28 aprile 2008
25 APRILE: LA RESISTENZA E' SPERANZA
Un rametto di salvia come simbolo della Resistenza: raccolto sulle colline di Savignano ha viaggiato nella mia valigia avvolto in un giornale bagnato. Piantato in un sacchetto per dargli tempo di formare radici, poi trapiantato in terra, ha resistito al brusco cambiamento di clima e di terreno. Ora si sta espandendo in questo bellissimo cespuglio. In questi giorni ho scoperto che la salvia officinalis (così si chiama) è già coltivata in Goiàs in alcuni orti, come pianta medicinale rara. Le foglie di quì sono verdi, quasi prive del magnifico velluto argentato che hanno in Italia. Anche odore e sapore sono leggermente diversi. I suoi infusi, però, sono ricercati per diversi problemi di salute. Da noi abbonda, invece, la salvia splendens, con le sue spighe di fiori rossI che attirano il colibrì. L'amministrazione comunale ne coltiva le piantine in un vivaio, per ornare le piazze ma anche per distribuirle gratis ai cittadini che le desiderano in giardino. I goiani ignorano le proprietà gastronomiche della salvia nostrana. La mia vicina di casa l'ha provata sulla carne di pollo e ne è rimasta entusiasta. A me, ora, non resta che usarne le foglie sui tortelloni: ma non li so fare e mi sembrano piuttosto complicati. Penso che comprerò i ravioli del supermercato che sono ripieni di verdure. Il gusto del burro alla salvia dovrebbe "dirci bene".
Tornando al 25 aprile, la Resistenza Italiana merita una sottolineatura speciale. Se non altro perchè, anche se abbiamo voltato pagina su quella del passato, di resistenza c'è sempre bisogno. Resistenza, infatti, è pensare con la propria testa, non lasciarsi fare il lavaggio del cervello, non vendere la coscienza. Nemmeno costruire un buon cristiano è possibile, se alla base non c'è un essere umano dotato di cuore e testa veri. In omaggio a tutti quelli che resistono, pubblico testo che mi è arrivato da una italiana in questi giorni: di uno che se ne intendeva, dice lei.
«Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civilità e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti.
In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri... Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto.
Che garantisca l'ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere.
Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo».
(De la démocratie en Amerique di Alexis De Tocqueville, anno 1840).
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