. Nella tradizione biblica, è una delle più antiche tra quelle legate alla storia della nostra fede ebraica-cristiana. La festa dei raccolti, infatti, più che all'americano "Giorno del ringraziamento" col suo tradizionale tacchino, corrisponde alla FESTA DELLE CAPANNE, istituita ai tempi di Mosé (vedi i libri biblici Levitico 23, 33-44 - Numeri 29, 22-38 - e Deuteronomio, 16, 13-15). E' una festa che sembra fatta a pennello per la nostra situazione mondiale di oggi. Essa ne sottolinea, infatti, tutti gli aspetti. 1) Valorizzare la terra e i suoi frutti: "Voi prenderete i frutti degli alberi migliori, taglierete rami come ornamento, rami di palme, rami di alberi frondosi e di salici, e farete festa per sette giorni davanti a Javhè, il vostro Dio". 2) Ricordarsi che siamo stati migranti: "Voi abiterete in capanne per sette giorni. Tutti i nativi di Israele abiteranno in capanne, affinchè i suoi discendenti sappiano che io feci abitare in capanne e figli di Israele quando li tolsi dall'Egitto. Io sono Javhè, il vostro Dio". 3) Tutti hanno diritto alla terra: "La terra non potrà essere venduta per sempre, perchè la terra appartiene a me, e voi per me siete immigranti e ospiti. Per questo, in qualsiasi terra che voi possediate, concedete sempre il diritto al riscatto". 4) Accoglienza e tenerezza verso gli immigranti e i poveri: "Quando tu stai mietendo il raccolto nel tuo campo e dimentichi indietro un covone, non tornare a prenderlo: lascialo all'immigrante, all'orfano e alla vedova. In questo modo, Dio benedirà te in tutto il tuo lavoro. Ricordati: tu sei stato schiavo in Egitto".



Nelle pagine della Bibbia che ho in parte citato (oltre che nei Vangeli, ancora più radicali), questo è il volto di Dio, questo il suo progetto di umanità. Avete mai visto le nostre benedizioni (o Messe) per inaugurare la sede di una banca, i locali di un supermercato o negozio, o per il battesimo di una nave da guerra? Anche qui in Brasile (forse più che in Italia) accade che chiamino il prete, il Vescovo o il cardinale per queste cose. C'è forse chi benedice a cuore leggero. A me fanno venire il mal di pancia, per non dire il vomito. Istituzioni e Imprese industriali o commerciali vanno avanti, come carri armati, schiacciando persone umane e seminando rovina nell'ambiente, ma vogliono la benedizione di Dio. La vogliono per sentirsi il cuore in pace, o come elemento ornamentale e per abbellire la propria immagine che è di una durezza spietata. Dove vogliamo arrivare con questo modo di procedere disumano? Dio, certo, non benedice. E noi, se benediciamo, abusiamo, assieme a loro, del nostro ministero e del Suo nome.


A proposito di immigranti, vi pubblico la lettera che Evo Morales, presidente boliviano (il primo di etnia indigena) all'Unione Europea. E' un pò lunga, però mi ha fatto impressione. Chi conosce un pò di storia non può non dargli ragione. Vuol dire che la leggeranno quelli che ne hanno voglia......



"Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa fu un continente d’emigranti. Decine di milioni di europei partirono verso l’America per colonizzare, sfuggire alla miseria, alle crisi finanziere, alle guerre, ai totalitarismi europei ad alle persecuzioni inflitte minoranze etniche.

Oggi, sto seguendo con molta preoccupazione il processo d’approvazione della cosi detta “direttiva rimpatrio”. Il testo convalidato, il passato 5 giugno per dai Ministri degli interni dei 27 paesi dell’Unione Europea, dovrà essere sottoposto al voto del Parlamento Europeo il 18 giugno. Ho l’impressione che questa direttiva indurisca in maniera drastica le condizioni di detenzione e d’espulsione degli emigranti senza documenti, indipendentemente dal loro tempo di permanenza nei paesi europei, dalla loro condizione lavorativa, dai loro legami familiari, dalla loro volontà d’integrazione e dal raggiungimento della stessa.

Gli Europei giunsero in massa nei paesi latino americani ed in America settentrionale, senza visto e senza alcuna condizione imposta dalle autorità. Furono sempre i benvenuti e continuano ad esserlo, all’ interno dei nostri paesi del Continente Americano, che assorbirono la miseria economica dell’ Europa e le sue crisi politiche.

Vennero al nostro Continente a sfruttare le ricchezze locali e trasferirle in Europa, con altissimo costo per le popolazioni originarie d’America. Come nel caso del nostro “Cerro Rico” di Potosi e delle sue favolose miniere d’argento che permetterò di dare massa monetaria al Continente Europeo dal secolo XVI fino allo XIX. Le persone, i beni ed i diritti degli migranti europei furono sempre rispettati.

Oggi l’Unione Europea é la destinazione principale degli emigranti di tutto il mondo, fatto questo, dovuto alla sua immagine positiva di spazio di prosperità e di libertà pubbliche. La stragrande maggioranza degli migranti giunge nell’Unione Europea per contribuire questa prosperità, non per approfittarsi. Svolgono i lavori delle opere pubbliche della costruzione, nei servizi delle persone e negli ospitali, lavori che non vogliono svolgere gli europei. Contribuiscono al dinamismo demografico del continente europeo, a mantenere le relazioni tra attivi e inattivi che fanno possibili i suoi generosi sistemi di sicurezza sociale e fanno diventare dinamico il mercato interno e la coesione sociale. I migranti offrono una soluzione ai problemi demografici e finanzieri dell’UE.

Per noi, i nostri migranti rappresentano l’aiuto allo sviluppo che gli Europei non ci concedono, dato che ben pochi paesi raggiungono realmente il minimo obbiettivo dal 0,7% dal suo interno lordo nell’aiuto allo sviluppo. America Latina ha ricevuto nel 2006, 68.000 milioni di dollari in bonifici, in altre parole più del totale degli investimenti stranieri nei nostri paesi. A livello mondiale raggiungono 300.000 milioni di dollari, che superano i 104.000 milioni concessi per la cooperazione allo sviluppo Il mio paese, la Bolivia, ricevette rimesse superiori al 10% del proprio PIL (1.100 milioni di dollari) e pari a un terzo delle nostre esportazioni annuali di gas.

Questo significa che i flussi migratori sono benefici tanto per gli Europei ed in maniera marginale per noi del Terzo Mondo, dal momento che allo stesso tempo perdiamo contingenti di mano d’opera qualificata formata da milioni di persone nelle quali i nostri Stati, benché poveri, hanno investito in una forma o nell’altra importanti risorse umane e finanziarie.

Purtroppo, il progetto di “direttiva rimpatrio” complica terribilmente questa realtà. Se concepiamo che ogni Stato o gruppo di Stati possono definire le loro politiche migratorie in piena sovranità, non possiamo accettare che i diritti fondamentali delle persone siano negati ai nostri compatrioti e fratelli latinoamericani. La “direttiva ritorno” prevede la possibilità di un carceramento dei migranti indocumentati fino a 18 messi prima della loro espulsione o “allontanamento”, secondo il termine della direttiva. 18 mesi! Senza processo nè giustizia! Tale come esiste oggi il progetto di testo della Direttiva, viola chiaramente gli articoli 2, 3, 5, 6,7,8 e 9 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. Ed in particolare l’articolo 13 della Dichiarazione dice:

1. “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.”

Ed il peggio di tutto esiste anche la possibilità di incarcerare madri di famiglia e minori, senza prendere in considerazione la loro situazione familiare o scolastica, in questi centri d’internamento che come sappiamo provocano depressioni, scioperi della fame, suicidi. Com’e possiamo accettare senza reagire che siano concentrati in campi compatriote e fratelli latinoamericani senza documenti tra i quali la gran maggioranza sta da anni lavorando ed integrandosi? Da che parte sta oggigiorno il dovere di ingerenza umanitaria? Dove risiede la libertà di circolare e la protezione contro le detenzioni arbitrarie?

Allo stesso tempo l’Unione Europea cerca di convincere alla Comunità Andina delle Nazioni (Bolivia, Colombia, Ecuador e Peru) a firmare un “Accordo d’Associazione” che nella suo terzo pilastro un Trattato di Libero Commercio, la cui natura ed il cui contenuto sono uguali a quelli imposti dagli Stati Uniti. Siamo sottoposti ad una grande pressione da parte della Commissione Europea affinché vengano accettate condizioni di profonda liberalizzazione del commercio, dei servizi finanziari, della proprietà intellettuale e dei nostri servizi pubblici. Inoltre, a titolo della “protezione giuridica” siamo sottoposti a continue pressioni a causa del processo di nazionalizzazione dell’acqua, del gas e delle telecomunicazioni realizzato durante la giornata mondiale dei lavoratori. Chiedo, in questo caso: dove risiede la “sicurezza giuridica” per le nostre donne, gli adolescenti, i bambini ed i lavoratori che cercano orizzonti migliori in Europa?

Promuovere la liberta della circolazione di merce e delle finanze mentre di fronte vediamo incarceramenti senza giudizio per i nostri fratelli che cercano di circolare liberamente. Quello e negare i fondamenti della liberta e dei diritti democratici.

A queste condizioni, nel caso in cui la “direttiva rimpatrio” venga approvata, ci troveremmo nell’impossibilità etica di approfondire le negoziazioni con l’Unione Europea e ci riserviamo il diritto di applicare nei confronti dei cittadini europei le stesse obbligazioni in materia di visti che vengono imposte a noi boliviani dal primo di aprile 2007, sulla base del principio diplomatico della reciprocità. Non lo abbiamo esercitato fino ad ora nell’intento d’attendere giustamente dei segnali positivi da parte dell’Unione Europea.

Il mondo, i suoi continenti, i suoi oceani ed i suoi poli conoscono importanti difficoltà globali: il riscaldamento climatico, l’inquinamento, la sparizione lenta ma sicura delle risorse energetiche e delle biodiversità mentre allo stesso tempo aumentano la fame e la povertà in tutti i paesi, rendendo più fragili le nostre società. Fare degli emigranti, con o senza documenti, i capri espiatori di questi problemi globali non é una soluzione.

Non corrisponde a nessuna realtà. I problemi di coesione sociale che soffre l’Europa non sono imputabili agli emigranti ma sono il frutto del modello di sviluppo imposto dal Nord, che distrugge il pianeta e smembra le società umane.

A nome del popolo Boliviano, di tutti i miei fratelli del continente e delle regioni del mondo quali il Maghreb ed i paesi africani, mi appello alla coscienza dei leaders e dei deputati europei, dei popoli, dei cittadini e degli attivisti d’Europa, affinché il testo della “direttiva rimpatrio” non venga approvato. La direttiva, così come la conosciamo oggi, é una direttiva della vergogna. Invito anche l’Unione Europea a elaborare nei prossimi mesi una politica sull’immigrazione rispettosa dei diritti umani, che permetta il mantenimento di questo dinamismo vantaggioso per entrambi i continenti e che onori, una volta per tutte, il tremendo debito storico, economico ed ecologico che i paesi europei hanno con la maggior parte del terzo mondo, affinché chiuda, una buona volta, le vene ancora aperte dell’America Latina. Oggi, non potete fallire nelle vostre “politiche di integrazione” così come avete fallito nella vostra pretesa “missione civilizzatrice” al tempo delle colonie.

Ricevete tutti voi, autorità, europarlamentari, compagne e compagni i saluti fraterni dalla Bolivia. Ed in particolare modo la nostra solidarietà a tutti i “clandestini”.

16 giugno 2008

SETTIMANA DEI MIGRANTI


Guardiamo questa famiglia di migranti sistemata sotto un albero, senza idealizzarla. Probabilmente è una coppia di fatto, senza matrimonio regolare. Forse il marito si ubriaca ogni sabato sera, appena ricevuta la paga. Però sono lavoratori, mettono al mondo dei bei figlioli, li amano e, pian piano, a modo loro, formano la la città. E' questa gente che costruisce le case di tutti noi, produce gli alimenti, conduce i mezzi di trasporto, lavora nelle falegnamerie e nelle officine e....affolla le nostre chiese. In Brasile questa, almeno per noi cattolici, è la "Settimana dei Migranti". Abbiamo quelli che si trasferiscono dalla campagna alla città, quelli che vanno al ammucchiarsi nelle capitali del paese, quelli che arrivano dal nordest a cercare lavoro nei mattatoi di polli e di bestiame o nel taglio della canna da zucchero, quelli che vanno nei paesi europei o negli Stati Uniti e Canadà a cercare fortuna, e quelli che emigrano semplicemente da un quartiere di Itaberaì perchè gli affitti sono troppo cari, e occupano un'area lottizzata per ottenere un posto ove costruire la baracca. Ovunque vadano e da qualsiasi parte arrivino danno sempre fastidio. Ovunque vadano e da qualunque posto arrivino, chi è davvero cristiano li considera portatori di un messaggio di Dio. Meritano affettuosa accoglienza. La lettura dell'Esodo, nella messa di oggi, associa la migrazione alla vocazione divina. Un popolo che ha lasciato la sua terra "di schiavitù" e si trova in pieno deserto in cerca di una "terra di libertà e di vita" si sente dire da Dio: "Io stabilisco con te un'alleanza. Tu sarai per me un popolo di sacerdoti e una nazione santa".


Nella messa, l'equipe di Liturgia ha presentato alcuni simboli dei migranti. 1) I frutti della terra (una cassetta di uva, donata da un immigrante del sud che si è stabilito quì e ha dimostrato che vi si può produrre uva ottima e abbondante. 2) Le mani, quasi sempre l'unico capitale di cui il migrante dispone. 3) La terra: quella di schiavitù e di dolore che ha lasciato, e la terra generosa in cui spera di vivere e crescere con la sua famiglia. 4) La Parola di Dio: di cui la vita del migrante è testimonianza viva. Questi simboli mi hanno fatto ricordare l'altra vocazione, quella di Dio ad Abramo: "Lascia la tua terra, e vai in una terra che io ti mostrerò. Ti farò padre di un grande popolo. Io ti benedico, e benedirò il tuo popolo in modo che esso diventi una benedizione per gli altri popoli" (cfr. Genesi, 13).
La presentazione dei simboli è stata accompagnata da un canto composto dal nostro Frate Domingos, di cui vi offro il testo tradotto:


"Vengo da lontano, sono del sertao - Sono Pietro, Paolo, Maria e Giovanni. - Sono brasiliano, ma sono straniero, - Ho lottato per la patria e sono pagato con la schiavitù. Io sono la nazione, anch’io sono fratello. Sono popolo di Dio e non possiedo la mia parte. Vengo dalla fame, dalla siccità e dal dolore. Io sono del lavoro, e non ho nessun valore. E ora ditemi— se ho il diritto - Se sono cittadino - o non sono stato fatto da Dio? - Io faccio la città e non abito, mi arrangio. - Ho piantato e raccolto e non mi alimento, sono un angelo. - Io vengo dalla terra senza distribuzione, Sono della fatica senza ricompensa. - Vengo da lontano, sono del sertao: - Sono Pietro, Paolo, io sono la nazione. - Io faccio la città, ma sono straniero, - Ho lottato per la patria e ho ottenuto la schiavitù.



Dopo questi bei pensieri, ho aperto i giornali web. Notizie dall'Europa. Vi si parla degli installati e delle loro paure. Temono tutto quello che si muove: nomadi, prostitute, terroristi, immigrati, no-global, poveri in genere, relativisti, eccetera. Tutto fa brodo, pur di alimentare la paura. L'esercito a presidiare le capitali e i capoluoghi di regione. Le concertazioni tra i "salvatori dell'umanità" per non fare referendum tra chi dovrebbe essere salvato: perchè può capitare che un piccolo popolo come quello irlandese, il cui governo si concede ancora il lusso di consultare la gente, dica: "No, noi stiamo bene così". In fondo non c'è molto di nuovo. Unica novità assoluta dall'Europa è una scimmia che ha imparato a fare i calcoli. Non ho capito bene quali, ma se quella è la scuola, si può indovinare che anche lei farà "i conti senza l'oste": e dovrà farli due volte, come dice il proverbio. La notizia che mi è piaciuta meno è quella della passeggiata di Bush col Papa, in amichevole confabulazione nei giardini vaticani - (sotto la protezione armata di tiratori scelti appollaiati sui tetti - scrive un giornalista). In quel posto la protezione del Padre e degli Angeli custodi dovrebbe bastare. E che ci fa Bush dal Papa? E' andato a chiedere perdono delle bugie e delle guerre? Siccome Joseph Ratzinger legge sicuramente questo blog tutti i santi giorni, diciamoglielo sinceramente e rispettosamente: "Fratello Papa, successore di Pietro, non ci faccia questi tiri mancini. In questo mondo già così a corto di etica, non sono un buon segnale".

10 giugno 2008

SENZATETTO E ....PROSTITUTE?


E' doveroso, da parte mia, aggiornarvi sugli sviluppi dell'"invasione urbana" di senzatetto di Itaberai (cliccate sulla foto...), di cui vi ho dato notizie nell'ultimo post. Dopo le minacce delle autorità scortate dalla polizia e le discussioni successive, gli "invasori" hanno fatto un'assemblea. Hanno deciso di resistere ancora. L'avvocato che rappresenta il "Ministero della città" (organo federale), aveva deciso di non intervenire. Quando gli ho riferito i fatti, è andato dal Giudice per una verifica. Ha saputo, così, che il Giudice non aveva concesso al Comune di fare lo sfratto forzato entro 48 ore, perchè mancava una scrittura che provasse lo smembramento legale dell'area lottizzata a fini sociali. In pratica, il giudice ha dato agli occupanti dei lotti un tempo supplementare di quindici giorni per sgomberare. Nel frattempo le famiglie occupanti hanno il diritto di rimanere sul terreno, registrarsi come associazione di senzatetto e richiedere direttamente al Ministero della città la cessione e il finanziamento parziale per la costruzione della casa. L'avvocato di cui sopra, in questi giorni, sta facendo assemblee con gli occupanti per mettere a punto l'associazione. La prima assemblea, sabato scorso, ha già registrato 150 famiglie di richiedenti. Il gruppo si è diviso i compiti: una parte è venuta nel salone grande della parrocchia per la riunione. L'altra è rimasta a custodire l'area, per evitare che in loro assenza le autorità mandassero le ruspe a fare piazza pulita delle baracche traballanti e dei teloni che essi hanno già installato sul posto (come è già avvenuto in altre occasioni del genere). Conclusione: la partita è ancora aperta. Se fanno in tempo ad organizzarsi in questi quindici giorni, l'avranno vinta (salvo altre sorprese, che sono sempre in agguato).


Ripeto, per chi non avesse seguito, che questa è un'invasione per modo di dire. I rivoltosi non sono violenti e non hanno intenzione di resistere alla polizia e alla legge. Cercano solo di ottenere un terreno e una casetta in città, da pagare poi a rate nei prossimi due anni e man mano ingrandirla e completarla, come accade sempre. Sono lavoratori e hanno figli di mantenere, educare e mandare a scuola. I lotti disponibili per i poveri ci sono, ma si pagano le rate prima ancora di sapere dove sarà il proprio lotto e senza riceverlo finchè il pagamento delle rate non è completato. Per chi guadagna appena un salario minimo, pagare nello stesso tempo una casa in affitto (quando si trova) e le rate del lotto della futura casa, significa rimanere senza mangiare. Cosa fareste voi?
Oltretutto, la cooperativa organizzata dal Comune per distribuire i lotti alle famiglie di basso reddito guadagna soldi con questo sistema: ricevono le rate, mettono a frutto, e soltanto quando hanno ricevuto tutto l'importo vanno a pagare il lotto al proprietario che ha venduto il terreno. La loro giustificazione è che questo permette loro di consegnare lotti a prezzi più bassi, ma sappiamo bene che, anche in affari, da cosa nasce cosa.


E' una grande soddisfazione, per me che ho passato da queste parti quasi tutti i vent'anni della dittatura militare, vedere quanto si è allargata e consolidata la democrazia brasiliana. Solo 20 anni fa ce lo potevamo scordare di vedere un giudice riconoscere qualche diritto a un gruppo di invasori! Oggi il diritto di protesta e il fine sociale sono riconosciuti pacificamente dalla stragrande maggioranza dei cittadini. C'era una elite che credeva di essere l'unica depositaria del Sapere e del Diritto. Affermava di essere illuminista e progressista (ordine e progresso, è il motto della bandiera brasiliana), ma in realtà era ritardataria e feudale. Gli anni di coscientizzazione, di lotta contro la dittatura, di formazione dei sindacati e poi lo spuntare del PT (Partido dos Trabalhadores) e la vittoria di Lula hanno fatto crescere i movimenti sociali e cambiato non solo i giochi di potere (questi, appena parzialmente) ma soprattutto l'anima del paese. Oggi Lula persegue il successo nella scia di un modello economico mondiale assai svantaggioso per diverse categorie dei più poveri (indios, senza-terra e piccoli agricoltori, ad esempio), ma il merito di avere aperto nuove strade ai movimenti sociali e alle libere associazioni popolari non glielo leva nessuno. I giornali dicono che a molti italiani, invece, la democrazia non piace più. Vogliono il "governo forte"! Date a un essere umano il potere di difendervi perseguitando stranieri clandestini, zingari, barboni e prostitute, e prima o poi si sentirà in diritto di perseguitare anche voi. E magari metterà in prigione quelli che fanno investigazioni sulle sue malefatte e le raccontano in giro! Essere forti coi deboli e remissivi coi potenti è la qualità che distingue i vigliacchi.


Qualche lettore si scandalizzerà, forse, che io prenda le difese delle prostitute. "Perchè un prete dovrebbe difendere le prostitute? Gatta ci cova"... Chi pensa così, dimentica che il Maestro Gesù disse che esse "ci precederanno nel Regno dei cieli"! E Lui prese le difese, addirittura, di una donna adultera condannata a morte dai Farisei perchè sorpresa in flagrante di reato. Non nego che sia necessario mettere ordine nel proliferare della prostituzione per le strade. Oltretutto, questa è per molte ragazze una nuova forma di schiavitù da cui hanno bisogno di essere liberate. E' compito dello Stato, ma dev'essere fatto con il dovuto rispetto della dignità umana e non con la presunzione "a priori" della delinquenza. La morale cristiana non compete allo Stato. E' passato il tempo in cui la Chiesa delegava al braccio secolare la funzione di colpire eretici e peccatori. Da buon prete cattolico che obbedisce più a Dio che agli uomini, io credo che la Chiesa sappia annunciare il Vangelo dell'amore e della misericordia invitando la gente a una vita santa per volontà propria, e non per legge e con la polizia. Onore a tanti cristiani meravigliosi, preti e laici o laiche, che dedicano la vita ad aiutare le prostitute valorizzando la loro umanità, senza mettersi su un piedistallo come maestri di morale. Il giornale di oggi informava che in un ospedale di Goiàs c'è una coda di 70 persone che attendono l'operazione per cambiare sesso. Sono fenomeni che esulano dalla mia comprensione: tuttavia ammiro lo Stato brasiliano che sta progettando di concedere l'assistenza sanitaria pubblica a questo tipo di chirurgia. Non credo che i politici, per questo, siano meno cristiani. Loro sono lì per servire i cittadini di qualsiasi fede o non fede. La Chiesa, sacramento di Dio nel mondo, ha ricevuto da Gesù la Parola e lo Spirito Santo per capirla e portare luce alle menti degli uomini e delle donne senza l'uso della forza. La legge cristiana è una legge di libertà, di liberi figli di Dio: lo scrive ripetutamente San Paolo nelle sue lettere. Il Vangelo di domenica scorsa: "Voglio misericordia e non sacrificio, perchè non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori", che cosa significa?

5 giugno 2008

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI

Domenica sono stato in una regione vicina alle sorgenti del Rio Urù. C'è una strada coperta da erba alta, che bisogna indovinarla per non finire in qualche buco. Poi si lascia la macchina, si attraversa la fitta boscaglia a piedi, ed ecco il fiume. L'Urù scende verso nord per oltre duemila Km di lunghezza, ma quassù è ancora un fiumiciattolo di montagna con le sue simpatiche spiaggette di sabbia grossa. Bello! In tempi lontani lo frequentavo spesso. Andavo a pescare. Oggi la campagna, intorno, è semi-abbandonata. Nei poderi piccoli sono rimasti solo pochi appassionati, generalmente in età avanzata perchè i giovani vanno in città. Un anziano contadino ci ha fatto da guida. L'uomo soffre da due anni di una forma di paralisi alle gambe. Abbiamo dovuto portarlo in braccio fin sulla macchina, e ci ha chiesto di mettere una coperta ripiegata (sua) sul sedile, perchè quando l'urina gli scappa non riesce a trattenerla. Un poveretto molto simpatico. Magro secco come un uscio, preferisce comunque rimanere dov'è: forse perchè quando lo mettono a sedere davanti a casa ne ha di cose da guardare. Per uno che sta fermo, ogni uccello che si posa sull'arbusto più vicino e ogni fiore che spunta è un avvenimento. La diversità è senza limiti.


La riunione della FAO, che si svolge in questi giorni a Roma, ha attaccato il problema giusto: l'abbandono dei campi e la pressione dei "grossi" contro l'agricoltura familiare. La scelta politica di misurare tutto col metro dei soldi ha portato a questo. La campagna è solo uno spazio per le grandi imprese esportatrici che producono in funzione del mercato. Siccome in questo momento quello che "tira" di più è il combustibile, si coltiva per produrre biocombustibili e si toglie spazio alla produzione di alimenti. I contadini sono un fastidio. Il meglio che possono fare è affittare il podere alle compagnie di alcool che vi piantano la canna da zucchero. La canna riduce la terra, in pochi anni, allo stato di polvere sottile: inutilizzabile per l'agricoltura. L'uso di diserbanti inquina tutti i corsi d'acqua. La polverizzazione di insetticidi e fungicidi avvelena le campagne circostanti e uccide insetti buoni e cattivi. Il rimedio? Correggere il modello di sviluppo. Per fare questo la FAO non ha autorità sufficiente. Mi pare che non ci sia molto da sperare dalla FAO, anche se è sempre meglio un vertice ONU che guarda in faccia la realtà, piuttosto che niente. La spinta efficace per cambiare potrà venire solo dal basso, ma per questo la gente deve organizzarsi. Solo Dio sa se questo accadrà, e quando: per il momento la società passa le ore libere davanti al televisore e si lascia trasportare dalla corrente di questo "pseudo-sviluppo" imposto.


In città, nel frattempo, le persone si pestano i piedi a vicenda. Ad Itaberaì, a fine settimana, alcuni hanno costruito barricate. Si fa per dire. Circa 200 famiglie hanno occupato un'area del comune per ottenere lo spazio su cui fare la casa. Io sono andato a vedere e ascoltare. L'occupazione è illegittima e devono senz'altro andare via senza fare resistenza. Non hanno un briciolo di ragione. Quell'area è, infatti, parte di una lottizzazione privata che il Comune ha espropriato per costruire case popolari. Ha già una destinazione sociale. Non è escluso che alcuni degli "invasori" stia tentando di sfruttare il periodo elettorale per ricattare il sindaco, facendosi regalare i lotti che sono destinati a famiglie già registrate come sicuramente bisognose. In mezzo ai sediziosi, però, ci sono molte famiglie che davvero necessitano urgentemente di un luogo ove costruire una casetta. Nell'insieme, questa non è una invasione, ma un grido come quello di Bartimeo: aiutateci, non sappiamo come fare! Io l'ho fatto presente alle autorità che erano sul posto a cercare di scacciarli in fretta e furia. "Sono cittadini che lavorano, non cercano lo scontro: non mandateli via arrabbiati a mani vuote, senza nemmeno una speranza". Mi sembra di aver trovato voglia di conciliazione da ambedue le parti. Speriamo bene. Il segretario comunale per l'edilizia ha promesso di verificare e selezionare le famiglie che hanno bisogno più urgente e registrarle per una casa popolare quanto prima. Non è un atto di carità: questa gente, come dice la CEI, è anche una risorsa.


Ho commesso una grave dimenticanza nella conversazione con il gruppo di "insorti" e le autorità presenti: un invito al Padre Nostro. Credo che lo avrebbero pregato volentieri, e si sarebbero dati la mano con gioia, evangelici e cattolici senza distinzione. E' una preghiera che farebbe bene anche agli italiani che attaccano accampamenti di nomadi o escono in strada di notte per picchiare il prossimo: ma temo che lì, nella nicchia del cattolicesimo, non accetterebbero di recitarla. Se ci fosse meno clericalismo e più fede!
La fede aperta dei latino-americani è di grande aiuto. "Dacci oggi il nostro pane quotidiano": e anche lo spazio per costruire una casetta in città, visto che in campagna non ci lasciano vivere. Se alla riunione della FAO le autorità dei vari paesi pregassero insieme così, ci sarebbe da sperare. Su Adista ho trovato una bella riflessione sul Padre Nostro, e ve la pubblico almeno in parte. E' un buon antidoto anche contro tanta spiritualità che è rivolta solo verso il cielo o verso il proprio mondo interiore, come se il Padre non si occupasse di pane e case. E' intitolata IL PADRE NOSTRO IN TEMPI DI RIBELLIONE, scritta da Gerardo Oberman, un pastore protestante argentino.


"Molti secoli fa, in una società violentata da ingiustizie economiche e sociali, in un contesto di enormi disuguaglianze, in un tempo di egoismi e di mancanza di solidarietà, in un’epoca di governanti insensibili, di autorità religiose indifferenti e di grandi signori che se ne lavavano le mani, un umile maestro di una zona povera del Paese insegnò ai suoi discepoli e discepole una breve preghiera. Iniziava con "Padre nostro..." ed è passata così alla storia.
In qualche modo quella preghiera trascende il piano meramente spirituale proponendo una nuova maniera di intendere le relazioni umane e una nuova modalità di costruire relazioni economiche.


La preghiera invita a superare una concezione individualista di spiritualità per introdurre chi la recita in una dimensione di comunità. Il Dio invocato non è il "mio" Dio, ma il "nostro" Dio. Al Dio che si vuole raggiungere con la preghiera si riconosce il diritto di fare la "sua" volontà e non semplicemente come un esercizio di astrazione. Non si chiede che questa volontà trasformi i cieli, ma che sia capace di rivoluzionare la terra. Se questa volontà riesce a farsi strada nella vita di coloro che pregano, il Regno, che è di Dio ma che è condiviso, "viene" e non esclusivamente per me, ma per noi.



Tuttavia, l’elemento più caratteristico di questa preghiera è quello che insegna a chiedere il pane. "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Questo pane è il simbolo dell’alimento umano. Ma è anche il simbolo dell’esistenza umana, è il simbolo della vita stessa. La vita è inevitabilmente legata al pane, all’alimento, alla materia necessaria per il sostentamento del corpo. Perché questo pane giunga fresco su ogni tavola bisogna riconoscere che è il frutto di tutto un processo. Per prima cosa è necessario accettare la benedizione della terra come dono di Dio, poi prepararla con paziente fatica, seminare, fare il raccolto, portarlo al mulino, ritirare la farina, portarla nei luoghi di approvvigionamento, impastare il pane, infornarlo e finalmente goderne a tavola. Per questo, quando chiediamo il pane quotidiano, stiamo chiedendo anche che si preservi il lavoro quotidiano, che si preservi questa catena di produzione, di commercializzazione, di distribuzione che permette alle persone di vivere con dignità. Dignità che è per tutti e per tutte. Per questo preghiamo: "nostro" pane.



La vecchia preghiera del maestro di Galilea che continuiamo a ripetere nelle nostre chiese e nelle nostre case forse può arricchire il dibattito sulla situazione che in queste settimane tiene occupata e preoccupata la società argentina. La preghiera invita alla giusta ribellione quando il pane manca sulla tavola, quando c’è molto pane "mio" e poco pane "nostro", quando non c’è equità nell’approvvigionamento dei beni che la terra produce. Quando la dicono i poveri, la preghiera è speranza di giustizia. E quando la pronunciano coloro che hanno il privilegio di una migliore situazione economica, la preghiera è un impegno etico a fare il possibile perché in nessuna vita manchi quello rende degna la vita.



Spesso in questi secoli, da quando è stata detta per la prima volta, molte persone hanno pregato senza arrivare a comprendere la profondità delle parole di Gesù. Molte persone non hanno capito che, nella proposta del Regno, la ricerca di una migliore distribuzione del pane è una condizione essenziale. La volontà di Dio resta irrealizzata se il pane della dignità per un qualsiasi motivo non arriva a qualche tavola. Il Regno di Dio non ci giungerà mai se continueranno ad esistere persone, settori, governi decisi a fare esclusivamente la propria volontà, costruendosi propri regni di privilegi.



Quello che molta stampa in Argentina ha chiamato "ribellione" delle campagne ha messo a nudo una volta di più le tremende meschinità dell’essere umano. Il "mio" governo invece del "nostro" Paese, il "mio" reddito invece del "nostro" progresso, la "mia" immagine di amministratore invece della "nostra" credibilità come Stato, la "mia" posizione intransigente invece della "nostra" capacità di dialogo...



Il danno che le decisioni unilaterali, i discorsi incendiari da un lato e dall’altro, i messaggi pieni di mezze verità, i blocchi stradali, gli incitamenti alla violenza e le minacce incrociate hanno provocato al fragile tessuto sociale argentino è tremendo. Si vede, si palpa, si sente. E ci fa male, molto male. "Liberaci dal male".



Forse ci farà bene ricordare questa preghiera e recitarla pensando bene a ciò che diciamo. Perché il Padre nostro è una preghiera che ci dà l’opportunità di rivedere posizioni, riadeguare discorsi, ripensare il nostro contributo al progetto di Regno per il quale Gesù fu assassinato e che contempla come elemento fondamentale della volontà di Dio il fatto che il pane sia un bene ‘nostro’. Il Padre nostro ci permette di considerarci non come isole ma come parti di un tutto, ci dà l’opportunità di superare la barriera dell’individualismo verso il terreno dell’incontro, della fratellanza, della solidarietà, di una costruzione comune. Ci permette, anche, di riconoscere errori e fallimenti, di chiederci perdono e di guardarci negli occhi per affermare che il ‘potere’ trasformatore esiste e che la ‘gloria’ per cui siamo disposti a morire si rivela nella nostra capacità di renderci parte di un ‘regno’ che dura per sempre, in cui si condivide un pane che basta per tutti e in cui a nessuno viene sottratta la possibilità di vivere in pienezza".