15 febbraio 2008
LA VITA OLTRE MURI E RECINTI
Nella foto: Zè Rumao e Benedita sulla porta della loro tenda, in un accampamento di sem-terra nei pressi di San Benedito. (Se volete vederli bene in faccia dovete cliccare sulla foto). Questi accampamenti sono ancora il simbolo di una tenace lotta per la vita. Ora sembrano in via di esaurimento. Molte famiglie hanno ottenuto la terra, altrettante hanno trovato il posto di lavoro in attività diverse e abitano in qualche periferia. Nel frattempo la globalizzazione ha messo KO l'agricoltura tradizionale, traformandola in una estrazione di materie prime per l'industria e rendendola poco attraente per i giovani abbagliati dal fascino del consumismo. Ma c'è ancora gente per cui avere un pezzo di terra è un sogno, se non altro per avere un'alternativa alla vita che viene imposta alla mano d'opera nel mercato globale: vita che spesso non è degna nemmeno per i cani. In questo accampamento, che è ai margini della statale Itaberaì-Itapuranga, gli occupanti hanno in vista una fazenda che il governo sta espropriando nel comune di Itapuranga, poco lontano dal Rio Urù. Attualmente sono appena una decina di famiglie, ma ne stanno arrivando altre, perchè quella fazenda è grande e fa rinascere la speranza di un pezzo di terra anche in alcuni di coloro che si erano stancati di vivere nelle baracche.
Nel post precedente si parlava di chi "non ha mai fatto l'esperienza di quanto Dio lo ama". Non è il caso di Zè e Benedita: loro l'hanno fatta, questa esperienza, e Dio lo sentono ben presente nella loro vita. Anche se sono due vedovi che si sono messi insieme senza rituali, sono sereni. Affrontano da anni la vita precaria da accampati in attesa che il governo trovi per loro una terra su cui lavorare e vivere con la famiglia. Pazientemente, continuano a coltivare le loro verdure ed erbe medicinali nei secchi e bacinelle forati. A quanto pare tra i "poveri di Dio" e le istituzioni, per quanto sacre, c'è una distanza difficile da colmare. Si ignorano a vicenda. Zè Romao mi racconta, tuttavia, che è stato animatore di comunità nella sua parrocchia di origine, è amico di diversi preti e li ha aiutati nei corsi di preparazione al matrimonio e negli incontri. E' stato uno tra i fondatori del sindacato dei lavoratori rurali del suo paese. Non è uno sprovveduto! Mi rivela anche che ogni giovedì, nel piccolo accampamento, si riuniscono in preghiera. Naturalmente tra di loro c'è anche chi non vuole pregare, e Zè è convinto che Dio ami anche quelli, tanto uguale. Sono poveri che cercano mezzi per vivere! Zè Romao mi ha fatto impressione. I sem-terra accampati, per molti, sono come erano i samaritani per i giudei, ai tempo di Gesù: gente da evitare. Infatti nella comunità cattolica della cappella prossima all'accampamento, quando ho chiesto se visitavano di tanto in tanto gli accampati, mi hanno detto: "Non ci andiamo perchè sono tutti evangelici pentecostali"! Che non è vero, ma rende evidente, per chi non lo sapesse già, che ci sono muri ovunque: tra nazioni, ma anche tra un cortile e l'altro e, soprattutto, dentro ai cervelli e ai cuori.
Di fronte a un muro esistono solo tre scelte possibili: o stare da una parte, o dall'altra, o sedersi sul muro e stare a guardare. Non manca chi ritiene che stando seduti lì sopra possiamo essere da ambe le parti. Se fosse vero sarebbe una bella pensata, no? Gesù Cristo si trovava molto più in alto di tutti i nostri muri e fili spinati, ma per salvarci è sceso tra noi e si è messo dalla parte degli esclusi. Dì più: ha distrutto l'isolamento dei lebbrosi, dei ciechi, degli storpi, dei samaritani, galilei, pubblicani, peccatrici, indemoniati e via dicendo, vittime di pregiudizi ed esclusioni. E ha detto: "Il Padre mi ha inviato affinchè tutti abbiano la vita, e la vita in abbondanza". La storia di Zè Romao e della sua compagna, e la storia di Gesù, ci mostrano che per "scegliere la vita" bisogna saltare giù dal muro e scegliere da che parte stare.
Nel blog: http://www.bartimeo.nafoto.net
potete vedere altre immagini dell'accampamento.
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