4 maggio 2012

AUTOBIOGRAFICO

É morto Padre Luis (Luigi) Plebani, 65 anni, Fidei Donum di Brescia, attualmente parroco a Rui Barbosa (Bahia – Brasil). Lo hanno trovato impiccato nella sua camera da letto con un cerotto sulla bocca. Un suicidio o un assassinio truccato? Bisogna attendere le perizie, poi forse rimarrá il dubbio. Non ci sono testimoni. Luís era stimato per le scelte di povertá e pastorale di piccole comunitá. Gli intimi lo descrivono forte e deciso, ma sofferente, ultimamente, di crisi depressive. É destino che il nostro tempo dissacralizzi ogni mito rivelandone il volto umano. É stato sepolto a Lagoa dos Gatos, in Pernambuco, sua prima esperienza pastorale in Brasile. É una posto come Rotari per i modenesi, non per le dimensioni ma per l´isolamento. Un posto dove arriva solo una corriera al giorno. La sua morte, sia essa per rapina, vendetta o depressione, porta in ogni caso il marchio della Nuova Alleanza: “Non hai voluto sacrificio e offerta. Invece di questo, mi hai dato un corpo...Eccomi qui per fare la tua volontá”. É il marchio di Gesú nella lettera agli ebrei (10, 5). Il corpo spezzato come pane per l´umanitá, invece dei sacrifici rituali. Il Nuovo Culto ci conduce sempre fuori dalla puritá convenzionale, fin da quando Dio scelse per madre una vergine ingravidata prima del matrimonio legale.
Ho pensato che la vita é un dono ricevuto che a nostra volta doniamo agli altri, un pezzetto alla volta. Lo diamo mescolato alla nostra umanitá, magnifica ma sempre reale, mai ideale. Donare la vita non é privilegio di chi va a cercare significati sublimi come quelli che ho esposto sopra. La donano tutti, anche quelli che non ci pensano e che probabilmente non ne hanno nessuna intenzione. La donano i genitori ai figli, lo vogliano o no. La donano operai, contadini, lavoratori in generale, intellettuali, artisti, scienziati, tecnologi, insegnanti, commercianti e bidelli. Il segreto della felicitá di donarsi é dare la direzione giusta al cuore e alla mente per creare armonia tra ció che si vuole e ció che si fa. “La vita quotidiana é tutto ció che abbiamo” , scrive la favolosa poetessa brasiliana Adélia Prado, vivente. E non c´é alternativa al dono. “Chi vuole salvare la sua vita, la perderá”.
Forse per l´etá, mi pare di vedere le cose in una luce nuova. La terza etá é un tempo speciale per reinterpretare la vita. I sensi indeboliscono, si diventa ogni giorno piú fragili. Si avvicina il giorno della consumazione. Non ho molto di cui lamentarmi, i miei mali sono niente in confronto alle tragedie quotidiane che vediamo. Qui ci sono due fratellini di due e tre anni con un cancro che trasforma le loro cartilagini in pasta bianca, che fuoriesce come crema: un orrore, un tragico errore della natura. Sento il dovere di predispormi perché ogni giorno parlo, davanti ai morti, di una dimora eterna “aldilá di quella porta”. Non si sa molto, concretamente, di quella dimora. L´apostolo Pietro ne scriveva come se l´avesse vista. Uso le parole della fede che i parenti desiderano ascoltare per consolarsi: “Andró a preparare un posto per voi e poi verró a prendervi”. Ci chiamano per questo. O non ci vai, o dici quello che vogliono sentire. Da Pasqua in poi mi ha fatto brutta compagnia un dolore lombare.
Camminavo come Charlie Chaplin nel cinema muto. L´ho curato con pomate naturali fatte in casa. Poi i compagni mi hanno convinto ad andare dal medico, per prevenire mali piú grossi di cui si sospetta sempre. Nelle mani di un ortopedico, mi sono consegnato agli ordigni dell´industria laboratoriale. La risonanza magnetica é un´avventura. Ti chiudono in un tubo d´acciaio e ti fanno ascoltare ritmi di tamburi metallici e fischi elettronici. Mi sono addormentato nel cunicolo. Mi ha svegliato una dottoressa tirandomi fuori per i piedi. Aveva le mani gelide, ma la voce soave. Ho riflettuto come la morte é una cosa naturale. Un buco nero, dicono, divora una stella. É come entrare nel tombino e poi uscirne: solo che quello del cimitero non ha il carrello per il ritorno. Per la stella dev´essere un´esperienza spaventosa, ma ha giá dato la sua parte di luce. Il buco in cui sono entrato io non era nero, perché io non sono una stella.
Il primo maggio mi sono ospitato da Anna Maria Melini, a Goiania, per portare l´esame al medico la mattina seguente. L´ospitalitá dell´Anna Maria é un incontro tra vecchi amici, un´amicizia nata dalla comunione nella missione e dall´ammirazione per la sua vita intelligente spesa tutta per il prossimo. Siamo tutti e due vecchiotti. Lei ci sente poco e dimentica le cose in fretta, io dimentico in fretta e ci sento poco. I dialoghi possono essere esilaranti: “Ah, bravo, sei venuto a cena! Prepariamo subito qualcosa, perché l´Edilene non sapeva nulla e non ha preparato niente”. “No Anna, sono venuto a dormire a casa tua perché domattina devo andare presto dal medico. Edilene lo sa, le ho telefonato ieri”. Dopo un poco é arrivata Edilene, che aveva preparato ogni cosa. Edilene é come una figlia che si prende cura della mamma. I vicini di casa di Anna Maria sono la coppia Emilio (di Vignola) e Rosy, che fanno da portieri. Anna, la sera, si chiude in casa e sente solo il telefono. Rosy telefona: “Quí c´é Chico, apri il portone”. La conversazione é saporita, bisogna solo ripetersi un pó. “Allora tu sei in gita, hai fatto il primo maggio a spasso per Goiania e domattina torni a Itaberaí”. “No no, sono arrivato ora. Vado solo dal dottore e torno a casa”. “Bravo, hai sempre i tuoi dottori!” In giugno arriveremo tutti in Italia: io il 13, Anna Maria verso il 18, e con lei Edilene, la sua famiglia, e anche Emilio. Preparatevi a fare qualche giretto con i figli di Edilene che vogliono conoscere l´Italia. Sono bravi ragazzi.
Arrivando a Goiania verso il tramonto, di questa stagione e con il primo venticello freddo che spazza via l´inquinamento, la vista é emozionante. Si arriva dall´alto, col sole alle spalle. Si giunge riposati. Da alcuni mesi hanno completato la doppia pista della statale GO 70, arrivando fino a Inhumas: il viaggio é assai meno stressante. La cittá, ancora al sole, é una distesa di palazzoni colorati, come una selva incantata. Un´immagine da cartolina.
Il dottore mi fa: “Non c´é niente di grave, non occorrono chirurgie, ci sono solo calcificazioni normali per l´etá”. Mi ha mostrato la foto della mia colonna dorsale: peggio di quel che immaginavo. É una S quasi perfetta. “Quella se la porta dietro dall´etá di 16 anni” – mi ha detto. A quei tempi nessuno faceva fotografie della colonna, ce l´avevano tutti storta. Mi ha ordinato fisioterapia e uno stok di anti-infiammatori per cinque giorni. Dopo la prima iniezione, il male é sparito dalle anche ed é passato allo stomaco, poi alla testa. Stato confusionale. Un semplice trasferimento.
Stordito, sono andato in campagna a celebrare una messa in una festa tradizionale di Santa Croce. La croce é stata piantata dal fazendeiro, 72 anni fa, l´anno in cui sono nato io. É in mezzo a un immenso pascolo. Le figlie e i figli, tra cui é stata poi divisa la fazenda, erano presenti. Si ricordavano di mie celebrazioni anteriori, 40 anni fa, quando erano ragazzini. Io ho dimenticato. Ho ceduto a loro l´omelia. Hanno raccontato tutta la storia. Hanno costruito un recinto, l´hanno coperto di teloni, é diventato quasi una cappella. Intorno non c´é nulla altro che erba, enormi termitai e macchie di foresta. Si vedevano lampadine e fari di automobili arrivare da ogni direzione. Accanto alla croce é cresciuto un albero, i ragazzi ricordano quando giocavano attorno a quell´albero ancora piccolino, e il papá li sgridava: “Finirete per rompere quell´albero cosí bello!” Una delle figlie contesta: “Perché adoriamo la croce? La croce l´ha fatta il diavolo. É uno strumento di dolore e morte!” “No, signora, adoriamo Gesú Cristo. Lui ha trasformato la croce in strumento di salvezza!” Speriamo che mi abbia creduto, ha fatto la comunione.
Vi ho raccontato dettagli minori, ma poi ci sono le cose importanti. Il 23 aprile scorso, la CNBB riunita ad Aparecida do Norte (SP) ha celebrato il 50º del Concilio Vaticano II e la propria 50ª Assemblea Nazionale. Due giubilei in uno. La CNBB madrina del Vaticano II: infatti é stata istituita nel 1952, quando altrove di Conferenze Nazionali non si parlava nemmeno. L´episcopato brasiliano, nel periodo 1940-80, é stato pioniere del pré-concilio e del post-concilio in diversi campi: pastorali sociali ma anche liturgia, catechesi...Alcuni storiografi locali ne attribuiscono il merito al Nunzio di allora, Armando Lombardi, molto attento nella scelta dei nomi di suggerire alla Curia Romana per la nomina di vescovi. Ha creato una generazioni di vescovi brasiliani di eccellente statura intellellettuale, zelo pastorale e carattere. Dando alla Chiesa brasiliana, perció, un carattere piú autentico ed espressivo della cultura e realtá locale.
Oggi la tendenza é opposta, ma i fermenti sono ancora vivi. Lo stesso giorno 23 aprile, ad esempio, c´é stata una conferenza stampa in cui ha parlato dom Erwin Krautler, presidente del CIMI (Consiglio Indigenista Missionario), che si puó dire sia ancora un frutto di quell´epoca. Austriaco, religioso (del Preziosissimo Sangue), missionario tra gli indios del Pará fin dal 1965, vescovo dal 1981(é nato nel 39 e fu ordinato vescovo a 42 anni), ha dedicato la vita agli Indios nello stile del CIMI, una istituzione benemerita per aver restituito alle missioni un volto piú evangelico e che ha corretto pratiche tradizionali di aspetto piú colonizzatore (anche il CIMI compie quest´anno il suo 40º).
Dom Erwin ha parlato della centrale elettrica Belo Monte. Ha criticato il governo perché tratta il popolo del Pará, secondo lui, come gente di seconda categoria. Dom Erwin é un profeta, i suoi interventi contro il governo sono sempre molto precisi e taglienti. É perennemente minacciato di morte. Due mesi fa ci fece un corso di Esercizi Spirituali ed io colsi l´occasione per parlargli personalmente, in privato. Con molto rispetto gli chiesi: “É bello che ci siano dei Vescovi-profeti come lei, che rivendicano democrazia dai governi civili, ma che cosa c´é di democratico, oggi, nella vostra figura e ruolo di Vescovi?” “Ho recepito – mi rispose - sono d´accordo con lei”.
Recepito? Un bel niente. Fino a mille anni fa i Vescovi erano eletti dal loro popolo. Ci siamo allontanati sempre di piú dalla “sinodalitá”, che era marca registrata delle prime Chiese. Il Vaticano II ha corretto la direzione del vento, ma stenta a diventare pratica normale. Alcuni episcopati hanno cominciato a proclamare: “Vogliamo essere la voce di chi non ha voce”. Forse sarebbe meglio curare il sordomuto come faceva Gesú. Non parlare per lui ma ridargli la voce e ascoltarlo. Giovanni XXIII, il Papa Buono, voleva la Chiesa maestra di amicizia tra i popoli, giustizia, democrazia. Sappiamo, tuttavia, che oggi la democrazia é gravemente ammalata di per sé stessa. Le societá democratiche hanno fatto l´“opzione fondamentale” di scaricare i loro costi sulle fascie piú deboli (cominciando, all´inizio, dai continenti colonizzati), e dell´accumulazione di pochi a spese di molti. Radicalizzano ogni giorno di piú questa scelta, man mano che la crisi si aggrava. La prioritá non é la persona umana, come dichiaravano i fondatori (liberté, egalité, fraternité) ma la pancia.... Una democrazia cosí ha creato una massa di idioti consumatori sempre piú maleducati e antisociali. Votano chi promette piú soddisfazione ai “bisogni” immediati. Ogni richiamo a pensare al futuro e a cercare benessere e qualitá di vita in un altro modello, é ignorato e disprezzato.
Il nostro peccato, come Chiesa, é semmai di lasciarci trascinare in questo baratro. Sérgio Ricardo Coutinho dos Santos (professore di storia e assessore della CNBB) in una recente intervista ha detto: “Durante almeno un millennio la Chiesa é stata direttrice di una grande orchestra. Ora é chiamata a suonare come terzo violino nella stessa orchestra”. Non siamo piú i direttori. L´orchestra é diretta dai grandi capitalisti che seguono lo spartito dell´economia liberista. E allora, perché lasciarci trascinare? I pochi rimasti in campagna, come quelli che erano a messa l´altra sera, reclamano in coro: “La vita moderna ci ha alleviato le fatiche fisiche, ma ha distrutto la nostra vita. Non ci si fida piú di nessuno, i nostri figli sono attratti dalla droga, la gente pensa solo ai soldi e al sesso, non ci sono piú amici, l´agricoltura é avvelenata, é un disastro”. La nostra vocazione é mettere un pó di sale e di lievito in questa massa, e ci si riesce ancora, perché la gente lo vuole.

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