Domenica scorsa la comunitá di Gongomé mi ha preso di sorpresa: mi hanno fatto trovare la loro cappella chiusa. Sul momento ho pensato che avessero dimenticato la messa. Invece si erano riuniti, assai piú numerosi del solito, in una casetta nuova costruita da loro per una signora di 94 anni, molto povera, che abitava in una baracca senza nemmeno il bagno in casa. Ci hanno messo pure i pavimenti di ceramica! Severina, la beneficiaria di questo gesto di solidarietá, é la vedova di Cícero, antico curatore della Chiesa della borgata. Le hanno fatto la casa accanto a quella della figlia. "Sono tanto felice di vedere che siamo riusciti ad unirci e dare una vita migliore a questa nostra sorella negli ultimi anni della sua vita" - ha detto Eunice, una delle animatrici. In gioventú Eunice fu catechista e insegnante della scuola locale che ora non c´é piú. Poi aderí a una chiesa evangelica per qualche tempo (forse per la disperazione, perché la comunitá era fredda). Ora eccola lí di nuovo: a dimostrazione che a lei interessa fino a un certo punto l´identitá ecclesiale, ció che lei ha sempre voluto é solo seguire Gesú. Hanno cantato e pregato a volontá, chiedendo benedizioni sulla nuova casa e su tutto e tutti. Mai un´Eucaristia fu celebrata cosí a proposito. Condiviso il Corpo di Cristo e quello dei suoi discepoli, la vita di Gesú e la loro stessa vita. Io ho commentato: "Oggi l´omelia l´avete fatta voi a me!" Alla fine ci hanno guadagnato pure i ragazzi, hai quali ho dato un bel pallone azzurro firmato "Italia 96", dono della parrocchia Beata Vergine Addolorata di Modena.
Gongomé é un gruppetto di casette molto umili tra le colline, a 25 chilometri da Itaberai. Un insediamento antico, che per via dell´urbanizzazione sembra diminuito e appassito come i funghi in un periodo di siccitá. Nei nostri primi anni di Brasile (67-77) era il collega don Isacco che ne seguiva tutta l´attivitá religiosa. Lo fece per dieci anni di seguito: la messa una volta al mese, l´organizzazione del catechismo e la novena del patrono una volta l´anno. Io andavo ogni tanto a sostituirlo. Allora, per arrivarci, si mangiava tanta polvere e si pattinava su tanto fango. Oggi non piú: 20 chilometri sono asfaltati, e il restante coperto di ghiaia é assai poco disagio per le nostre spartane abitudini. La comunitá ha attraversato lunghi periodi di crisi, fino quasi a sciogliersi completamente: molti trasferiti in cittá, altri "passati" ad una chiesa evangelica, altri ancora rintanati nei bar, nei campi di calcio e nell´indifferenza. Scomparve perfino la campana che era stata installata da don Isacco davanti alla chiesetta: "L´ha rubata qualche malandrino" - diceva il povero Cícero, un anziano discendente di africani che trattava la sua chiesina con piú amore della sua povera baracca. La pazienza che ci deve essere voluta per continuare, una volta al mese, ad andare a celebrare la messa per quei sette o otto! E la pazienza per quei sette o otto a mantenersi attaccati alla loro fede! Diverse volte ci siamo chiesti, in questi ultimi due anni in cui anch´io sono tornato e continuiamo a seguire Gongomé a turno, se non era meglio dedicare quella domenica pomeriggio a una comunitá piú numerosa e vivace. Ma la perseveranza produce frutti! Come hanno fatto a saltare, senza che noi preti ce ne accorgessimo, dalla semplice religiositá devozionale e consolatoria alla comprensione di una scelta da comunitá cristiana adulta, che non si accontenta di obblighi religiosi ma vive in Cristo, si fa samaritana e condivide ció che possiede? Lo Spirito Santo lavora a modo suo. Uno dei nostri inni della messa lo spiega: "Metti la semente nella terra, non sará invano!"
In tanti l´hanno capito che non si puó separare la vita spirituale dalla vita reale, se no la spiritualitá diventa una fuga dall´impegno e un pretesto per pensare solo a sé stessi. Tuttavia c´é ancora chi lascia intendere o dice espressamente: "Lasciamo perdere le pastorali sociali, qualsiasi consiglio comunale o sindacato puó fare meglio di noi in questo campo. Dedichiamo il nostro tempo alla liturgia, alla catechesi e spiritualitá, che sono la missione specifica della Chiesa!" La smentita viene dalla stessa pratica di Gesú: il Samaritano che ama e soccorre quelli che a nessun sindaco o consiglio comunale disturbano il sonno, e da cui le autoritá del Tempio distolgono perfino lo sguardo per non macchiarsi d´impuritá legale. La liturgia é importante perché educa a tenersi collegati con la realtá trascendente, se no perdiamo i punti di riferimento. Noi umani siamo fatti cosí. Peró, se vivi una vita spirituale disincarnata, potrai anche sentirti appagato, ma sei un illuso. Non sei con Gesú Cristo neanche se "prendi" migliaia di messe. Se vivi in Cristo, ogni attimo e atto della tua vita é imbevuto della sua spiritualitá. A proposito di un tema che discutete tanto dalle vostre parti, il cristianesimo ha tante radici, culture, anime e identitá, ma tutte sono cristiane solo perché sono aggrappate allo stesso tronco, che é Cristo. Alcune radici diventano vecchie, muoiono, e ne spuntano di nuove che vi si soprappongono, come in certi fiori: e allora la Chiesa, che é una comunitá vivente, si rinnova. Per questo io sono affezionato al Concilio Vaticano II e voglio continuare sulle nuove radici che ha lanciato. Il Vaticano II ha abbandonato vecchie concezioni per dare continuitá a ció che conta: la nostra vita redenta e trasformata dal di dentro, in Gesú Cristo.
Notizie di cronaca: 1) le nostre Commissioni di Pastorale della Terra (CPT), quella diocesana e quella parrocchiale di Itaberaí, hanno lanciato sabato scorso e aperto le iscrizioni per una nuova "Scuola agro-ecologica", a servizio degli agricoltori di piccole proprietá, periferie, accampamenti e nuclei di beneficiari della Riforma Agraria. Le lezioni teoriche si svolgeranno in alcuni fine-settimana, a partire dal prossimo mese di marzo, nella chácara della parrocchia di Itaberaí. É aperta anche ai comuni circostanti. La pratica consisterá in cinque o sei orti sperimentali sparsi nella regione, che saranno dotati di irrigazione centrale. Il progetto generale é finanziato da Misereor, un fondo di solidarietá della Chiesa tedesca. Il finanziamento degli orti é a cura del Fondo Populorum Progressio, di Roma: perché nessuno dica che le offerte alla Chiesa Cattolica vanno tutte in tasca ai preti (anche quelle che arrivano nelle mie tasche finiscono, quasi sempre, in aiuto agli altri: non lo scrivo per vantarmi, ma per sfatare tanti pregiudizi).
2) Non é andata cosí bene, invece, sul fronte della difesa ambientale in collaborazione col comune. Lo scorso anno promovemmo un seminario sull´acqua e ambiente, che fu un notevole successo. Il sindaco neo-eletto era presente, e anche diversi consiglieri comunali. Promisero di istituire una segreteria ambientale come punto di riferimento per i cittadini nella difesa dei fiumi e del cerrado. Garantirono pure investimenti e una commissione ambientale nella camera legislativa. Di tutto questo, nonostante le insistenze, é rimasto assai poco: appena la disponibilitá, per i frontisti dei fiumi, di piantine per rifare la galleria di foresta dove é stata distrutta, e qualche controllo che poi si é smarrito da solo strada facendo. Il sindaco Wellington Baiano é stato sopraffatto da una serie di processi per corruzione e altre illegalitá della campagna elettorale: e siccome quí non basta essere eletti dal popolo, ma bisogna anche dimostrare (qualche volta) di essere onesti, é probabile che sará dimesso. Il comune, in tal caso, avrá un commissario fino a nuove elezioni. Domani c´é la seduta finale del processo, e tutto fa credere che si concluderá con una condanna.
3) La sorella di don Francesco Cavazzuti, suor Teresa, é stata richiamata in Italia dalla Congregazione (sorelle della caritá di Santa Giovanna Antida), e ritornerá in dicembre, facendo prima una sosta a Carpi e poi non si sa. Giunta nella Diocesi di Goiás verso la fine del secolo scorso, suor Teresa Augusta Cavazzuti, 64 anni, ha iniziato la sua attivitá pastorale nella parrocchia di Jussara. Poi ha lavorato per alcuni anni nella periferia di Itapuranga per tornare, infine, alla parrocchia di Jussara, dove risiede ora in comunitá assieme a suor Daniela Maria Contini (di Nonantola) e suor Maria Rita Siboni. Ha quindi alle sue spalle una lunga esperienza di apostolato tra la gente di periferia di questa regione di Goiás. Vi conviene valorizzare la sua presenza in Italia invitandola ad incontri e conferenze.
Foto: 1) e 2) - radici vecchie e nuove, e fioritura; 3) Suor Teresa in casa nostra, col parroco Severino Silva e c´é anche don Eligio accanto a una bottiglia di vino del Cile.
Vi aggiungo in calce una breve memoria storica di un martire della nostra regione, elaborata da Mario di Goiás, che si firma "IL POSTINO".
Era la sera dell’11 ottobre 1976. Due contadine, Margarida e Santana, erano sotto tortura nella prigione del presidio di polizia di Ribeirão Bonito, nel Mato Grosso, località del latifondo prepotente, del bracciantato semischiavo, della brutalità poliziesca. La Comunità celebrava l’ultimo giorno della novena della patrona, N.S. Aparecida. E, in quel giorno erano arrivati in paese il vescovo, dom Pedro Casaldáliga e padre João Bosco Penido Burnier, un gesuita missionario tra gli Indios Bakairi. Informati di quanto stava succedendo, i due si recarono al commissariato per intercedere a favore delle due donne torturate. Quattro poliziotti li aspettavano sul posto. Solo un accenno di dialogo: Sapete che non potete fare questo. Dovete smetterla. Come tutta risposta, uno degli agenti colpì il p. João Bosco prima con un pugno, poi con il calcio della pistola infine gli sparò. Durante l’agonia che seguì, il prete riuscì a sussurrare: Offro la mia vita per il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) e per il Brasile. Poi invocò il nome di Gesù, ripetutamente, e ricevette l’unzione degli infermi. Fu trasportato a Goiânia e morì il giorno dopo, festa della Vergine Aparecida, coronando così con il martirio una vita santa. Le sue ultime parole furono le stesse del maestro: “Abbiamo compiuto la nostra missione”. In questo giorno le Comunità cristiane dell’America Latina uniscono alla celebrazione del martirio di p. João Bosco, la memoria di tutti i martiri del nostro continente. Memoria di uomini, donne e perfino di bambini, di differenti razze, fedi e culture, assassinati per il solo fatto di lottare per un mondo più giusto e fraterno, per affermare i diritti degli indigeni, dei negri, delle minoranze, dei lavoratori, contro la violenza e la tortura, per la riforma agraria, la protezione dell’ambiente e la pace.
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