15 maggio 2009

LA GIORNATA DELLE MAMME


La vite del mio vicino di casa: fino a una ventina di anni fa, ad Itaberaì, quasi nessuno conosceva questa pianta da vicino. Ricordo ancora bene l'imbarazzo di dover commentare il Vangelo della 5a domenica dopo Pasqua, in cui Gesù parla di vite, tralci, potature, eccetera. Poi si è scoperto che questa è una zona climatica eccezionale per la coltivazione dell'uva, e ora tutti hanno capito perchè l'agricoltore ha bisogno di tagliare, potare e bruciare tralci. Ci sono ormai produttori in grande, e abbiamo pure un vino doc. Da queste parti l'uva si raccoglie due volte l'anno: c'è una raccolta più abbondante in gennaio e un'altra, più scarsa, in giugno-luglio. Nella messa di domenica scorsa, 10 maggio, avevamo per l'appunto quel brano di Vangelo: "Io sono la vite, voi siete i tralci".. L'equipe di liturgia, per dare concretezza al paragone di Gesù e al suo messaggio, ha portato davanti all'altare un autentico "bersò" in miniatura, con relativi grappoli.

Il 10 maggio era anche la giornata delle mamme. In Brasile è una festa di serie A, da paragonare quasi quasi al Natale. All'alba il movimento ECC (Encontro Casais com Cristo) ha organizzato l'Alvorada. Tanto per intenderci, sarebbe come una serenata ma fatta al mattino presto, quando è ancora buio, invece che alla sera tardi. I "carros de som" (camioncini attrezzati con altoparlanti e lettori DVD) hanno girato di via in via diffondendo canzoni romantiche per le mamma. In tutte le celebrazioni eucaristiche (io ho avuto il piacere e l'onore di celebrare quella "grande", la sera), le diverse equipe di Liturgia hanno spremuto tutta la loro creatività. Tra l'altro hanno intronizzato una immagine della Madonna "la mamma delle mamme". Per niente liturgica? A stare ai manuali direi proprio di no, ma pensandoci bene....anche i cardinali e i papi hanno avuto una mamma che gli lavava il sederino. E anche Gesù Cristo. Noi potremmo andarcene tranquillamente all'altro mondo con i nostri manuali, che rimarrebbero i ragazzi e le bimbe con le loro mamme. Lasciamoli celebrare un poco anche la liturgia dell'esistenza umana. Viene una generazione dopo l'altra, noi anziani tendiamo a tenerci stretto il passato e loro devono inventare. Dopo quella, non poteva mancare una festa speciale per le madri dell'asilo "Sao Francisco". Che si è fatta la sera del 13: e questa, siccome non era una messa, l'ho potuta abbondantemente fotografare, come potete vedere.

Dove ci sono, le mamme cristiane tengono in piedi la fede e la Chiesa stessa. Zè Horàcio, seduto su un vecchio sofà sdruscito e pieno di rattoppi, mi racconta: "Quando ero bambino, la mia famiglia era così povera che di più non si poteva. Eravamo sei fratellini. La mamma coltivava un orto, là in Minas Gerais. La domenica non poteva portarci a messa, perchè i nostri vestiti erano sbrindellati e non avevamo le scarpe. Allora lei faceva un "bolo" (un dolce di uova, latte e farina a forma di ciambella), che metteva su un tavolino. All'ora della messa, stava sulla porta aperta della nostra baracca e ci chiamava attorno a sè. Guardavamo in direzione alla chiesa, recitando il rosario. Quando era circa l'ora della comunione, mia madre tagliava il "bolo" e ce ne dava a ciascuno un pezzetto. Era la nostra comunione. Dona Divina, la mamma di Zè Horàcio, oggi non si muove più dal letto ed è completamente sorda, perciò non mi ha potuto confermare questa storia. Ma ci posso credere, perchè quasi ogni volta, quando le faccio visita, mi dice: "Padre, io me lo sogno di notte che viene il prete a portarmi la comunione".

Josè Jesus Filho della Pastorale Carceraria Nazionale, ha dedicato una pagina di Adital alle mamme dei carcerati, tra le più sofferenti e dimenticate della nostra società. Ne pubblico uno stralcio per unirmi ai suoi auguri. Scrive:"Non ho dubbi nell'affermare che il carcerato può perdere tutto: libertà, casa, lavoro, amici, parenti, e così via. Ma c'è qualcuno che non lo abbandona: sua madre. Potrei dire di più: la madre diventa prigioniera assieme a lei o a lui. Il Brasile ha 400 mila carcerati, in maggioranza giovani dai 18 ai 25 anni. Molti di loro, dopo l'entrata in prigione, sono dimenticati dalla comunità da cui provengono. A San Paolo la situazione si aggrava, poichè le penitenziarie distano fino a 12 ore da dove vivono i familiari. L'enorme distanza costituisce uno dei fattori di maggior disgregazione dei prigionieri in rapporto alla famiglia e alla comunità a cui appartengono in origine. Tuttavia le mamme non misurano sacrifici per assistere i loro figli, anche quando sono in prigione in altri stati. Di fatto, pur formando una massa impoverita senza mezzi per mantenersi, percorrono lunghe strade per stare coi loro figli anche se solo per due o tre ore. Il loro pellegrinaggio, specialmente nello Stato di San Paolo, comincia il venerdì, quando si riuniscono in un unico locale per prendere la corriera che le porterà fino alla penitenziaria. Continua durante il viaggio, non sempre tranquillo, perchè spesso la polizia le ferma per una perquisizione. In fin dei conti sono "mamme di criminali".

"Lì cominciano le umiliazioni che continuano fino all'entrata del carcere, dove sono perquisite con metodi incompatibili con la dignità della persona umana, come, per esempio, sedersi nude in una panchina-detector di metalli o accoccolarsi due o tre volte davanti a funzionarie che non sempre le trattano con il rispetto dovuto a ogni essere umano. La voglia e la necessità di vedere i figli, costringe le madri a sottomettersi a questi trattamenti degradanti. Dopo le umiliazioni del viaggio e dell'ingresso, camminano in fila verso i padiglioni interni sotto gli occhi indifferenti di alcuni funzionari, o addirittura sottoposte a offese verbali. Un giorno ho udito un funzionarlo definirle "rifiuti". Per molti prigionieri, questi sono gli unici momenti di gioia durante il lungo periodo di sconto della pena. I prigionieri artisti, quando arriva il giorno della mamma, riempiono le pareti con fogli di carta decorati e bei messaggi. E' il modo che essi trovano per rendere loro omaggio. La visita è così importante che, se l'amministrazione del presidio volesse provocare una rivolta, le basterebbe sospendere le visite. Si può togliere tutto ai carcerati, ma non la visita delle loro mamme".

Il giorno 13 era anche l'anniversario dell'abolizione della schiavitù in Brasile (13 maggio 1888). Forse in Italia non lo sa nessuno, e poi eravate impegnati a ricordare la prima apparizione di Fatima in Portogallo, che fa parte della UE (ma è molto cara anche ai brasiliani). Per l'occasione la CNBB ha divulgato un messaggio. Dice, tra l'altro: "Il sogno non è ancora completo. Restano ferite non cicatrizzate e che fanno ancora male, perchè nessuna società attraversa 4 secoli di schiavitù impunemente. La ricchezza del Brasile colonia e dell'Impero fu costruita, principalmente, dalle mani dei negri e negre schiavi. La memoria di questo fatto motiva la società ad essere consapevole del debito che ha ancora verso i discendenti dei popoli africani". "La CNBB rinnova oggi la sua solidarietà con gli afro-brasiliani, e il suo sostegno senza restrizioni a politiche che affermino il miglioramento delle loro condizioni di vita, soprattutto dei popoli dei "quilombos". Garantire loro la legalizzazione del territorio significa molto di più che garantire un pezzo di terra: è la certezza della preservazione dell'eredità e della cultura di tradizione afro-brasiliana presente in loro".

Nel frattempo abbiamo letto sui giornali italiani online: "Non vogliamo una società multietnica - è la sinistra che la vuole". Gli italiani sono spaventatissimi per le dimensioni dell'immigrazione clandestina. Come del resto tutti i paesi più ricchi! Ma l'Italia, come il mondo intero ormai, è già multietnica: e vogliamo forse isolarci dal resto del mondo? Se lo facessimo, ben presto dovremmo andarci noi sui barconi! Oltretutto "chi non vuole una società multietnica rifiuta il Vangelo e il Cristianesimo. Gesù Cristo è venuto per estendere a tutti i popoli della terra la salvezza, che per l'Antica Alleanza era riservata al popolo d'Israele", come scrive un mio collega prete. La difficoltà di organizzare decentemente le migrazioni disordinate: affrontando soprattutto le mafie, anche italiane, che sfruttano la disperazione altrui. Questo compito è assai difficile, perciò si vorrebbe prendere la strada più comoda: perseguitare le vittime della miseria che è frutto tardivo, in massima parte, della nostra abbondanza. Però 40 anni di Brasile mi hanno insegnato due cose: i disperati non desistono mai, perchè non hanno altra scelta. E chi calpesta i diritti dei più deboli, sarà calpestato dai più forti di lui.

In Brasile esistono problemi simili, di fronte alle ondate di migranti dalle campagne alle città, dal nordest alla nostra regione (centro-ovest). Anche qui si verificano l'aumento della violenza, traffico di persone, schiavismo, mercato della prostituzione. Lo Stato di Goiàs, che attualmente conta 5 milioni e mezzo di abitanti (nel 1970 ne aveva 2 milioni), cresce di 100 mila all'anno: ovviamente non è una crescita dovuta solo alle nascite. Nel 2008 sono stati denunciati 6 casi di lavoro schiavo, riguardanti 867 lavoratori nei settori di produzione della canna da zucchero, soia e carbone vegetale. E' già un progresso il fatto che non sia stata constatata la riduzione in schiavitù di nessun minorenne. Spero bene che gli italiani riusciranno a superare l'esasperazione del momento, a mettere da parte le battute cattive e stupide, e produrre invece leggi e regolamenti giusti a salvaguardia della propria sicurezza ma anche della dignità di ogni essere umano. Quello italiano è un popolo che risponde generosamente a tutte le collette per i poveri di ogni paese e continente. In Italia le organizzazioni umanitarie e le associazioni ONLUS si contano a centinaia. Sono migliaia i missionari e missionarie italiani in tutto il mondo, che contribuiscono sostanzialmente alla promozione della giustizia, della solidarietà e dell'accoglienza.E sono sostenuti dagli italiani.

Termino la mia pubblicazione di oggi con la notizia delle piene in Amazzonia. Quest'anno voi avete avuto il terremoto, il Brasile è invece disastrato dalle piogge troppo abbondanti al nord e nordest, e da un periodo di siccità catastrofica in ampie aree del sud (Paranà). Le inondazioni nel Maranhao, Parà e Amazonas hanno già fatto sfollare più di un milione di persone, e ne hanno uccise più di un centinaio. In questi giorni il Rio Tapajòs, che bagna diverse città del Basso-Amazonas, ha raggiunto il livello di 28 metri e 16 cm, un livello che aveva raggiunto per l'ultima volta solo nel 1953 (ma allora la popolazione brasiliana era inferiore a 50 milioni di abitanti, un quarto dell'attuale). Solo nella casa parrocchiale della città di Alenquer sono ospitate 20 famiglie di sfollati. Il fiume sta salendo 6 centimetri al giorno, e la previsione è che le piene continuino ancora per due mesi. (Informazione di Adital, da Diario del Parà).
Per illustrarvi meglio questa situazione vi "posto", in calce alla pagina, un video sulla piena nella città paraense di Macapà, Stato di Amapà, sul delta del Rio delle Amazzoni.


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