E' ovvio che le comunità di base hanno alti e bassi. Ho visitato quella del quartiere San Giovanni Battista in una serata infelice. Erano ridotti a sei. Un pò avviliti, hanno letto il Vangelo e, dopo un breve spazio ai commenti, hanno recitato il rosario. Ma, forse proprio per il morale basso, qualcuno ha subito notato la frase proclamata da Gesù ad alta voce (lo dice Giovanni 12, 46): "Io sono venuto al mondo come luce, perchè tutti quelli che credono in me non rimangano al buio". Joana (il nome è fittizio) ha confessato che sono parole che le fanno molta impressione: è confortante pensare che Gesù non vuole lasciarci al buio. Nonostante la momentanea (speriamo) debolezza della comunità, l'entusiasmo e la buona volontà non mancano. Hanno appena finito di acquistare da Benedito, il falegname più vicino, venti banchi nuovi di zecca per la loro cappellina. Credo che in Italia faccia ridere qualcuno, o stridere: con tanti problemi, pensare ai banchi della chiesa! Ma per chi trae da Cristo e dalla comunità la sua forza, i banchi ben fatti sono una vittoria!
Nelle foto osservate, benchè un pò sfuocato, il lavoro di un artista amatoriale locale che, con molta passione, ha osato dipingere tutta la parete di fondo con la raffigurazione del battesimo di Gesù. I colori mi sembrano belli, a me piace e lo guardo volentieri (ma non sono un intenditore d'arte!). Il paesaggio è quello ampio delle nostre colline in estate: immensi pascoli di un verde intenso, palme da cocco, macchie fitte di rimanescente foresta, e un fiume limpidissimo che scorre al centro (di questi non se ne trovano più, forse ne rivedremo uno nella Gerusalemme celeste: così, almeno è il fiume descritto nell'Apocalisse). Giovanni Battista gli è venuto un pò troppo gobbo, ma forse è più vero di quello della statuina.
Sono finite le piogge, le notti sono fredde (si scende fino a 14 gradi, è un privilegio di Itaberaì per la sua altitudine), e le giornate passano tranquille. A dire il vero qualche acquazzone un pò abbondante arriva ancora. Martedì sera sono salito, per la messa, alla comunità di Bananal. E' sulle montagne agli estremi del territorio comunale. La strada in certi punti era diventata una laguna. Esmeralda, l'animatrice della comunità, era così contenta per la numerosa partecipazione che mi ha regalato quattro piantine di un'orchidea che a me piace molto. Ve la mostro in una delle foto. Il suo nome scientifico è quello del titolo del post. E' spinosa e superba. La si vede con frequenza aggrappata ai fusti di alcune palme da cocco. Ci sono tante cose tristi al mondo, ma credo che non siamo obbligati a pensare solo a quelle! Le comunità rurali mi tirano su il morale quasi in ogni incontro. Dove ci sono piccoli proprietari agricoli c'è ancora una vita sana, anzi, stanno meglio che in passato perchè le comodità sono arrivate anche lì: energia elettrica e telefono, con tutti gli annessi e connessi. Eppure sembra che le amministrazioni, in tutto il paese, vanno nella direzione di svuotare ancora di più la campagna: le scuole, ormai, sono tutte solo nel capoluogo. Le scuole rurali sono quasi tutte chiuse. I bambini di Bananal devono alzarsi ogni giorno alle 5 del mattino per salire sulla corriera e venire ad Itaberai (la distanza è 35 chilometri, ma sono stradacce dissestate, polverose o fangose, il viaggio è di oltre un'ora), tornando a casa dopo le due del pomeriggio. Per questo molte famiglie giovani decidono di trovarsi un lavoro e una casa quì per non sacrificare i figli. E la terra? Si vende o si affitta.
A proposito di Giovanni Battista, la settimana prossima faremo un incontro di un giorno intero di tutte le donne e uomini addetti alla pastorale battesimale nelle 7 parrocchie della regione Urù. Da qualche tempo sono fissato sul Battesimo. Lo abbiamo trattato male, ma è un sacramento bellissimo! Nella "cristandade", o società cristiana, si insegnava che bisogna battezzare i bambini il più presto possibile per toglierli dallo stato di peccato. Guai se dovessero morire senza battesimo! Ma allora le famiglie, in larga maggioranza, offrivano ai bimbi la crescita in un ambiente in cui potevano, per così dire, allattarsi di fede fin dal seno materno. Poi è arrivata la modernità e il battesimo è stato ridotto a poco più di un evento mondano. Allora istituimmo i corsi di preparazione al battesimo. Con molte difficoltà, perchè la resistenza era forte e in parte anche giustificata. Un ricatto: se non fai il corso, non ti battezziamo il figlio. Molti genitori nemmeno pensavano che fosse necessaria la loro presenza al Battesimo: bastavano i padrini. Inoltre, credevano che fosse un peccato rimandare il battesimo: e poi, perchè fare un corso? La grazia di Dio non agisce anche se noi non sappiamo niente? Non basta seguire fedelmente la Chiesa? Alla fine i corsi sono diventati una cosa quasi normale, accettata da quasi tutti. Certo, la grazia di Dio può agire ugualmente, ma il Battesimo non è una magia. E può diventare, invece, l'inizio di tutto.
Bisogna fare un passo avanti. Il "catecumenato degli adulti" è stato ripetutamente raccomandato dal Magistero fin dai tempi del Concilio. Pare che ora sia il momento. Oggi una buona parte della società diffida delle chiese. Sono troppe e danno l'impressione di essere tutte in cerca di pecorelle sottomesse, o pecoroni. I post-moderni non amano sentirsi pecore. Nello stesso tempo, però, sono in molti a cercare disperatamente una via di salvezza, una speranza (scusate il paradosso di cercare disperatamente una speranza). Sentono incombere il Male nelle sue forme più svariate. L'umanità è stanca, ha paura, o peggio ancora, se la vede brutta ed è angosciata. Sotto questo aspetto Gesù Cristo è la figura che suscita sempre più interesse e fiducia: sembra che veramente lui voglia solo aiutarci, gratuitamente, e che desideri solo il nostro bene. E' il "redentore": una parola che suscita sensazioni positive. "Tu solo hai parole di vita eterna". "Io non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo". So che anche in Italia la pastorale ha preso come parola chiave la "speranza". Nelle parrocchie ci lavorano forte. Non fanno rumore, ma lavorano. Bisogna ridare al battesimo il suo valore di inizio di una nuova vita. L'averlo trascurato ha fatto molto male alla nostra Chiesa.
Il battesimo è importante perchè è una scelta controcorrente, contro il male che è in noi e che, fuori di noi, si è organizzato un impero. Se i cristiani avessero capito il loro battesimo che è un "sacerdozio profetico e regale" per trasformare sè stessi e il mondo! O se lo capissero almeno ora! Se i popoli favoriti dal capitalismo avessero riflettuto al momento giusto sui danni che causavano a tanti popoli per foraggiare il loro benessere, ora non si troverebbero nella situazione assurda di doversi difendere dall'invasione di orde di disperati! Ora sono costretti a perdere la stima di sè e la buona coscienza per cacciarli in malo modo. Mentre tutti i governi si sforzano di far ripartire l'economia di mercato invece di correggerla, la depredazione continua! Altra miseria, altre migrazioni! Cosa volete farci? Io vedo solo in un cristianesimo che risalga alle proprie fonti neo-testamentarie la possibilità e la forza per uscire da questo circolo vizioso e viziato.
Egon Dionísio Heck, in un articolo pubblicato su Adital, ricorda che nel Mato Grosso del Sud gli Indios Guarani continuano ad essere vittime costanti della violenza dei latifondisti esattamente come 500 anni fa. E continua anche l'epidemia di suicidi di Indios, che sradicati dalla propria cultura e sloggiati dalla loro terra finiscono nella disperazione. C'è stato un incontro nazionale a Brasilia, in un accampamento denominato "Acampamento Terra Livre", nel quale si è fatto vivo pure il ministro della Giustizia Tarso Genro. Hanno partecipato quasi mille dirigenti indigeni, appartenenti a 113 popolazioni diverse, e i Guarani hanno detto al ministro: "Noi, popoli Guarani e Terena del Mato Grosso del Suda, siamo più di 70 mila e viviamo, di fatto, in 50 mila ettari di terra. Ci hanno preso la nostra terra, ci hanno confinati. Hanno distrutto le nostre ricchezze naturali e i nostri fiumi, ma non sono riusciti a farci tacere o abbandonare la resistenza e lotta per riprenderci la terra! Hanno assassinato diversi dei nostri lider e nessuno degli assassini è in prigione. Invece, parecchi dei nostri lider sono stati arrestati, perseguitati e criminalizzati perchè rivendicavano i diritti che la Costituzione brasiliana ci assicura". "Tutto questo - sostiene il giornalista - avviene a causa dei ritardi dei successivi governi nel definire i confini legali delle terre degli indios, che fanno gola agli allevatori di bestiame e piantatori di soia che hanno potenti rappresentanti nel Congresso Nazionale".
Scrive Mario Menezes, della Unisinos, su Adital: "Sono già stati disboscati 73 milioni di ettari per fare pascoli per il bestiame e produrre soia, cotone, etanolo (canna da zucchero). E' una pazzia. La terra dell'Amazzonia è marcia, i pascoli e le coltivazioni durano poco. Quando smettono di produrre, si abbandona la terra e si brucia altra foresta: ci sono già 23 milioni di ettari di terra abbandonata. Si butta via una ricchezza durevole nel tempo e che si rigenera da sola, per un'altra di breve durata. E quello che è peggio è che si toglie la fonte di vita ai popoli della foresta, che così vengono ridotti alla miseria. Più o meno i due terzi (della ricchezza) rimangono in Brasile. Dal 1990 al 2007, siamo arrivati a produrre in Amazzonia ciò che era impensabile prima, cioè soja, carne, cotone, etanolo e granoturco. Questo sviluppo non ha reso possibile lo sviluppo locale. Se prendiamo i dati di questo periodo, vedremo che quasi 40% della popolazione continua a vivere alla base della linea della povertà. Il Brasile va a prendere là ciò di cui ha bisogno, ma non lascia nulla all'Amazzonia. Pochi in Amazzonia ne traggono beneficio. 50 per cento della soia del paese è prodotta là, e pure 50 per cento del cotone. La carne è intorno al 36 per cento. I due terzi sono consumati in Brasile, un terzo è esportato. Il potere acquisitivo di chi vive in Amazzonia è molto basso perchè possano mangiare carne. Questa è l'altra contraddizione. L'Amazzonia è un grande emporio, ma noi ne pagheremo il prezzo. Non è che l'allevamento sia quello che produce il maggiore impatto. E' solo l'attività principale. Non è vero che, se non esistesse l'allevamento, il disboscamento finirebbe. Quello che manca è una politica coerente per mantenere la foresta produttiva e valorizzarla dal punto di vista economico. Essa ha funzionato così e può continuare a funzionare. Fondamentalmente, il disboscamento dev'essere zero. Non bisogna più andare nella foresta per sviluppare l'allevamento, ma per sostenere le persone che vi abitano, che la capiscono più di chiunque altro e producono a partire da essa senza distruggerla".
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