29 ottobre 2013

LA MORTE

Il 17 ottobre scorso é morto João, Giovanni, il nostro ex-sacrestano. Aveva 65 anni. Era andato in pensione da meno di quattro mesi, dopo una vita di lavoro. Negli ultimi dieci anni era stato guardia notturna della Chiesa e del Centro di Pastorale della parrocchia, addetto alle pulizie e poi sacrestano. Felicissimo di godersi, finalmente, la convivenza con la famiglia, due mesi fa aveva cominciato a soffrire mal di testa, poi convulsioni, e infine era comparso un tumore al cervello, giá in fase avanzata. Ai miei poveri occhi che non vedono oltre, é apparso come un destino crudele. Ma c´é pure gente che vuole morire. La settimana scorsa un umile lavoratore di 41 anni, ospite della sorella e del cognato che sono miei vicini di casa, preso dalla disperazione, é andato dietro ad una mietitrebbia parcheggiata Da mesi quí acanto, nello spazio libero tra un´officina e un distributore, é vi si é impiccato. Non so con esattezza i motivi del suo dolore, ma era talmente deciso a morire che é spirato con le gambe che si trascinavano per terra fino al ginocchio. Ha usato i tiranti del suo zainetto per legarsi il collo.
Cosí, io ho anticipato la meditazione sulla morte. Novembre comincerá con il giorno dei santi e quello dei defunti. Tutti morti, comunque. A furia di sogni e metafore, l´autore dell´Apocalisse tenta di spiegarci il nostro destino finale. Quelli che non avranno il loro nome scritto nel libro della vita saranno gettati – scrive lui - nel lago di fuoco, assieme al Dragone che essi hanno adorato. E scompariranno per sempre. I santi, invece, saranno moltitudini e cammineranno dietro l´Agnello. Tutti vestiti di bianco, perché hanno lavato le loro vesti nel sangue dell´Agnello....(ahi, le metafore! il sangue che sbianca). “Egli asciugherá ogni lacrima dei loro occhi. Poiché non ci sará mai piú morte, né lutto, né grido, né dolore. Sí, le cose antiche sono scomparse. Colui che é seduto sul trono dichiaró: “Ecco che io faccio nuove tutte le cose”. La sostanza é che dobbiamo affidarci alla nostra fede e metterci nelle mani di Dio, perché andiamo incontro all´ignoto. Gesú ci ha rivelato quanto basta per farci coraggio: che abbiamo un Padre misericordioso, e di certo dovrá avere pietá di noi, che abbiamo camminato nel buio della nostra ignoranza e piccolezza, cercando Lui.
Questa prospettiva della nostra fede é descritta per metafore, perché l´altra vita é un mistero, ma é é confortante e gioiosa. Quando penso ai tanti amici e conoscenti sottomessi a continue chirurgie, emodialisi, chemioterapie, radioterapie, provo quasi rimorso: perché loro e non io? Dico a Gesú: “Trova un modo di farmi sentire la tua presenza quando soffriró, e dopo, pensaci tu!” Questo mi fa sentire in obbligo di portare il conforto di Gesú e della sua Parola con piú forza, perché Lui, se non cura sempre il corpo, di solito cura il sentimento e l´anima.
Spinto da questi pensieri, ho preso in mano anche gli unici due libri in mio possesso che parlano della morte, e ne ho estratto alcune perle. Le prime, dal libro di Carmine di Sante, ed. Cittadella, intitolato “La morte”, mostrano la prospettiva pessimista degli antichi pagani, che si ritrova frequentemente ancora oggi, nella modernitá. Visioni poetiche, ma desolanti. Cosí Mimnerno, poeta lirico greco del 7º secolo A.C. “Noi siamo come le foglie, che la bella stagione di primavera genera, quando del sole ai raggi crescono: brevi istanti, come foglie, godiamo di giovinezza il fiore, né dagli déi sappiamo il bene e il male. Intorno stanno le nere dee: reca l´una la sorte della triste vecchiezza, l´altra la morte. Tanto dura di giovinezza il frutto quanto in terra spande la luce il sole. Ma quando questa breve stagione é dileguata, allora, anzi che vivere, é piú dolce morire”. E cosí Sofocle: “Non veder mai la luce – vince ogni confronto – ma una volta venuti al mondo – tornare subito lá donde si giunse – é di gran lunga la migliore sorte: - quando tramontano di giovinezza i dolci errori – chi non vaga tra dolori infiniti? – Quale pena resta al di fuori di noi? – Uccisioni, discordie, risse, battaglie – odio....e sopravviene in ultimo – da tutti maledetta – l´impotente, l´inaccostabile, l´arida vecchiaia, - ove dei mali – tutti i mali coabitano”. Quando guardiamo la vita soltanto come ricerca di godimenti e fruizione momentanea, ci depauperiamo da soli, perdendo la gioia di tanta bellezza e bontá, e ignorando tanti affetti e amicizie sincere e generose che abbiamo intorno ogni giorno.
Per contrasto, ecco invece come há affrontanto la morte uno che camminava nella luce del Vangelo: Padre David Maria Turoldo, prete dei Servi di Maria, morto di cancro nel 1992, nel suo libro “Canti ultimi”. Lo ha scritto quando la sua malattia era giá nello stadio finale. “In questo slancio finale – non cedere, mio cuore - alle sovrane stanchezze. – Non sará certo – lunga l´attesa. – E non perdere tempo. – E questo mio essere presente – questo darmi ancora – e lasciarmi divorare, dica – con quale umile – e grata – e diuturna passione – vita, io ti amavo – e come ora, con la morte – ultimo dovere - vorrei sdebitarmi – e pagare lietamente – il pedaggio".

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