16 settembre 2013

UN PADRE PER TUTTI

Le foto sono ancora quelle scattate sull´Appennino modenese.
Il testo che segue é stato scritto ieri notte, dopo l´ultima messa che ho celebrato nella chiesa parrocchiale immensa, rimessa a nuovo ma con um´acustica pessima. Il suono degli altoparlanti si perde nel vuoto e confonde pure chi parla: é um´afflizione. Al mio ritorno sono stato accolto con il solito calore umano che fa essere tanto bella la gente di Itaberaí. Ho giá consegnato tutti i regalini e lettere che mi sono stati affidati, da bravo postino. C´é un altro calore, qui, che avrei preferito evitare perché non é affatto umano: al pomeriggio abbiamo avuto sempre 32 gradi all´ombra. Ma dobbiamo ringraziare anche di questo, perché Dio ha fatto il sole e senza di quello non ci saremmo nemmeno noi. In compenso le notti sono gradevoli, e si dorme bene, a parte le “bombe”. Non quelle della Siria, per fortuna. Sono quelle dei mortaretti delle feste presenti o prossime: quella di Santa Croce, Santa Teresa, San Francesco, la Madonna Aparecida, che la gente ha giá cominciato a salutare in anticipo.
Domenica 15 settembre: Quattro giorni dopo la ripresa delle attivitá in questa parrocchia ho giá celebrato 25 battesimi....cosí mi é venuto, oggi, di meditare sul valore del Battesimo e degli altri sacramenti. Nel catechismo, il Battesimo é sempre definito come un atto che agisce “ex opere operato”. Nell´incontro di preparazione, ieri, i genitori e i padrini rispondevano quasi all´unanimitá: “Il battesimo é l´inizio della vita cristiana”. Questo é l´effetto della lettura dei vangeli. Fino a pochi anni fa, con minore conoscenza diretta dei testi dei sinottici, erano invece soliti rispondere: “É una benedizione di Dio sui bambini”. Paradossalmente sono tentato di pensare che avevano piú ragione quelli di questi. Infatti i vangeli affermano, sí, che “chi crede e riceve il battesimo é salvo”, ma parlano di battesimi di adulti. In ogni caso queste sono disquisizioni che non portano da nessuna parte.
L´ex opere operato é difficile per noi da accettare. Se lo pensiamo alla nostra maniera, guardando la realtá di Dio in forma contabile come se fossimo impiegati di una ditta religiosa, e pensando a vincere la competizione con le altre chiese e religioni, potremmo cullarci nell´illusione. In questa parrocchia battezziamo circa 300 bimbi all´anno. In dieci anni fanno 3 mila. Nel giro di 20 anni avremmo immesso 6 mila discepoli ex opere operato fedeli a Gesú in tutto e per tutto. Una cittadina di 35 mila abitanti sarebbe trasformata nello spazio di una generazione. Sappiamo che non funziona cosí. Ma sappiamo che non é possibile nemmeno negare che Dio operi per conto suo e alla sua maniera: l´ex opere operato puó significare questo, e non possiamo negarlo. Non siamo in grado di controllare e nemmeno conoscere l´azione di Dio su questi bimbi. In particolare, se intendiamo Dio come il Padre di Gesú, secondo il testo di Luca che abbiamo letto oggi (Luca 15), Lui é uno che ama indistintamente e pazzamente tutti gli uomini e le donne: perfino quel disgraziato giovane che si é allontanato da Lui ingiuriosamente, trattandolo come se fosse giá morto, poiché aveva preteso la sua parte di ereditá.
Dopo qualche tempo quel ragazzo arrogante e stupido si rese conto di aver buttato via i doni del Padre e la sua stessa vita, poiché era ridotto a fare lo schiavo di un padrone malvagio che lo umiliava a fare da guardiano dei porci e non gli dava nemmeno da mangiare. Forse questa parte della parabola rispecchia esattamente la situazione di uomini e donne della nostra epoca, che trattano la vita come un diritto e non come un dono. “La mia vita é mia, e me la gestisco io”. É ben vero che il Padre non fa nessuna obiezione, come non la fece il padre di quel figlio della parabola. Al Padre di Gesú non interessa salvaguardare la propria autoritá e non teme di andare in rovina se un figlio spreca l´ereditá. Non chiede a nessuno di restare con lui per obbligo, non minaccia e non é vendicativo. Non é come il Dio di taluni passi biblici, che richiede sacrifici e minaccia saette sui peccatori. Chi vuole andarsene, Lui lo lascia andare. E continua ad amarlo ugualmente.
A tal punto che, quando il figlio ritorna, Lui non l´ha dimenticato. Lo sta aspettando con ansia. Non gli lascia nemmeno il tempo di chiedere perdono. Non gli fa la ramanzina. Solo lo abbraccia, lo bacia e gli prepara una festa.
Forse, noi che abbiamo continuato ad andare in chiesa e siamo rimasti col Padre di Gesú, assomigliamo di piú all´altro figlio, quello maggiore. Il quale si é comportato bene, é rimasto a casa, ha lavorato i campi al servizio del padre, ha rispettato tutte le regole e usanze da persona perbene. Peró non ha preso da suo padre. Non ha imparato ad amare e a perdonare, é egoista e gli manca la generositá. Si arrabbia perché quel disgraziato di suo fratello é ritornato. Arriva perfino, nel suo rancore, a far capire che anche lui avrebbe avuto voglia di andarsene, almeno qualche volta, lontano da lui, prendendo qualche vitello grasso per fare festa con gli amici. Quindi, piú che rimanere con padre con gioia e per amore, vi era rimasto per paura e conformismo. Il padre della parabola non sgrida nemmeno il figlio maggiore. Lo tratta con affetto, e lo invita a partecipare alla festa. Il Padre di Gesú non ci fa nessuna recriminazione. ma ci invita a fare di questo mondo una festa di tutti. Non dimentichiamo che questa parabola, assieme alle altre di Luca 15 (la pecora smarrita e la dracma ritrovata), furono pronunciate da Gesú in risposta ai farisei e sadducei che lo accusavano di essere um trasgressore della legge: “Quest´uomo accoglie i peccatori e mangia con loro!” Scrive J. Antonio Pagola:
“In mezzo alla crisi religiosa della societá moderna, ci siamo abituati a parlare di credenti e non credenti, di praticanti e di lontani dalla Chiesa, di matrimoni benedetti della Chiesa e coppie irregolari. Mentre noi continuiamo a classificare i suoi figli e figlie, Dio continua ad attenderci tutti, poiché non gli appartengono solo i buoni e i praticanti. Egli é il Padre di tutti. Il figlio piú anziano interpella noi che crediamo di vivere accanto al Padre. Cosa stiamo facendo noi che non abbiamo abbandonato la Chiesa? Lavoriamo per assicurare la sopravvivenza religiosa osservando al meglio le prescrizioni, o per essere testimoni dell´amore immenso di Dio verso tutti i suoi figli e figlie? Stiamo costruendo comunitá aperte che sanno comprendere, accogliere e accompagnare quelli che cercano Dio in mezzo a dubbi e interrogativi? Innalziamo barricate o lanciamo ponti? Offriamo amicizia o li guardiamo con diffidenza?”
In quest´ottica, mi pare che il vescovo di Roma, Francesco, stia tentando e suggerendo una rivoluzione piú importante di quella che ci aspettavamo. Quando cerca il contatto diretto con le persone, telefona a casa della gente e scende in strada su una R4, ci mostra che non gli interessa affermare le prerogative e i poteri di papa, ma seguire la strada di Gesú manifestando nella sua persona l´amore del Padre. La sua prioritá non é stare e portare tutti in chiesa, ma aprire e svelare all´umanitá l´unica qualitá del Padre di cui possiamo essere certi: l´amore. Noi siamo discepoli di una persona, Gesú, che ha conquistato tutta la sua gloria e potere sul mondo attraverso la sconfitta umiliante della croce, come scrive ripetutamente l´apostolo Paolo nelle sue lettere e come abbiamo ricordato ieri, nella solennitá della Santa Croce.

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