30 aprile 2011

É RISORTO: LO SANNO TUTTI?

Foto: questa sera ore 19.30, nella cattedrale di Goiás velha, Celso Carpenedo ex monaco benedettino laico ha ricevuto l´ordinazione presbiterale dalle mani del vescovo Eugenio. C´é la foto di Chicão, di cui Celso é stato seminarista prima di entrare in monastero, e poi aiutante in parrocchia quando soffrí l´attentato.

Primo maggio: “Vai trabalhar, vagabundo....” era una canzone brasiliana dei tempi della dittatura militare (anni 64-84). Denunciava le condizioni umilianti del lavoro: il lavoratore era una specie di ignorante-marginale-ritardato mentale. Gli davano da lavorare solo per fargli un favore. Doveva solo lavorare e tacere. Appena possibile lo si mandava a casa. Oggi sono parole che si leggono tra le righe sulle prime pagine dei giornali italiani. Che tristezza! I brasiliani si preparano da giorni a fare presentazioni in tutte le piazze: spettacoli artistici, mostre fotografiche delle conquiste del lavoro, proposte sociali e politiche. Il lavoratore é protagonista numero uno dello sviluppo del paese. Il paese delle tradizioni cristiane e della repubblica fondata sul lavoro, secondo i giornali, dice ai lavoratori: “Vai a lavorare, vagabondo...” Ma io non ci credo. Sui giornali solo alcuni nomi dominano la scena: sempre gli stessi. Gli italiani non la pensano cosí!

Tuttavia lo vediamo tutti, le democrazie occidentali stanno degenerando. Per sostenere una campagna elettorale occorrono miliardi. I comitati centrali dei partiti scelgono i candidati da sostenere. La gente non conta piú. É un giro di affari. Segni di morte.Anche Lula sembra alla deriva: nella sua proposta di riforma politica fa capolino il sistema elettorale all´italiana. Come nell´esodo biblico: siamo nel deserto e vogliamo tornare indietro.

E segni di vita: Francisco abita ad una decina di chilometri dal paese. Piccolo proprietario all´antica, usa ancora la carretta col cavallo come unico mezzo di trasporto. Peró ha la passione per la fotografia: possiede una di quelle compact di una volta, niente di digitale. Alcuni giorni fa la messa della sua comunitá rurale era in casa sua. Aveva incaricato suo figlio di scattare foto dei momenti piú emozionanti della celebrazione. Dopo la messa, chiacchierando mentre offriva ai partecipanti lo spuntino serale consueto dopo ogni incontro, gli chiedo: “Come mai le foto?” Mi risponde corto e schietto: “Padre, a me piace conservare i ricordi dei fatti importanti della mia famiglia. Dovrebbe vedere! Sa che conservo fotografie di vacche che avevo nella stalla venti o trenta anni fa?”

Si era letto il primo annuncio della risurrezione di Gesú (discorso di Pietro, Atti degli Apostoli, 2), perció ho osato domandare: “Chi ha seguito le celebrazioni della settimana santa in chiesa o in televisione?” Su una trentina, hanno alzato la mano in due. La padrona di casa, sincera almeno quanto il marito, ha dichiarato: “Peró noi preghiamo tutti i giorni, un Padre Nostro e tre avemaria”. Cattolici, religiosi e devoti: ma il mistero pasquale non fa parte della loro fede esplicita. Li commuove molto di piú una immagine di Santa Teresa del Bambino Gesú che la signora ha esposto sul tavolo della celebrazione. “L´imparo adesso che é Santa Teresa - spiega la signora – a me l´hanno venduta come la Madonna di Fatima!” (pazienza, giocano pur sempre nella stessa squadra!).

Cosí ho avuto anch´io la soddisfazione di fare un “primo annuncio” quasi come quello di Pietro. Ma c´é un “ma”, un dubbio: il mio profilo, la mia vita, rendono credibile il messaggio? Eh sí, perché la fede nella risurrezione bisogna sentirla, piú che saperla. Si trasmette anche con le parole, ma esse sono opache se dietro non c´é una vita. “Quel Gesú che voi adorate con le vostre novene, messe e rosari, ha passato tre anni camminando di villaggio in villaggio per la Galilea, la Samaria e fino a Gerusalemme, predicando il Regno di Dio e curando tutti. Poi le autoritá dei giudei, contrarie a ció che egli annunciava, lo hanno condannato a morte e crocefisso. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti. Egli é vivo in mezzo a noi. Se volete partecipare pienamente al suo progetto, cercatelo tra gli ultimi della terra: i malati, i migranti in cerca di un posto per vivere, gli esclusi e discriminati, i carcerati, e annunciate loro che Dio ama senza riserve ogni essere umano!”

Si puó fare, tuttavia, una seconda ipotesi: i contadini e contadine devoti di cui sopra non sanno esprimere in linguaggio corrente il mistero pasquale, ma lo conoscono bene e ogni istante della loro vita é immerso in esso. Se no, perché farebbero chilometri a piedi, nel buio della notte, per ritrovarsi insieme a celebrarlo? Perché ogni volta ricordano uno per uno i loro malati, i loro morti e i loro compleanni? Credere nella risurrezione non é soprattutto sentirsi comunitá, sostenere e curare i malati e i feriti, aiutarsi, gioire insieme? Festeggiano la vittoria della vita sulla morte. Sinval e Lucia, la famiglia che ha ospitato la messa della comunitá di Cedro ieri sera aveva preparato una cena abbondante per tutti. In piena sintonia con la lettura del Vangelo, pur non avendolo letto prima: Gesú che incontra i suoi in Galilea, provoca una pesca abbondante e invita a mangiare insieme pesce alla griglia. Allora puó darsi che ancora oggi ci siano solo i sadducei a negare la risurrezione. I sadducei, in ogni tempo, non vogliono che la gente si ritrovi insieme e sia felice, ma che dipenda da loro e abbia paura.

Dicevo, prima, della necessitá di avere un profilo credibile. Gli apostoli soffrirono il fallimento e tentarono la fuga prima di ritornare, probabilmente pentiti e vergognosi, spinti dalla convinzione che si impossessó sempre di piú di loro giorno dopo giorno: “Non é morto. Dio non puó averlo abbandonato cosí. É stato troppo giusto e ha predicato un futuro di cui il mondo ha troppo bisogno: amore, condivisione, perdono, misericordia e compassione, sono il nuovo ordine che il Padre vuole. Cristo ci ha perdonati e ci aspetta per inviarci a continuare la sua opera”. Oggi noi ripetiamo queste cose come un copione scritto e imparato a memoria troppo facilmente, e non siamo allo sbaraglio come loro. Le parole rimangono, ma hanno perduto buona parte della loro forza. La stessa risurrezione non é piú una gioia e una speranza da vivere giá ora, a partire da questo momento, ma da rimandare a un luogo e un tempo indefiniti e molto lontani.

I Vangeli e gli Atti raccontano che Gesú si faceva vedere, parlava con loro, li incoraggiava. Questi libri del Nuovo Testamento furono scritti alcune decine di anni piú tardi. Erano la catechesi delle comunitá cristiane. Trasmettevano la fede cristiana ai neofiti, e spiegavano la risurrezione ricostruendo, ognuno a modo suo, i fatti come erano percepiti dalle comunitá. Non sono “storia” in senso stretto, ma dimostrano che i discepoli si erano sentiti chiamati a incarnare la sua presenza in sé stessi, e avevano dato inizio a un passaparola che aveva funzionato.

L´unico testimone, e il piú antico, che riferisce in prima persona la propria esperienza della risurrezione di Cristo é Paolo nelle sue lettere (Prima ai Corinti, Galati, Filippesi), scritte tra il 50 e il 60. Egli aveva avuto questa illuminazione dopo essere stato un persecutore. Descrive il modo in cui lui stesso scoprí “il potere della risurrezione di Cristo”. Era sicuro che Gesú Cristo era vivo e gli si era rivelato, facendo cadere il velo dai suoi occhi. Paolo sentí questo come una “grazia”, un “dono” di Dio. “Dio volle rivelare in me suo Figlio”. Da quel momento, tutta la sua vita fu trasformata. Divenne un “uomo nuovo”. Scriverá ai Galati: “Non sono piú io che vivo. É Cristo che vive in me”. La sua testimonianza corrisponde pienamente a quella dei discepoli narrata dai vangeli: i discepoli di Emmaus (Luca 23) sfiduciati e delusi, si sentirono “ardere il cuore” allo spezzare del pane, e dopo che Gesú aveva camminato e parlato con loro.

Ció che il Nuovo Testamento nel suo insieme, e soprattutto le lettere di Paolo, fanno intendere con assoluta chiarezza é che dalla fede nella risurrezione di Cristo scaturiscono cambiamento radicale di vita e la forza della testimonianza fino al martirio. La risurrezione segue la crocifissione, che segue la rabbia di chi non voleva il Regno dei cieli, che segue la predicazione di Gesú e la sua pratica, la tenerezza verso i piú deboli della terra. Quindi la fede nella resurrezione é sempre legata al coraggio del martire. É cosí anche per noi, oggi. Quando hanno ucciso Mons. Romero la gente, che credeva nella pace e nella fraternitá che egli proclamava scontrandosi con l´arroganza e la crudeltá del regime, ha cominciato a bisbigliare e poi a gridare: “Romero é morto, Romero vive”. Quí in Goiás é accaduta la stessa cosa quando hanno ucciso Padre Josimo Tavares, Padre Ezechiele Ramin, Padre João Bosco, il sindacalista Nativo, il laico Sebastião Rosa da Paz, l ´indio Galdino, piú recentemente suor Dorothi Stang e tanti altri.

Nei martiri-testimoni di oggi, come in quelli del passato e per primo in Gesú Cristo, Dio continua a irrompere nel mondo con la proposta di un nuovo ordine. É questo che bisogna trasmettere, ed é di questo che bisogna gioire con il cuore pieno di speranza. La risurrezione di Cristo, oggi, é molto presente nella liturgia soprattutto grazie agli interventi del Vaticano II. Ogni domenica, ogni messa sono La Pasqua di Gesú Cristo. É ancora poco esplicita nella vita personale di tanti cristiani e nelle nostre conversazioni e discorsi spiccioli; ambigua e talvolta incomprensibile, poi, nei criteri che sembrano ispirare le decisioni istituzionali. In poche parole, il mistero pasquale oggi sicuramente ancora si consuma, ma nel silenzio dei midia, nella generositá di chi dona la sua vita e nelle tragedie dei poveri: le televisioni, la stampa e le piazze sono piene di un altro tipo di potere e di gloria.

Ma per non ripetere sempre questo ritornello negativo, vi cito quanto scrive il mio solito autore J.A. Pagola: “So che non basta parlare di conversione della Chiesa a Gesú, benché ritenga necessario proclamarlo sempre di nuovo. L´unico modo di vivere in processo di conversione permanente é che le comunitá cristiane e ciascuno di noi credenti osiamo vivere piú aperti allo Spirito di Gesú. Quando ci manca questo Spirito, possiamo cadere nell´illusione di essere cristiani, ma quasi nulla ci distingue da quanti non lo sono; giochiamo a fare i profeti, ma, in realtá, non abbiamo niente di nuovo da dire a nessuno. Finiamo per ripetere spesso con linguaggio religioso le “profezie” di questo mondo”.

“La risurrezione di Gesú é per noi la ragione ultima e la forza quotidiana della nostra speranza: quella che ci incoraggia a lavorare per un mondo piú umano, secondo il cuore di Dio, e che ci fa sperare fiduciosamente nella sua salvezza”.

23 aprile 2011

SETTIMANA PASQUALE

Foto: la luna pasquale di goiás: in pieno giorno e a notte fonda.

Mio fratello Guido era stato colpito da un ictus cerebrale una decina di anni fa, e soffriva di enfisema grave che lo costringeva a usare la bombola di ossigeno per parecchie ore al giorno. É morto all´improvviso stamattina all´alba, quando in Italia erano le 1,30 del sabato santo. Pare che sia stato colpito da un ictus mentre dormiva, non se n´é nemmeno accorto. Per essere un amico per la pelle di don Carlo Bertacchini, si direbbe che non ha resistito alla tentazione di seguirlo dove potranno chiacchierare in santa pace sugli argomenti che erano la loro passione: il Vangelo, la giustizia, il Regno dei cieli. Mio fratello, a modo suo, aveva qualcosa in comune col servo di Javhé descritto da Isaia, umile, sofferente, e sempre frustrato per come vanno le cose di questo mondo. Non era molto di Chiesa ma non la dimenticava nemmeno un istante, criticandola per le incoerenze tra l´annuncio e la pratica. Sará per puro caso, ma é partito nella notte tra il venerdí della croce e il sabato della vigilia della resurrezione. Aveva appena compiuto i 73 anni. Arrivederci, fratellone: goditi la pace raggiunta e aspettaci. Non abbiamo fretta, ma finiremo per raggiungerti prima o poi.

Ho ricevuto e gustato una notevole quantitá di messaggi email di auguri di pasqua imbottiti con preghiere, poesie e salmi. Roba di prima scelta. La gente vola, in questi periodi!!! Si emoziona e supera sé stessa. Grazie. Potrei anche montare questo post con il copia-incolla. Sicuramente avrebbe un contenuto di migliore qualitá. Ma no!!!! Oggi rimango a terra e uso del mio.

Questa settimana, tuttavia, non avrei altro da raccontarvi che delle celebrazioni. Ho celebrato tutto il tempo. Se non é avvenuto un decentramento liturgico a mia insaputa, i riti cattolici devono essere piú o meno gli stessi in tutto il mondo. Quí ci mettono solo, forse, un pó piú di colore. Quindi riassumiamo, perché quelli tra voi che seguono le celebrazioni pasquali sanno giá quasi tutto. Gli altri penso che facciano a meno di saperlo.

Una delle piú belle celebrazioni pasquali della mia vita era quella del venerdí santo a Montespecchio. Ogni anno preparavamo per fare la Via Crucis all´aperto, poi quasi sempre faceva freddo e pioveva. Dovevamo rintanarci tutti (le 4 parrocchie) dentro alla graziosa e accogliente, ma piccolissima chiesa. Il bello era proprio questo: che si stava bene e ci si sentiva comunitá. Il compianto Giacomino, distrutto da un tumore poco tempo dopo la mia partenza, aveva riempito quel luogo dei suoi artefatti di legno. Ogni tanto la mia mente torna a scendere la via Caselline, si ferma un poco nella casa della Tommasina (a 96 anni anche lei é partita per sempre) e raggiunge la casa di Giacomo, dove andava spesso. Lí é il capolinea: piú sotto ci sono dirupi boschivi e poi il fiume Dardagnola. Con lui mi sentivo a mio agio: eravamo coetanei e lui era rimasto un contadino aggrappato a colline sassose e piene di calanchi. Perfino la sua famiglia e la sua casa erano copia perfetta dell´ambiente in cui ho passato i primi dieci anni di vita.

Domenica scorsa, delle Palme, ho visto l´attaccamento della gente ai simboli naturali: rami di piante e acqua benedetta. Sono sacramenti laicali e secolari. Le persone stendono le mani per raccogliere nell´aria gli spruzzi dell´aspersorio. Agitano i rami con gioia al canto di “osanna al re”. Forse piace ovunque, ma i fedeli di Itaberaí hanno, in piú, un resto di sangue indio. A proposito: non si usano rami di ulivo. La gente li porta da casa, raccolti dalle piante preferite. Anche per aspersorio mi hanno messo tra le mani un ramo di un tipo di basilico profumatissimo che da queste parti nasce spontaneo: lo chiamano alfavaca oppure manjericão (ocimum americanum – ocimum gratissimum per gli esperti). Dicono che sia un portentoso medicinale: c´é un´associazione di idee con Gesú che passava curando tutti.

Dopo la prima messa ho battezzato dodici bambini. Le dodici tribú d´Israele? No, ma l´accostamento ai patriarchi mi é venuto davanti a quelle coppie di giovincelli incantati dal loro pargoletto o pargoletta che scalcia e contesta gagliardamente il bagnetto del fonte battesimale. “Ti benediró di generazione in generazione, i tuoi discendenti saranno numerosi e tu stesso sarai una benedizione per gli altri popoli...”

Sempre la domenica delle Palme, ore 22, in un´altra comunitá, la ragazza che commenta esorta con insistenza: “Durante la settimana santa un cristiano non va in ferie. Assolutamente nessuno deve mancare alle celebrazioni del sacro triduo, che ci fa rivivere i misteri centrali della nostra fede!” Mi ricorda me stesso quando ero prete giovane. Meno si conosce la vita, piú si é portati a credere che ció che ci entusiasma debba essere imposto a tutti. É una cosa troppo bella, sarebbe un peccato che qualcuno ne fosse privato! E qui vedo spuntare, in buona fede, il germe dell´integralismo. Ma ognuno dei presenti, e soprattutto i molti assenti, hanno giá deciso a modo loro come celebreranno questi grandi misteri: in visita ai parenti lontani. In riva al fiume con gli amici e alcune casse di birra. Sulle spiaggie del Rio Araguaia con la famiglia. In un santuario vicino o lontano. Non ho visto nessuno preparare flagelli, cenere e cilicio. Sono tutte forme sostenibili e ricche di simbologie pasquali. Anche quella di restare a casa e seguire il calendario della comunitá non é male, e piace a moltissimi.

Martedí santo, ore 22: al pomeriggio, nella messa speciale per gli ammalati, abbiamo elargito unzione degli infermi a quasi tutti i presenti: qualcuno non sembrava proprio malato, ma lui (o lei) sosteneva: “C´é sempre qualcosa...” Anche l´olio, dunque, fa parte dei sacramenti che piacciono alla gente.

La sera, invece della messa, abbiamo servito la confessione comunitaria con assoluzione generale. Non viene molta gente. C´é stato un tempo in cui la confessione comunitaria aveva preso piede, poi i Vescovi hanno fatto un pó di tira-molla. Convinti, forse, che la secolarizzazione e la crisi vocazionale si stiano esaurendo, e che si potrá tornare alla “societas cristiana”, insistono sulla confessione individuale. Auguri di successo. Per il momento, il risultato é che il popolo tende a dimenticare l´una e l´altra. Non é una cosa spaventosa. Gesú ha garantito che il Padre ha giá perdonato il figlio (pródigo, non prodigio) prima ancora che glielo chieda. Chiedere perdono fa bene a noi, non a Dio: e ci sono giá parecchi momenti di confessione dei peccati, fuori della confessione sacramentale. L´atto penitenziale nella messa, il Padre Nostro, la preghiera “Agnello di Dio” prima della comunione! Prima o poi tutti confessano in qualche maniera, se non altro per riuscire a sopportare sé stessi.

Chi ha qualche nozione di storia della Chiesa sa che il sacramento della penitenza ha attraversato altri lunghi periodi di crisi. Fino al 600 era permessa solo la confessione pubblica, e le pene erano severissime: la gente aveva paura, e si confessava solo in punto di morte. I monaci (per primi gli irlandesi missionari in Italia e Francia, credo) cominciarono a praticare abusivamente la confessione individuale, ma l´autorizzazione esplicita e generale arrivó solo due o tre secoli piú tardi.

Mercoledí santo: il popolo é in movimento per le ferie pasquali. La fila per passare il ponte provvisorio é di chilometri. Il progresso costa tante ore di coda....
In serata Messa Crismale, con tanto di bandierine, presentazione delle comunitá, giuramento dei preti, una cantoria specialissima. Nonostante questo, il tono é stato piú da funerale che da festa del “sacerdozio” e della comunitá cristiana. Erano presenti Dom Tomás Balduino e Padre Francisco Cavazzuti e tre giovani missionari stranieri: un filippino, un indiano dell´India e un africano (non ricordo il paese). Ma zitti zitti senza dire una parola. L´omelia del Vescovo ha spiegato a cosa servono le tre varietá di olio consacrato.

Il problema delle omonimie: partendo per Goiás, mi sono trovato in una fila di chilometri in attesa dell´apertura del ponte. Preoccupato per la sorte di don Eligio che aveva preso posto nella macchina delle suore, ho chiamato al cellulare. Una suora mi ha risposto: “Tutto bene, siamo nel Rio das Pedras”. Tranquillo, dunque, lui era davanti a me, stava passando il ponte. Invece no, é arrivato a Goiás un´ora e mezza dopo di me. In effetti quando ho chiamato erano nel supermercato Rio das Pedras, non sul ponte del fiume omonimo.

A proposito, si avvicina un plenilunio splendido! Siamo entrati alla brutta nel periodo secco, non si vedono piú nuvole, le notti sono freddine e questo é il tempo del cielo piú pulito e dei colori del paesaggio piú belli. Fino a fine giugno, poi....tutto secco e impolverato.

Ho scoperto un prete che cambia sistematicamente alcune parole nel messale: quando c´é “sacrificio” legge “offerta” oppure “cena pasquale”. “Dio Onnipotente” lo cambia con “Dio di misericordia e compassione”. E via di questo passo. Qualche volta anch´io sono tentato di farlo e non sempre resisto. Non si puó aggiungere, togliere né cambiare nulla nel rito romano, ma d´altra parte i dieci comandamenti esigono di non pronunciare mai solennemente parole in cui non si crede. Ci sono cose strane, anzi sconcertanti, nei messali: ad esempio dovremmo dire che il Padre di Gesú, che é solo amore come tutti sanno, aveva bisogno del sangue di suo figlio per riscattarci dal peccato. Caspita. E quale peccato? Quello commesso dalla coppia Adamo-Eva (nomi simbolici) nella notte dei tempi. Sicuramente c´é una veritá, ma é molto piú in fondo.

“Ha preso su di sé i pesi di ogni essere umano calpestato, umiliato, escluso, scacciato, ferito, incatenato e oppresso” – ha dichiarato Padre Severino nella concelebrazione del Venerdí Santo. “E noi, in quale squadra ci mettiamo: in quella degli oppressori, dei razzisti, degli sfruttatori e degli empi che gozzovigliano ridendo delle sofferenze altrui: o nella squadra del cireneo, delle donne, di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo, che sono stati vicini a Gesú Cristo nel momento estremo, tentando di aiutarlo a portare la croce e a preparare il suo corpo per la risurrezione?” Bella riflessione, che possiamo apprezzare soprattutto perché oggi, sabato santo, la liturgia giá ci propone la speranza e la gioia pasquale.

17 aprile 2011

LA VIA DELLA CROCE

Secondo il cardinale Tettamanzi arcivescovo di Milano “quelli che stiamo vivendo oggi sono giorni strani. I più dotti potrebbero dirli giorni paradossali. Ad esempio, per stare all’attualità: perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?» (dal Corriere).

Evviva l´Arcivescovo! Finalmente una parola chiara da qualcuno di quelli posti sul candelabro per fare luce: una parola con il sapore e il sapere del Vangelo . Dopo tanto sconcertante mutismo, accondiscendenza e ambiguitá.

Nella Settimana Santa noi cristiani rinnoviamo la memoria e, spero, l´impegno di discepoli dell´Innocente, Gesú Cristo, che invece accettó di essere giudicato e condannato.


Un giudizio e una condanna ormai inevitabili, che Egli affrontó per completare l´opera e non smentire sé stesso. Aveva liberato Lazzaro dalla morte, e per quest erano aumentate le adesioni alla sua “Buona Notizia”. La fama del guaritore che annunciava il Regno di Dio, un nuovo ordine che rovesciava i regni di questo mondo con le loro ingiustizie ed esclusioni, stava avvicinandosi pericolosamente alla capitale di Israele, centro del potere sacerdotale (del tempio) e del controllo imperiale. La classe dominante e le autoritá compresero la gravitá del pericolo e aspettavano solo l´occasione per eliminarlo. Scacciando i mercanti dal tempio nel periodo di maggiore afflusso, durante le feste di Pasqua, Gesú si consegnó definitivamente al boia. Potere del tempio e potere dell´impero non avevano alternative, e la loro macchina tritacarne entró in azione inesorabilmente. Vi propongo la lettura di un testo che tenta una approssimazione storica alla Passione di Gesú raccontata dai Vangeli, e potrá aiutare a capire la settimana santa nel suo lato meno rituale e piú vicino alla realtá umana di Gesú:

“Quelli che passano vicino al Golgota in questo 7 aprile dell´anno 30 non contemplano nessun spettacolo pio. Ancora una volta sono costretti ad assistere, in piene feste di Pasqua, ad una esecuzione crudele di un gruppo di condannati. Non potranno dimenticarlo facilmente durante la cena pasquale di questa sera. Sanno molto bene come finisce, normalmente, questo sacrificio umano. Il rituale della crocifissione esigeva che i cadaveri rimanessero nudi sulla croce per servire di alimento agli uccelli rapaci e ai cani selvatici; i resti erano depositati in una fossa comune. Rimanevano cosí cancellati per sempre il nome e l´identitá di quei disgraziati. Forse si agirá in modo diverso in questa occasione, poiché mancano solo poche ore all´inizio del giorno di Pasqua, la festa piú solenne di Israele e, tra i giudei, si era soliti seppellire in giornata gli esecutati. Secondo la tradizione giudaica, “un uomo appeso ad un albero é una maledizione di Dio”.

Com´é che Gesú vive questo tragico martirio? Che cosa prova davanti all´evidenza del fallimento del suo progetto del regno di Dio, all´abbandono dei suoi seguaci piú prossimi e all´ambiente ostile di quanti lo circondano? Qual´é la sua reazione di fronte a una morte cosí vergognosa e crudele? Sarebbe un errore pretendere di sviluppare una investigazione di carattere psicologico per entrare nel mondo interiore di Gesú. Le fonti non sono orientate verso una descrizione psicologica della sua passione, ma invitano ad avvicinanrci ai suoi atteggiamenti fondamentali alla luce della “sofferenza del giusto innocente” descritto in diversi salmi ben conosciuti dal popolo giudeo.

Tra i primi cristiani esiste il ricordo che, alla fine della sua vita, Gesú attraversó una lotta interiore angosciosa. Giunse perfino a chiedere a Dio di liberarlo da quella morte cosí dolorosa. Probabilmente nessuno sa con sicurezza le parole precise che Gesú pronunció. Per avvicinarsi in qualche modo a questa esperienza, ricorrono al salmo 42: nell´angoscia di questo orante odono l´eco di ció che Gesú puó avere vissuto. Contemporaneamente, associano la sua preghiera in queto terribile momento a forme di preghiera que essi stessi recitano e que provengono da Gesú: senza dubbio fu lui il primo a viverle nel profondo del suo cuore. Forse, all´inizio, non si riesce a determinare quando e dove Gesú visse questa crisi, ma ben presto il fatto fu situato nell´”orto del Getsemani”, nel momento drammatico in cui avverrá il suo arresto.

La scena é da spezzare il cuore. Immerso nelle ombre della notte, Gesú si addentra nell´”Orto degli Ulivi”. Poco alla volta “comincia a rattristarsi e a cadere nell´angoscia”. Poi si allontana dai discepoli e cerca, come é solito fare, un pó di silenzio e di pace. Immediatamente “cade al suolo” e rimane prostrato col volto a terra. I testi cercano di suggerire il suo abbattimento con diversi termini ed espressioni. Marco parla di “tristezza”: Gesú é profondamente triste, di una tristezza mortale: niente puó infondere gioia nel suo cuore; gli sfugge un lamento: “La mia anima é molto triste, fino alla morte”. Si parla anche di “angoscia”: Gesú si vede privo di protezione e abbattuto; un pensiero prese in lui il sopravvento: egli morirá. Giovanni parla di “turbamento”, Gesú é sconcertato, interiormente a pezzi. Luca mette in risalto l´”ansietá”: ció che Gesú prova non é l´inquietudine né la preoccupazione; é l´orrore di fronte a ció che lo attende. La lettera agli Ebrei dice che Gesú piangeva: “Mentre pregava gli scendevano le lacrime dagli occhi”.

Da terra Gesú comincia a pregare. La fonte piú antica raccoglie cosí la sua preghiera: “Abbá, Padre! Tutto é possibile per te; allontana da me questo calice, ma non sia fatto ció che voglio io, ma ció che vuoi tu”. In questo momento di angoscia e abbattimento totale, Gesú ritorna alla propria esperienza originale di Dio: Abbá. Con questa invocazione nel cuore sprofonda fiduciosamente nel mistero insondabile di Dio, che gli sta offrendo un calice cosí amaro di sofferenza e morte. Non gli occorrono molte parole per comunicarsi con Dio: “Tu puoi tutto. Io non voglio morire. Ma sono disposto a ció che tu vuoi”. Dio puó tutto, Gesú non ha dubbi. Dio potrebbe realizzare il suo regno in un altro modo senza bisogno di questo terribile supplizio della crocifissione. Perció gli grida il proprio desiderio: “Allontana da me questo calice. Non mettermela piú vicino. Voglio vivere”. Ci dev´essere un´altra maniera di compiere il progetto di Dio. Poche ore prima, accomiatandosi dai suoi discepoli, egli stesso stava parlando, con un calice tra le mani, della propria consegna totale al servizio del regno di Dio. Ora, nell´angoscia, chiede al Padre di risparmiargli quel calice. Ma é disposto a tutto, perfino a morire, se é questo che il Padre vuole. “Che si faccia ció che tu vuoi”. Gesú si abbandona completamente alla volontá di suo Padre nel momento in cui essa gli si presenta come qualcosa di assurdo e incomprensibile.

Che cosa c´é come panno di fondo di questa preghiera? Da che cosa nasce l´angoscia di Gesú e la sua invocazione al Padre? Lo affligge, senza dubbio, dover morire cosí all´improvviso e in modo cosí violento. La vita é il piú bel regalo di Dio. Per Gesú, come per qualsiasi giudeo, la morte é la peggior disgrazia, perché distrugge tutto ció che c´é di buono nella vita e non conduce ad altro che ad una esistenza oscura nello sceol. Forse la sua anima trema ancora di piú al pensiero di una morte umiliante come la crocifissione, considerata da molti come segno di abbandono e perfino di maledizione da parte di Dio. Ma c´é qualcosa di ancora piú tragico per Gesú. Egli morirá senza avere realizzato il suo progetto. Ha vissuto il dono di sé con tanta passione, si é tanto identificato con la causa di Dio, che ora la sua lacerazione é ancora piú orribile. Che cosa ne sará del regno di Dio? Chi difenderá i poveri? Chi penserá a quelli che soffrono? Dov´é che i peccatori troveranno accoglienza e il perdono di Dio?

L´insensibilitá e l´abbandono dei suoi discepoli lo fanno immergere nella solitudine e nella tristezza. Il loro comportamento gli rivela la dimensione del suo fallimento. Ha riunito attorno a sé un piccolo gruppo di discepoli e discepole; con loro ha cominciato a formare una “nuova famiglia” al servizio del regno di Dio; ha scelto i “Dodici” come numero simbolico della restaurazione di Israele; li ha messi insieme a tavola per trasmettere loro la sua fiducia in Dio. Ora li vede a un passo dal fuggire lasciandolo solo. Tutto crolla a terra. La dispersione dei discepoli é il segno piú evidente della sua sconfitta. Chi li riunirá piú, d´ora in poi? Chi vivrá al servizio del regno di Dio?

La solitudine di Gesú é totale. La sua sofferenza e le sue grida non trovano eco on nessuno: Dio non gli risponde, i suoi discepoli “dormono”. Catturato dalle forze di sicurezza del tempio, Gesú non ha piú dubbi: il Padre non ha ascoltato il suo desiderio di continuare vivo; i suoi discepoli fuggono in cerca della propria sicurezza. Egli é solo! I racconti lasciano intravedere questa solitudine di Gesú durante tutta la passione. L´attenzione degli abitanti di Gerusalemme e di quella moltitudine di pellegrini che riempie le strade non é rivolta a quel piccolo gruppo che sará esecutato nelle vicinanze della cittá. Nel tempio tutto é agitazione e indaffararsi. In queste ore, migliaia di agnelli sono sacrificati nel recinto sacro. Le persone si movimentano febbrilmente per concludere gli ultimi preparativi per la cena pasquale. Solo quelli che si imbattono sulla strada nel corteo dei condannati ou passano vicino al Golgota lo notano. Come é abituale nelle societá antiche, sono persone che hanno familiaritá con lo spettacolo di una esecuzione pubblica. Le loro reazioni sono diverse: curiositá, grida, beffe, disprezzo e uno o un altro commento di condoglianza. Dalla croce, Gesú percepisce probabilmente solo rigetto e ostilitá.
Soltanto Luca parla di un atteggiamento piú amabile e compassionevole da parte di alcune donne che, in mezzo alla moltitudine che osserva i condannati nel cammino della croce, si avvicinano a Gesú e piangono per lui.

D´altra parte, un gruppo di discepole di Gesú si trova sulla scena del Golgota “a guardare da lontano” perché i soldati non permettono a nessuno di avvicinarsi ai crocifissi salendo fino alla sommitá della montagnola. Ci sono riferiti i nomi di queste donne coraggiose che rimangono lí fino alla fine. Tutti gli evangelisti coincidono sulla presenza di Maria di Magdala, la donna che tanto ama Gesú. Marco e Matteo parlano di altre due donne: Maria moglie di Alfeo, madre di Giacono Minore e Giuseppe, e Salomé, madre di Giacomo e Giovanni. Solo il quarto evangelista fa menzione della “madre di Gesú”, una sua zia, sorella di sua madre, e “Maria moglie di Clopas”. Benché si sia detto frequentemente che la presenza di queste donne puó essere stata di conforto a Gesú, il fatto é poco probabile. Circondato dai soldati di Pilato e dagli incaricati dell´esecuzione, é difficile pensare che, durante la sua agonia, Gesú abbia potuto notare la loro presenza, obbligate com´erano a rimanere a distanza, sperdute tra le altre persone.

Probabilmente le prime generazioni cristiane non sapevano con esattezza le parole che Gesú puó aver mormorato durante la sua agonia. Nessuno era cosí vicino da poterle raccogliere. Esisteva il ricordo che Gesú era morto pregando Dio e anche che, alla fine, aveva lanciato un forte grido. Poco piú. Quasi tutte le parole concrete che gli evangelisti pongono sulle labbra di Gesú riflettono probabilmente le riflessioni dei cristiani, che poco alla volta vanno meditando piú profondamente sulla morte di Gesú a partire da diverse prospettive, accentuando diversi aspetti della sua preghiera: desolazione, fiducia o abbandono nelle mani del Padre. Non potendo ricorrere a ricordi concreti conservati dalla tradizione, ricorrono a salmi ben conosciuti nella comunitá cristiana, nei quali si invoca Dio da una situazione di sofferenza.

Dobbiamo, quindi, rassegnarci a non sapere nulla con certezza? Sembra abbastanza chiaro che il “dialogo” di Gesú con sua “madre” e con il “discepolo amato” é una scena costruita dal vangelo di Giovanni. Lo stesso dobbiamo dire del “dialogo” tra i due malfattori e Gesú, redatto quasi sicuramente da Luca. D´altra parte, provoca una certa delusione sapere che la preghiera forse piú bella di tutta la relazione della passione é testualmente dubbia.

Secondo l´evangelista Luca, nel momento in cui era inchiodato sulla croce, Gesú diceva: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Senza dubbio, fu questo il suo atteggiamento interiore. Lo era sempre stato. Egli aveva chiesto ai suoi di “amare i loro nemici” e “pregare per i loro persecutori”, aveva insistito di perdonare fino a “settanta volte sette”. Quelli che lo conobbero non hanno dubbi che Gesú morí perdonando, ma, probabilmente, lo fece in silenzio, o almeno senza che nessuno potesse udirlo. Fu Luca, o forse un copista del secondo secolo, colui che pose nella bocca di Gesú ció che tutti pensavano nella comunitá cristiana.

Il silenzio di Gesú durante le sue ultime ore é sorprendente. Tuttavia, alla fine, Gesú muore “lanciando un forte grido”. Questo grido inarticolato é il ricordo piú sicuro della tradizione. I cristiani non lo dimenticarono mai. Tre evangelisti mettono, inoltre, sulla bocca di Gesú moribondo tre parole diverse, ispirate in altrettanti salmi: secondo Marco (=Matteo) Gesú grida con forza: “Mio Dio, mio Dio! Perché mi hai abbandonato?” Luca, peró, ignora queste parole e dice che Gesú gridó: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Secondo Giovanni, poco prima di morire, Gesú dice: “Ho sete” e, dopo aver bevuto l´aceto che gli hanno offerto, esclama: “Tutto é compiuto”. Che cosa possiamo dire di queste parole? Furono pronunciate da Gesú? Sono parole cristiane che ci invitano a penetrare nel mistero del silenzio di Gesú, rotto solo alla fine dal suo grido sorprendente?

Non é difficile capire la descrizione che ci viene presentata da Giovanni, l´evangelista piú tardivo. Secondo la sua visione teologica, “essere innalzato in croce” é per Gesú “ritornare al Padre” ed entrare nella sua gloria. Per questo la sua relazione della Passione é la marcia serena e solenne di Gesú verso la morte. Non c´é angoscia, né spavento. Non c´é resistenza a bere il calice amaro della croce: “Il calice che il Padre mi ha offerto, forse che non lo berró?” La morte di Gesú non altro che il coronamento del suo desiderio piú profondo. Cosí lo esprime: “Ho sete”: voglio terminare la mia opera; ho sete di Dio, voglio entrare al piú presto nella sua gloria”. Per questo, dopo aver bevuto l´aceto che gli offrono, Gesý esclama: “Tutto é compiuto”. Egli é stato fedele fino alla fine. La sua morte non é la discesa allo sceol, ma il suo “passaggio da questo mondo al Padre”. Nelle comunitá cristiane nessuno lo metteva in dubbio.

É facile capire la reazione di Luca. Il grido angoscioso di Gesú, che si lamenta con Dio per il suo abbandono, é troppo duro per l´evangelista. Marco non aveva avuto nessun problema a metterlo sulla bocca di Gesú, ma forse qualcuno avrebbe potuto interpretarlo male. Allora, con grande libertá, lo ha sostituito con altre parole, secondo lui piú adatte: “Padre, nelle tue mani abbandono la mia vita”. Era necessario chiarire bene che l´angoscia vissuta da Gesú non avrebbe annullato in nessun momento il suo atteggiamento di fiducia e abbandono totale al Padre. Niente e nessuno aveva potuto separarlo da lui. Al termine della sua vita, Gesú si consegnó fiducioso a questo Padre che era stato all´origine di tutta la sua opera. Luca voleva che questo fosse chiaro.

Tuttavia, nonostante le sue riserve, il grido conservato da Marco “Eloi, Eloi, lema sabactani!” ossia “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato” é, senza dubbio, il piú antico nella tradizione cristiana e potrebbe rimontare a Gesú stesso. Queste parole, pronunciate in aramaico, lingua materna di Gesú, e gridate in mezzo alla solitudine e all´abbandono totale, sono di una sinceritá schiacciante. Se Gesú non le avesse pronunciate, qualcuno nella comunitá cristiana avrebbe osato metterle sulle sue labbra? Gesú muore in una solitudine totale. É stato condannato dalle autoritá del tempio. Il popolo non lo ha difeso. I suoi sono scappati. Intorno a lui ascolta solo scherni e disprezzo. Nonostante le sue grida al Padre nell´orto degli ulivi, Dio non é sceso in suo aiuto. Il suo amato Padre lo ha abbandonato ad una morte umiliante. Perché? Gesú non chiama Dio col titolo di Abbá, Padre, la sua espressione abituale e familiare. Lo chiama Eloi, “mio Dio”, come tutti gli esseri umani. Mio Dio! Dio continua ad essere il suo Dio nonostante tutto. Gesú non mette in dubbio la sua esistenza né il suo potere di salvarlo. Si lamenta del suo silenzio: dov´é? Perché sta zitto? Perché lo abbandona proprio ora, quando ha piú bisogno di lui? Gesú muore nella notte piú buia. Non entra nella morte illuminato da una rivelazione sublime. Muore con un “perché” sulle labbra. Tutto rimane, ora, nelle mani del Padre. (“Jesus” – aproximação histórica – de José Antonio Pagola, editora Vozes – pag. 466 e 476-484 – traduzione in proprio dal testo portoghese).

E noi, oggi, cosa possiamo fare? Dove sono il potere del tempio e quello dell´impero? Chi sono i condannati alla croce e i discepoli fuggiaschi? Inviate le vostre risposte....per completare questo post. E poi: BUONA PASQUA A TUTTI - e su http://youtu.be/51NQtzjBLIo potete seguire il video di Fabrizio de André, la via della croce.

11 aprile 2011

ACQUA PER TUTTI?

Siamo esterrefatti per l´episodio di violenza accaduto in una scuola di Rio de Janeiro: undici ragazzi uccisi e altrettanti feriti, anche gravemente. Non era mai accaduto in Brasile.Si pensava che fosse possibile solo in America. Lunghi servizi in TV, paginoni sui giornali, la presidente Dilma in lacrime, messaggio del papa, gente commossa che ne parla per strada. La lettera-testamento del giovane assassino rivela turbe psichiche e fissazioni. Qualche psicologo accenna alla possibilitá che, in passato, fosse stato vittima di bullismo a scuola. Puó darsi che prima di uccidere, qualcuno avesse ucciso lui, dentro.

Abbiamo fatto la riunione degli “agenti pastorali” (preti e suore) di Itaberaí. Di questo evento importante vi offro solo alcune foto scattate dalle suorine. Ci hanno caratterizzati: Severino é quello che scrive, Eligio quello che pensa (o dorme?), io quello che mangia. I contenuti erano stati importanti, ma non nuovi: un giorno, forse, avró le idee piú chiare per fare una breve relazione.

Mi risulta che tra due mesi voi italiani voterete: se volete il nucleare o no; se volete la privatizzazione dell´acqua, o no; se volete che i processi siano decisi dal giudice o dall´imputato. Sará meglio passare parola affinché la gente se ne accorga! Non sono decisioni da poco. La tradizione italiana esige un pó di contorsionismo referendario: se rispondi sí, significa no. Se rispondi no, significa sí.

Continuano ad arrivare commenti interessanti al post di don Carlo Bertacchini. Don Carlo non voleva essere un cieco guida di ciechi. Non si aggrappava alle tradizioni e all´identitá cattolica come mezzi di salvezza. Non ha seguito la strada larga. É entrato nel progetto di Dio Padre. Si é immedesimato nel “nuovo ordine delle cose” annunciato da Gesú: il Regno di Dio. Ha creduto: “Chi perde la sua vita per il Regno, la salverá”. Non é la via del successo facile. Sicuramente é piaciuto ed é stato di aiuto a quelli che avevano bisogno di sentirsi amati da Dio e cercavano un cammino di luce. Hanno avuto il dono di incontrare questo testimone sincero.

É una strada percorribile da tutti. Il Battesimo ci ha consacrati a Dio e dotati di una partecipazione effettiva al sacerdozio profetico e regale di Cristo. Non dipende dall´imbeccata o dal visto del clero: soprattutto per quanto concerne la giustizia e la pace sulla terra, nella societá, secondo la dottrina ufficiale,é ministero specifico di quelli che chiamiamo laici (e laici non sono). Costruire cittadinanza, democrazia, solidarietá, umanitá, giustizia, rispetto ambientale, é diaconia nel pieno senso della parola: un diaconato permanente che non ha nemmeno bisogno di imposizione delle mani.

A Gesú piaceva questo programma di Isaia: “Cercate il diritto, correggete l´oppressore, fate giustizia all´orfano, difendete la causa della vedova!” (Is. 1, 16-18). Era un programma per laici. E se non sempre noi preti lo mettiamo in pratica, i laici saranno impediti? Siamo esseri umani. Credo che spetti a ciascuno scegliere tra il cammino della vita e quello della morte. Non dipende di ruoli, dai titoli o dai gradi gerarchici, ma da quanta fiducia abbiamo nel Padre e da quanto siamo capaci di amare.

E ora vi passo questo appuntamento da Modena: “Cari amici e care amiche, vi ricordiamo e vi invitiamo nuovamente all'incontro “NOI CREDEVAMO…noi credevamo infatti che, a partire dal Concilio, venisse sempre più riconosciuta nella Chiesa l'autonomia e la responsabilità dei laici nelle questioni temporali. Constatiamo invece ogni giorno che i laici sono ridotti all’irrilevanza e al silenzio, talvolta “imbavagliati”, mentre la politica la fanno i Vescovi. Introdurranno l'incontro e ci aiuteranno quindi a chiarire i temi in discussione: SANDRA DEORITI della redazione della rivista il Regno - VITTORIO BELLAVITE portavoce nazionale del movimento Noi siamo Chiesa. Altri amici hanno assicurato la loro presenza e il loro contributo. Ne anticipiamo uno scritto, in allegato, con una riflessione di Raniero La Valle, che tocca anche i temi che ci stanno a cuore. VENERDI' 15 APRILE 2011- dalle ore 18:30 alle ore 22:30 - nella sala del Centro Civico del Villaggio Giardino, via Curie 22. - Verso le 20:30 faremo una pausa per mangiare e bere qualcosa insieme.

L'incontro è libero e aperto a tutti gli interessati e viene "dilatato" anche dopo cena: in questo modo si dà maggior respiro agli interventi e si consente una maggiore flessibilità nella partecipazione di tutti. Si dà inoltre rilievo al momento conviviale. Vi chiediamo anche questa volta di allargare questo invito alla cerchia delle vostre conoscenze. Arrivederci! - La comunità cristiana di base del Villaggio Artigiano.


Secondo la stampa Brasiliana, la nuova presidente del Brasile Dilma Roussef gode del 75 per cento del favore popolare dopo 3 mesi di governo. I giornali aggiungono che la Dilma si distingue per l´intensa laboriositá e serietá nel suo lavoro, per la sua indipendenza di pensiero e azione da Lula e, tanto per fare un esempio, per la sua parsimonia e compostezza nelle apparizioni in TV e nei discorsi. Si puó sospettare che gli elogi della stampa e delle televisioni – che pure hanno lottato ferocemente per la vittoria elettorale del suo avversario - nascondano la speranza di un atteggiamento del governo piú allineato con gli Stati Uniti e con l´Occidente: la Dilma, ad esempio, si é dimostrata assai meno aperta a trattare con l´Iran e fare vista grossa sulle violazioni ai diritti umani.

Tuttavia é insospettabile il punto di vista di Roberto Malvezzi, detto Gogó – agente della Commissione di Pastorale della Terra nel nordest del Brasile – che scrive su un progetto di questo nuovo governo ed esprime molta soddisfazione e speranza: tanto che giá sogna e fa progetti sulle intenzioni della Presidente. Ecco il testo (fonte Adital):

“L´annuncio della presidente Dilma, di trasformare "Água para Todos” (acqua per tutti – un progetto dello Stato di Bahia) in un programma federale, sulla linea del superamento della miseria, suona come una pioggia nel deserto dopo mesi di secca. Ancora di piú, ella non ha annunciato una nuova grande opera, tipo Trasposizione del fiume S. Francisco, ma la costruzione di 800 mila pozzi, oltre all´impianto di nuovi acquedotti. Chi attua nella regione Semi-arida, forse sta ascoltando ció che avrebbe avuto piacere di ascoltare, ma che non sognava piú di ascoltare una affermazione del genere nella sua vita.

Queste piccole opere idriche, moltiplicate a migliaia, chissá, forse un giorno a milioni, hanno giá dimostrato la capacitá di sradicare il piú pernicioso dei mali del nordest, che é la sete umana. Il progetto P1MC dell´ ASA ha giá costruito pressapoco 350 mila pozzi, in beneficio di 1,7 milioni di persone. É giá iniziata pure la realizzazione del Progetto P1+2, cioé la captazione dell´acqua piovana per la produzione di ortaggi e il dissetamento di piccoli animali come galline, porci e caprini. Quest´altro programma puó sradicare il secondo male nordestino, che é la fame e denutrizione, tanto piú se viene associato a una riforma agraria adeguata alla regione. Il risultato lo si puó vedere negli indici: non si parla piú di saccheggi, di fronti di emergenza, é diminuita la mortalitá infantile, e la migrazione nordestina si é stabilizzata.

É chiaro, aiutano molto le altre politiche come la pensione ai lavoratori rurali, l´accesso alla luce elettrica, la disseminazione di tecnologie come il cellulare e internet, e perfino il sussidio-famiglia. (....)Se Dilma vuole essere ancora piú conseguente, puó incaricarsi del Forum per i Cambiamenti Climatici, che ha presentato al Ministro Gilberto Carvalho la proposta di produzione di energia solare partendo dalle case degli abitanti del Semi-arido, trasformandola automaticamente in energia elettrica, e facendo il governo da principale compratore di tale energia. Cosí, oltre all´acqua, sarebbero produttori anche di energia. Una via d´uscita per il Sussidio-famiglia, poiché questa produrrebbe reddito, oltre a produrre energia pulita, senza emissione di CO2 nell´atmosfera. Questa tecnologia é giá disponibile e in Brasile, tra l´altro, non richiede l´accumulazione in batterie. (....)

Pertanto abbiamo a mano tutte le vie d´uscita. La presidente puó valorizzare l´esperienza accumulata dalla societá civile, che non solo costruisce opere, ma fa un´educazione adattata al contesto della regione semi-arida. La ASA, se allo Stato interessa, puó moltiplicare questi educatori. Infine, dopo tante pazzie commesse in nome della sete umana nel Semi-arido, chissá che non sia arrivato il momento del buon senso. Se sará cosí, la fame e la sete saranno pagine voltate di questa triste storia.

4 aprile 2011

PASTORI E PECORE....

Foto: 1) una via di Itaberaí sotto l´acquazzone. 2) Il nuovo centro comunitario Lago Primavera.

Prima di guarire il cieco dalla nascita Gesú guarisce i gli occhi dei discepoli, che hanno una visione deformata della realtá. Egli vorrebbe soccorrere e liberare tutti gli esclusi della terra, ma non lo puó fare se gli altri, i suoi discepoli, li vedono come delinquenti, peccatori, gentaglia da scarto. Piú che il racconto di un miracolo, questo Vangelo della quarta domenica di quaresima (Giovanni, 9, 1-41) é una grande metafora della vita. Non si guarisce l´umanitá dai suoi mali se non si curano i pregiudizi. La cronaca quotidiana ci butta sotto gli occhi tante sofferenze di ogni parte del mondo: il terrore del nucleare in Giappone, le guerre e le costanti violazioni ai diritti umani, i disastri ambientali del nostro stesso paese e la tragedia della violenza nelle nostre cittá, senza contare gli innumerevoli drammi delle famiglie e di tante persone sempre piú sole. Come affrontare tutto questo se non ripuliamo i nostri occhi che incessantemente alzano muri, creano barriere ed esclusioni, dividono e spezzano la solidarietá umana?

Dopo due giornate in riunione diocesana ad analizzare i dati dei nostri sondaggi-interviste, sono arrivato a casa stanco e senza voglia nemmeno di prepararmi una cenetta. Solo-soletto (dopo la messa tutta famiglia e comunitá, la tana tutta solitudine) ho rivissuto una pagina del famoso (un tempo) curato di campagna di Bernanos: il prete che siede a tavola e cena tocciando in un bicchiere. Solo che il curato tocciava pane, io invece ho tocciato il modenesissimo bensone. Nel bicchiere del curato c´era un vino di pessima qualitá, nel mio il brasilianissimo frullato di avocado. Ricordo ancora la smorfia di disapprovazione di un vescovo che raccontava di un parroco che era stato visto a cenare da solo mangiando pane con una cipolla al pinzimonio. “Se i giovani vedono una scena del genere, come potranno apprezzare la vocazione al sacerdozio?” - si chiedeva il vescovo. Forse si chiedeva anche altro o avrebbe dovuto, ma non lo disse. Tuttavia una cena al toccio non é la cosa piú desolante e triste del mondo. Quanto alla solitudine, meriterebbe una riflessione a parte. Io ho dormito piú presto del solito e molto bene.

I nostri dati rivelano che nel cattolicesimo brasiliano sembra prevalere, oggi, quella fede in Cristo che in Italia alcuni chiamano “fai da te”: che significa, principalmente, relativizzare molto l´appartenenza alla Chiesa cattolica. Al secondo posto viene il cattolicesimo di devozione, che si alimenta di devozione ai santi e ai santuari, di novene e benedizioni magari seguendo programmi televisivi cattolici. Al terzo posto ci sono le comunitá ecclesiali di base. In tutti e tre i casi é sempre un mondo fluido, che rimette in discussione molte cose, forse troppe. Nel mondo degli evangelici accade la stessa cosa: sono in discussione perenne tra di loro. “Apparteniamo tutti alla comunitá evangelica, ma solo Cristo conta: le Chiese sono i mezzi, non il fine”. C´é una sola barriera insormonabile e tabú: i cattolici escludono la comunione con gli evangelici, e viceversa. L´ecumenismo, pure senza motivi plausibili e comprensibili, almeno apparentemente, ha fatto passi da gigante....all´indietro. Ma esiste un´alternativa alla comunione tra le Chiese? Io ci scommetterei di no.

Ho aperto il sito di una chiesa evangelica: si discute di un pastore che ha lasciato, si é auto-nominato vescovo e ha fondato un´altra chiesa, accusando il suo collega anteriore di corruzione e venalitá. Il dibattito gira intorno a queste domande: cosa contano i titoli? Non é importante solo la fedeltá alla Parola di Dio? Non ci si puó salvare in qualsiasi chiesa, perché Colui che salva é Gesú Cristo?”. Mentre il mondo va in fiamme, i credenti si arrovellano su questo. In mezzo alle centinaia di interventi ne ho trovato uno firmato “Perola”, che in mancanza di voglia di passarvi altre notizie vi traduco e vi pubblico. Cosí fate anche voi un´occhiata all´ambiente protestante, cosí sconosciuto dai cattolici. É una piccola perla che secondo me rivela un eccessivo moralismo, ma, di tanto in tanto, meriterebbe un buon esame di coscienza anche da parte nostra.

Pastore e lupo amano le pecore e vivono in mezzo ad esse, peró con interessi diversi:
1 I pastori costruiscono ovili; i lupi tendono insidie.
2 I pastori cercano il bene delle pecore; i lupi cercano i beni delle pecore.
3 I pastori vivono all´ombra della croce; i lupi vivono sotto i riflettori.
4 I pastori piangono per le loro pecore; i lupi le fanno piangere.
5 I pastori hanno autoritá spirituale; i lupi sono autoritari e dominatori.
6 I pastori hanno mogli partecipanti; i lupi hanno donne aiutanti.
7 I pastori hanno debolezze; i lupi sono potenti.
8 I pastori guardano negli occhi; i lupi contano le teste.
9 I pastori accettano insegnamenti; i lupi sono padroni della veritá.
10 I pastori hanno amici; i lupi hanno ammiratori.
11 I pastori vivono ció che predicano; i lupi predicano ció che non vivono.
12 I pastori sanno pregare in segreto; i lupi pregano solo in pubblico.
13 I pastori vivono per le loro pecore; i lupi si riforniscono da esse.
14 I pastori vanno sul pulpito; i lupi vanno sul palco.
15 I pastori si interessano della crescita delle pecore; i pastori si interessano della crescita delle offerte.
16 I pastori alimentano le pecore; i lupi si alimentano di pecore.
17 I pastori cercano la discrezione; i lupi fanno auto-promozione.
18 I pastori usano le Scritture come testo; i lupi le usano come pretesto.
19 I pastori si impegnano nel progetto del Regno; i lupi hanno progetti personali.
20 I pastori vivono una fede incarnata; i lupi vivono una fede spiritualizzata.
21 I pastori aiutano le pecore a diventare indipendenti dagli uomini; i lupi le fanno diventare dipendenti da sé stessi.
22 I pastori sono semplici e comuni; i lupi sono vanitosi e speciali.
23 I pastori hanno doni e talenti; i lupi hanno cariche e titoli.
24 I pastori dirigono chiese-comunitá; i lupi dirigono chiese-imprese;
25 I pastori pascolano le pecore; i lupi le seducono.
26 I pastori vivono di salario; i lupi diventano ricchi.
27 I pastori indicano Cristo; i lupi indicano sé stessi e le proprie chiese.
28 I pastori sono umani, sono reali; i lupi sono personaggi religiosi caricati.
29 I pastori aiutano le pecore a diventare adulte; i lupi perpetuano l´infantilizzazione delle pecore.
30 I pastori quanto sono contrariati tacciono, si quietano; i lupi dignignano i denti e diventano aggressivi.
31 I pastori si lasciano conoscere; i lupi prendono le distanze e nessuno arriva loro vicino.
32 I pastori affrontano le complessitá della vita senza risposte pronte; i lupi le affrontano con tecniche pragmatiche e gergo religioso.
33 I pastori sono trasparenti; i lupi hanno agende segrete.
34 I pastori aiutano le pecore a seguire liberamente Cristo; i lupi formano pecore dipendenti e loro seguaci.
35 I pastori creano legami di amicizia; i lupi imprigionano con legami di dipendenza.